Volendo occuparsi dell’Intelligenza artificiale, il supplemento “La Lettura” del Corriere della Sera ha pensato di far generare a un chatbot, chissà perché non specificato, un racconto breve come scritto da Andrea Camilleri. Un disastro. Ma non conoscendo evidentemente l’autore né certamente il dialetto siciliano, “La Lettura” non si è azzardata ad aggiungere alcun commento, lasciando il lettore libero di giudicare il risultato. Ora, qualsiasi testo creato sia dall’uomo che da una IA viene sottoposto in una redazione a editing, quantomeno di uniformità agli altri, e in quella de “La Lettura” questo controllo avviene abitualmente, ma stavolta è mancato forse per offrire un esito genuino di quanto una Intelligenza artificiale sia capace di realizzare.

L’esito è però risibile e il racconto decisamente senza capo né coda. Si basa su una sensazione di “camurrìa” che pervade Montalbano, il quale vuole verificare, per qualche motivo, se anche Augello e Fazio (perché mai loro e non innanzitutto Livia o magari Adelina?) se la sentano addosso, finché gli viene consegnato da Catarella un pacco con dentro la pistola a tamburo del padre e allora capisce tutto: che la camurria è l’ombra di un carrubo; anzi no: è l’ombra di suo padre. Senonché la camurrìa non lo abbandona perché non è né l’ombra di un carrubo né quella del padre, ma è la vita che gli presenta il conto, un conto da pagare. Come si vede, più che di un’intelligenza, il raccontino sembra il frutto di una deficienza, che sicuramente non sarebbe mai stato nemmeno concepito da Camilleri, nel cui repertorio pur non mancano racconti di bassissima qualità.

Intanto il termine siciliano “camurrìa” (che richiama un’interiezione molto comune in Camilleri: “Bih, chi camurria”, nel senso di scocciatura) viene adottato nei significati vaghi di inquietudine, smania, malcontento, presentimento, nessuno dei quali risponde però all’accezione siciliana di fastidio. Tale impropria camurrìa (che comunque non è mai “grossa” in Sicilia, semmai è “grande”) viene ricondotta a un carrubo, che è una pianta degli Iblei e quindi non può sorgere nel territorio di Vigata, cioè nell’Agrigentino, motivo per cui Montalbano non può pensare alla sua inopinata camurrìa in figura di un carrubo che gli cresca addirittura dentro, chiara metafora della morte – a meno che l’IA anonima non si sia voluta rifare alla serie Tv, ambientata essa sì nel Ragusano, e non al ciclo letterario: scelta che però non si capisce se “La Lettura” abbia orientato in questo senso.

Probabilmente è così, perché Camilleri avrebbe evocato non un carrubo a lui estraneo ma un ulivo saraceno, molto familiare, lo stesso che il commissario raggiunge nei momenti di malinconia, quando vuole stare da solo o riflettere come fa andando al porto di Vigata. Allora occorre chiedersi il motivo per cui “La Lettura” ordini a una IA, nel centenario della nascita di Camilleri, un racconto ispirato non ai romanzi ma di fatto agli sceneggiati televisivi (dove Montalbano non viene in effetti mai visto raccolto ai piedi di un ulivo), che abbondano di carrubi essendo state le riprese girate negli Iblei. Che Camilleri si sia reso noto grazie alla serie Tv (produzione ben diversa da quella letteraria: nei caratteri dei personaggi e nei loro tratti somatici, nei luoghi, nelle circostanze, nelle stesse trame…) è provato dunque dall’Intelligenza artificiale ingaggiata da “La Lettura” che ha trovato sul web informazioni attinenti non ai libri ma agli episodi Tv di gran lunga prevalenti, benché distorsivi. Un’altra prova viene da Taormina, dove sono state promosse le celebrazioni del centenario con ospiti tutti del mondo della televisione, tranne tre scrittori, Melania Mazzucco, Giancarlo De Cataldo e Maurizio De Giovanni, invitati senz’altro come amici e non in qualità di esperti dell’opera camilleriana perché non lo sono.

Così stando le cose, è naturale che succeda a una IA non controllata né verificata di fare dire a Mimì Augello “Dottò, che successi?” quando commissario e vice si danno immancabilmente del tu; di immaginare il ristorante “da Enzo” non a Vigata ma a Montelusa; di fare dire al ristoratore “Dottò, che mi pigghia?”, volendo riferirsi a lui, e per due volte a Fazio e Augello “Dottò, si sta esagerannu” intendendo che è lui a esagerare, ma come se anche loro fossero preda della fantomatica camurrìa; di far supporre a Montalbano che, telefonando a Catarella (per fare venire a casa sua Fazio e Augello, che ben potrebbe chiamare dal suo telefono evitandosi così il fastidio di sentire Catarella), il centralinista possa al solito chiedergli “Dottò, l’ho disturbato?”, come se fosse lui a chiamare; di usare espressioni addirittura pseudo-romanesche come “Sta a vedè” o termini quali “l’apriìù”, “addossu”, che non ricorrono in alcuna parlata provinciale, così come nel caso di “o pirò” che dovrebbe stare per “almeno”. Il capitombolo capitato a “La Lettura” è nondimeno la regola nella gestione di Camilleri, autore di cui tutti parlano ma che pochissimi conoscono davvero. Il suo destino è stato di essere ignorato in vita dalla gran parte della critica, quando non è stato disconosciuto nella sua statura di scrittore (tant’è che l’establishment letterario non gli ha mai conferito nessun premio importante), e di essere osannato fino all’iperbole da morto soprattutto proprio dalla critica. Ebbe nei confronti di Maria Corti un moto di stizza dopo che la nota filologa bocciò il suo stile di scrittura: «Non ha letto niente di me, ma mi giudica lo stesso». Succede ancora. Chi ne parla e ne tratta – benissimo oggi – non lo legge. O se lo fa, cerca corrispondenze della serie Tv con i suoi libri.