Se il Vaticano ha provveduto a canonizzare Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati, i vip, i media e i social hanno fatto lo stesso con Giorgio Armani. Il santosubitismo, così potremmo chiamare la corsa alla glorificazione dei personaggi pubblici venuti a mancare, è una pratica diffusa da sempre, che tocca anche chi in vita è stato protagonista di polemiche non indifferenti e condotte non in odore di santità. Non è certo il caso di Re Giorgio, ma il problema di fondo rimane. Tutti corrono a postare sui social una foto del defunto, meglio ancora se con lui direttamente. Il lutto diventa una passerella che ricorda il ruolo arcaico delle prefiche, le donne che venivano pagate per piangere ai funerali. Soltanto, qui il guadagno arriva senza nemmeno piangere: si flexa una foto con il morto, a metà strada tra il santino e il trofeo, per ottenere interazioni. Poi c'è chi, per pubblicizzare la propria azienda, si compra una pagina di giornale per mettere - ancora - foto con Armani, frasi di commiato e, immancabile, il logo del proprio brand. I politici ne approfittano per strombazzare un contrito cordoglio istituzionale, come se davvero avessero un cuore al posto del cassonetto dell'immondizia, per parafrasare Buffon.

Marco Travaglio invece, la cui rubrica “Mi faccia il piacere” non potrebbe avere titolo più azzeccato, ha raccolto alcune delle santificazioni avvenute a mezzo stampa, che vale la pena di riprendere. Per esempio Gabriele Salvatores, che dice: “Armani mi regalò uno smoking, è come una reliquia”, richiamandosi esplicitamente al glossario religioso. Oppure lo stilista Brunello Cucinelli, che ha raccontato a Repubblica di come l'incontro col semidio della moda fosse veramente un'esperienza misticheggiante: “Solo una foto insieme: tremai dall'emozione”. Ancora, la giornalista Candida Morvillo che, sul Corriere, ha raccolto le testimonianze di Myrta Merlino e della modella Daniela Morera, compagne di villeggiatura di Re Giorgio a Pantelleria, contestualizzando le frasi con una sorta di breviario di metafisica medievale: “L'ultimo dolore di Armani, nell'estate che se l'è portato via, è stato disertare Pantelleria... Non era una villa, era un sistema solare. E Lui, il sole al centro... Pranzo leggerissimo a un tavolo infinito in giardino, riposino, thè sotto le palme, aperitivo sulle rocce, cena sulla collina". Come osserva il direttore del Fatto, manca solo il miracolo.

A leggere certe Scritture in effetti viene da pensare che al terzo giorno Armani risorga, ma l'unico miracolo purtroppo riguarda la visibilità di chi si affolla mediaticamente intorno al sepolcro. Passi la “corrispondenza d’amorosi sensi” di cui poetava Ugo Foscolo, il legame con i vivi che sconfigge idealmente la morte, ma l'esagerazione del lamento porta a sospettare della sincerità delle lacrime e a rompersi i cabbasisi del cordoglio. Eppure le modalità sono queste, ben riassunte nella figura icastica del cretinoide che va ai funerali per farsi i selfie con i famosi in lutto, com'era successo con Maria De Filippi e la cerimonia di addio a Maurizio Costanzo. Senza speculare troppo sulla secolarizzazione incompiuta, o sulla laicizzazione avvenuta nelle modalità operative del Sacro, per cui si sente sempre il bisogno di avere dei santini da venerare o delle reliquie da conservare, dovremmo prendere il santosubitismo per quello che è: la distrazione dal lutto a favore del vantaggio economico, il meccanismo del guadagno - che oggi passa anche per le interazioni sui social - che stritola tutto, morte compresa. Che se oggi Foscolo si trovasse a scrivere i Sepolcri, parlerebbe ancora di “corrispondenza d'amorosi sensi”, ma riferendosi ai cuoricini di Instagram.

