Nel suo nuovo romanzo Museo di un amore infranto (della casa editrice Accento di Alessandro Cattelan) Fabrizio Bonetto parla della fine dell’amore con familiare semplicità, che ci ricorda come sia in effetti molto più semplice arrendersi alla favola che tende sempre a puntare il dito accusatore solo verso uno dei due, piuttosto che scavare per capire cosa rimane davvero di un amore finito. Quello che resta è però, spesso, proprio il punto da cui ricomincia tutto e da cui molto altro si dipana. Questo romanzo inizia precisamente dalla fine di una storia, e dunque, se vi spaventano i finali, è la lettura perfetta: tolto il dente tolto il dolore, o no? In realtà, non è proprio così, dato che l’autore parla sì dell’epilogo di una relazione, ma facendo incontrare al lettore, sin da subito, il dolore dei personaggi che hanno prima vissuto e poi perso la loro relazione. Fabrizio Bonetto racconta di come l’amore sia un sentimento da costruire in modo verticale: s’innalza verso l’alto perché accumulatore di esperienze, cresce da basi solide, si ramifica come un albero, muta forma; come nel “vaso delle cose belle” ideato dai protagonisti di questa storia, dove si erano ripromessi di scrivere e ammucchiare cose felici. Ma quando si ama senza riserve si accoglie anche il rischio della sofferenza: “Per quanto maestosi, ridondanti nei loro iniziali buoni propositi, i progetti umani sono destinati spesso a un rapido sgretolamento”. È quello che succede ai due personaggi Giacomo e Veronica: sono solo avanzati orizzontalmente, ma non l’hanno fatto insieme. E così li incontriamo mentre snocciolano, capitolo dopo capitolo, nostalgie e colpe, intervallati soltanto dagli oggetti delle relazioni interrotte di altre persone. Ma perché parlare degli oggetti appartenuti a sconosciuti?
Questo è uno di quei romanzi che vanno oltre la storia che stanno raccontando, e che già fanno da introduzione ad altri romanzi e altre storie. Uno dei punti fermi che lascia è però sapere che a Zagabria c’è un museo che raccoglie i ricordi degli amori falliti. Si chiama Museum of Broken Relationships e nasce da un’idea semplice, che è anche il suo punto di forza: condividere emozioni e non rinnegarle. All’interno conserva gli oggetti più disparati e singolari, da anelli, buste chiuse, bambole gonfiabili, a lampade a forma di fragola, creme per il viso, flaconi di veleno… Si può provare a pensare agli oggetti delle proprie storie d’amore passate: spesso non hanno nulla a che fare col valore pecuniario – anzi – eppure hanno tutti una storia da raccontare. Questa storia, che parla di Giacomo e Veronica e di come non si amino più, va quindi (quasi) in secondo piano rispetto a quello che ognuno ci ritrova leggendo e pensando: “Potrebbe capitare a me. È già capitato a me. Che cosa invierei io a quel museo di Zagabria?” Di solito si dice che la colpa non sia mai di solo di uno dei due, e in questo romanzo questa verità emerge in modo limpido: capitolo per capito le due parti della non più mela si analizzano a vicenda, mentre i ricordi si sovrappongono e si modificano, e al lettore risulta evidente come la stessa storia – come ogni storia - abbia una doppia versione, che per ognuno è quindi sfalsata e non coincide più a sé stessa. Vediamo come due innamorati possano essere crudeli l’uno con l’altro e capiamo che l’oggetto che potrebbero quindi spedire al museo di Zagabria non è un oggetto: Giacomo e Veronica sono le vere reliquie in carne ed ossa del loro finito amore.
L’altro regalo di questo romanzo è poi la connessione con una canzone di Niccolò Fabi, Andare oltre, che parla di come ricominciare tutto da capo. Si può provare ad ascoltarla prima e dopo la lettura e quello che lascia è una lunga serie di interrogativi e riflessioni: come si fa ad amare di nuovo? Ci ricordiamo ancora come si fanno tutte quelle piccole cose a cui ci eravamo abituati? La verità è che spesso no, e anzi, ci sembra di aver scordato tutto. “Tu mi perdonerai” a chi si riferisce? Ogni storia finita lascia tante cicatrici per cui permettere a un estraneo di occupare di nuovo il nostro spazio “vuoto”, non è sempre facile. Museo di un amore infranto racconta come si lascia e si deve lasciar andare: se si cerca nell’altro - e negli oggetti che lui/lei ci ha lasciato - esperienze simili alle nostre, qualcosa finirà per accomunarci, permettendoci di poterci riconoscere. Riconoscersi per andare avanti, per spingersi verso la vita, dà finalmente la possibilità di lasciarsi sorprendere di nuovo. È interessante ascoltare la canzone di Niccolò Fabi dopo aver letto questo romanzo: lascia la sensazione di poterla interpretare in modi ancora nuovi e diversi. E così Fabrizio Bonetto ci ricorda come anche la separazione abbia tante sfumature e pensare di trovarne una sola sarebbe superficiale, perché non renderebbe giustizia al nostro finito amore.