Diceva Ennio Flaiano che non gli interessava chi facesse i baffi alla Gioconda, ma solo chi la voleva ridurre in mille pezzi. La polemica sul graffito della Egonu vola in cima alla classifica come più inutile e sterile dell’estate. Forse la più becera e politicamente corretta, la più inconsciamente razzista, finta, pretestuosa. E si fa in nome di una cultura multirazzista, non certo multirazziale. Certo, un po' di odio e un po' di divisione ci volevano questa estate. Artisti che giocano a fare i Salvini della street art, anzi direttamente i Vannacci. Vendere populismo al popolino dei populisti e il gioco è fatto. Perché il popolo vuole capire, capire tutto. Vuole opere banali, cretine, retoriche come quelle di Banksy (a proposito, anche lui questa estate ha fatto il pieno di retorica populista: quattro sagomine striminzite fintoecologiste sperse per Londra. tra la delusione dei suoi fan e collezionisti).
Questo tipo di “artisti” moralisti sono il problema che rappresentano, perché pensano di lavarsi la coscienza con la retorica terzomondista, piegata poi alla mitomania dei giornali, in nome di una dicotomia destra-sinistra da web. Quella che vuole la destra stimolata dalla famosa “pancia degli italiani”, e la sinistra dalla cultura del dialogo “illuminista” e fintoprogressista, quando sono proprio questi artisti a fare il gioco dei beceri nervi dei loro presunti imbrattatori (ammesso che esistano), funzionali guarda caso a loro tornaconto personale. Tutto per i quindici minuti di warholiana celebrità, nella pia speranza che tutto questo abbia un senso per qualcuno, e ci si costruisca la polemichetta che dia l’identità al tifosetto che è dentro l’utente medio zombificato. In questa annoiata italietta post turistica (che il turismo ora è cattivo pure a sinistra finalmente), post prandiale, post qualcosa, in tutto questo l’unico a guadagnarci qualcosa è l’“artista”, in questo caso di nome Laika. Ci guadagna i like sui social, i titoli di giornali, il polverone, i bla bla degli sciammannati. Gli stessi sciamannati della festa dell’unità o di Atreju. Fate voi, pronti ad elogiarlo o a insultarlo, sotto i commenti instagram. Trionfa così il fate largo dei politici che giustamente ne approfittano, pronti alla condanna pelosa. È l’occasione di dire siamo come voi, siamo buoni. L’occasione di fare il loro gioco, mai il nostro. Per carità, nulla contro Paola Egonu, stupenda atleta italiana, italianissima. Come stupende e italianissime (anche se considerate di meno perché non hanno la pelle scura?) sono le sue colleghe pallavoliste, con i loro fisici statuari, i loro sacrifici per arrivare lì dove noi solo possiamo sognare. Come possiamo sognare la classe di Alessia Orro, il capolavoro pure italianissimo dell’allenatore filosofo Julio Velasco. Perché tutto quello che ha classe è italiano per cultura e perché, diciamocela tutta, le nazioni non hanno molto senso, se non per geopolitica. Contano la cultura, l’aria che respiri, il sole che vedi, i paesaggi, e la storia che ti entra dentro con il cibo, i rapporti umani. Conta quanto ti impegni, quanta passione ci metti, specie nello sport.
Allora perché esaltare l’italianità di una sola atleta in uno sport che è massima espressione del collettivo? Che è espressione di cultura, di qualcosa su cui non puoi semplicemente mettere solo una misera bandiera? La pallavolo sembra catturare maggiormente tutto questo, meglio del calcio ultimamente, e queste splendide atlete ne sono la prova. Hanno realizzato la più bella vittoria italica alle Olimpiadi, ma noi stiamo a guardare il pessimo graffito dal linguaggio stra abusato da zainetto Seven. Impariamo ad allenare lo sguardo, non sempre chi spaccia una cosa per arte è nobile. L’arte è un linguaggio a volte incomprensibile, e bisogna studiare per capirlo. La sagoma di un'atleta sfregiata da un cretino, o l’autosfregio di qualche mitomane, non sono arte, e neanche grande comunicazione. Altrimenti tocca dare il premio Pulitzer e un Leone d’oro alla biennale a Vittorio Feltri, campione olimpico di questo tipo di provocazioni.