Altro che solo cinema sulla Croisette: al Festival di Cannes 2025 il tappeto rosso si è tinto di polemiche, parole forti e accenti politici. Siamo abituati a considerare il festival come il palcoscenico delle pellicole più ambiziose dell’anno, ma questa edizione ha dimostrato – con sorprendente vigore – che gli attori hanno bisogno di sfogarsi. Sotto i riflettori, dunque, non solo i film, ma anche i discorsi. Tutto è cominciato – se così si può dire – con Robert De Niro. L’attore, premiato con un riconoscimento alla carriera, ha scelto di non lasciarsi andare a ringraziamenti di rito, ma di cogliere l’occasione per lanciare un avvertimento. “Nel mio Paese stiamo lottando con tutte le nostre forze per la democrazia che un tempo davamo per scontata.” E poi, affondo diretto nel cuore della polemica: “Il presidente filisteo degli Stati Uniti si è autoproclamato capo di una delle nostre principali istituzioni culturali e ha tagliato finanziamenti e sostegno alle arti, alle discipline umanistiche e all’istruzione. Non si può dare un prezzo alla creatività, ma a quanto pare si può imporre una tariffa.”
Da De Niro alla militanza di Sean Penn, che ha scelto di presentarsi sul red carpet della prima del documentario di e con Bono Vox accompagnato da alcuni soldati ucraini. Penn che non è nuovo a gesti come questo. Lo avevamo già visto, tempo fa, in numerosi scatti al fianco di Volodymyr Zelensky, impegnato nella documentazione del conflitto in Superpower, il docufilm nato proprio da quei viaggi. Bono che durante il festival avrebbe anche ricordato: “L’Ucraina è il Paese che ci sta aiutando a tenere l’Europa libera dal fascismo. Mussolini, l’uomo con i baffi, e il suo amico Goebbels avevano ideato la Mostra del Cinema di Venezia e ne avevano preso il controllo. Cannes fu istituito nel 1939 per combattere il fascismo. Ora che il mondo è di nuovo minacciato, questo è un avamposto di libertà. Vive la France.” Sempre secondo l'Ansa, Bono avrebbe poi ringraziato lo stesso Penn per il suo costante impegno: “Lui c’era, mentre il resto del mondo guardava altrove.” E poi c'è Pedro Pascal. L'attore che abbiamo imparato ad amare negli anni, conoscendo le cause che gli stanno a cuore proprio attraverso i suoi occhi. Che si tratti di difendere i diritti civili, parlare apertamente del sostegno alla sorella transgender Lux Pascal o denunciare ingiustizie sistemiche, lui è tra quei volti noti che non hanno paura di parlare. A Cannes per la presentazione di Eddington di Ari Aster, ha dichiarato: “Non dovremmo aver paura di criticare Trump. Il cinema deve rimanere libero. È nostro dovere raccontare storie che mettano in discussione il potere, che diano voce a chi non ne ha.” E poi chiaramente, non si può non parlare di Gaza nella programmazione che avrebbe dovuto ospitare proprio la foto reporter Fatma Hassouna, uccisa dalle bombe israeliane in casa sua insieme ai suoi familiari. Il suo progetto è Put Your Soul on Your Hand and Walk, metti la tua anima nella tua mano e cammina, è un film-testimonianza realizzato dalla regista iraniana Sepideh Farsi. Questi e tanti altri gli interventi su quello che sta succedendo laggiù. Nella terra di mezzo polverosa di macerie, per tanti difficile persino da nominare. E a questo punto, la domanda nasce spontanea: perché ora, perché qui? Questa voglia di far impazzire la gente, di mandare in cortocircuito tutto quanto nel momento in cui si è lontanissimi da casa. Perché questa voragine si è aperta proprio in Francia? Del resto, lo ha detto anche la voce del festival, Thierry Fremaux, che il cinema oggi è tutto un po’ politico, che ruota attorno a come gli artisti “pensano il mondo”. E ben venga, che sia così. E Cannes sembra il posto più sicuro in cui rappresentare questo mestiere. A parlar di film sì, ma quest'anno al centro c'è stata la paura di una terra in contro a mille guerre e devastazioni. La diplomazia per una decina di giorni sembra essersi concessa una pausa. Dove le celebrità si scrollano di dosso l’obbligo di essere neutrali a tutti i costi e forse si ricordano, anche solo per qualche ora che ha senso parlare. E allora sì: che dicano tutto. Che gridino. Che si schierino. Che mettano al centro prima la vita poi il cinema. I diritti, i morti. Perché se c’è un posto dove l’arte può ancora permettersi di essere pericolosa, è proprio questo. E allora Cannes non salverà il mondo, certo. Ma di questi tempi, lo fa almeno sentire un po’ meno addormentato.
