Morgan, il nostro Marco Gaetano Benedetti Michelangeli Bresci new romantic. Fatti, circostanze, evento, dove, come, quando, un concerto "straordinario", impeccabile, misurato, esemplare di Morgan, Marco Castoldi, a Roma, al Teatro “Garbatella”, quartiere già di Maurizio Arena e poi, giù per li rami, di Enrico Montesano e ancora di Enzo Staiola, il piccolo Bruno Ricci in “Ladri di Biciclette”. Sala affollata, empatia immediata, Morgan ora in scena. Frac nero, mantello da Passatore, anarchico vendicatore, il nostro, appunto, Gaetano Bresci di X Factor. Inchino. Pianoforte, luci, lui, lui, sempre lui, nient’altro. L’intro con Maurice Ravel: “Piano Concerto in Sol, Secondo movimento”. Lo spettro di Arturo Benedetti Michelangeli in un cantuccio, seduto, assorto. Applausi. Morgan chiuderà infine con “Arrivederci”, gli spettri contigui di Don Marino Barreto Junior e di Umberto Bindi, anche loro presenti in sala. Toccante, restando a Bindi, “Il nostro concerto”, la voce da grammofono di Marco, lo stesso grammofono che un tempo aveva in custodia la voce di “tutto va ben, madama la marchesa...”, memoria di un bianco e nero “confidenziale”, tempo di festival, una sola telecamera, un’unica inquadratura, fiori sul proscenio, i nonni, allora ancora viventi a guardare, commuoversi.
Una lezione di stile, non soltanto musicale, l’esposizione di Marco magistrale, senza retorica, degna di Dimitri Šostakovič per esegue la “Sinfonia n. 7 “Leningrader” davanti al pubblico dei sopravvissuti all’assedio dei nazisti, già anziano e perduto nel bicchiere del disincanto nel 1970. Le note del tema degli Addams, accennate, passacaglia evocativa, per restituire memoria dell’“alto” e del “basso” musicale. Metafisica dell’indimenticabile della memoria orchestrale, melodica, vocale. Nessuna retorica. Cosa sono gli accordi, cos’è l’armonia? Scarlatti spiegato attraverso Claudio Baglioni, quest’ultimo illustrato attraverso Scarlatti, Corelli e Vivaldi. Note sulla povertà espressiva di Mengoni, sugli accordi, sempre gli stessi, di Bugo, di Annalisa e di Mengoni, le considerazioni sugli accordi altrettanto sempre identici a sé stessi di Ludovico Einaudi, la spiegazione sulla povertà formale e compositiva di Ludovico Einaudi, lui che “in Francia fa tutte le colonne sonore, ed è ricchissimo per questo”, l’omaggio a Luigi Tenco, “il migliore, il più bravo di tutti”, parola di Gino Paoli consegnata a Morgan. Dalla sala si suggerisce con bis con Piero Ciampi, ma intanto giunge la citazione di Tommaso Landolfi, il racconto dell’unica intervista che proprio Tommaso Landolfi, l’autore di “Mar delle blatte” e di “Ottavio di Saint-Vincent”, giocatore, schivo, severi baffi da gentiluomo in abito antracite, abbia mai concesso a un canale televisivo per intercessione del critico Leone Traverso: l’interrogativo su un proverbio che lo scrittore di Pico consegna all'intervistatore smarrito, meglio, alle telecamere del Primo Canale, è il 1962, bianco e nero, incunabolo delle teche Rai: alla domanda “chi ti ha suggerito di fare questa carriera di scrittore”, Landolfi oppone: “Il signor Bisognino, Bisognino fa trottar la vecchia”. Proverbio toscano. I romani non lo capiranno.
Ora l’omaggio al moscato, e un "grazie a Bobo Craxi presente in prima fila e a Simone Avincola", né l’uno né l’altro in verità sono lì, Bobo C. arriverà poco dopo, si va avanti dal fondo della sala, il saluto a chi scrive, in sala c’è Anna Lou, figlia, Morgan ne saluta con affetto paterno l’età: “Ha 24 anni!”, Anna Lou dalla sala: “No, ne ho 23”. Solo l’amore concede simili perdonabili errori, il pallottoliere del tempo non è affare degli artisti, per il momento memoriale dedicato ai classici di Morgan c’è “Ho deciso di perdermi nel mondo anche se sprofondo...”, per carta d’identità, l’autobiografia in questi altri versi non meno cantati: “No, non simulo il mio progresso perché son contro me stesso, non ho giorni da dimenticare, fotografie nascoste o ambizioni di perfezione, io non simulo il mio progresso perché son contro me stesso, io son contro me stesso...”. Morgan come Rimbaud, il "poeta di sette anni", forse ne bastano soltanto sei per Morgan, per Marco.
Dopoteatro, fine concerto, ora tutti a cena, il ristorante imposto dallo “sposo”, Morgan che festeggia sé stesso, Anna Lou, figlia, gli sta seduta accanto...
“Da Dante”, quartiere Prati, tempio del dopo-fine-delle-trasmissioni, monoscopio alimentare, gastronomico, gli avventori propri di un “generone” cittadino, Prati quartiere di professionisti, generali, notai, avvocati in loden verde ed ex trasvolatori del Polo: il dirigibile “Italia” presto destinato al naufragio sul pack; gricia, carbonara, cacio e pepe, ammazzacaffè, tozzetti e vino.
Al momento della sigaretta, all’esterno, Morgan fa ritorno al racconto, all'invettiva circa la povertà degli accordi della “musica italiana” del presente, assenza di autentico estro, ordinaria melodia, Mengoni docet, canzoni fatte con l’Intelligenza artificiale... Sai che ti dico? Ne facciamo anche noi subito una! Al telefono: il testo viene fuori all’istante, ognuno dei presenti suggerisce una frase, un mozzicone, un nome; il titolo? “Da Dante”, in che altro modo vorresti intitolarla? C’è pure Tiziano Leonardi dei Cugini di Campagna, partecipa anche lui al capolavoro, al testo impeccabile del brano degno di Pollock, che sia il caso di fare un reggaeton? O magari anche una versione più “romantica”? Ecco “Da Dante”. Mi sa che con questa andiamo a Sanremo! No, meglio a “Un disco per l’estate”, volendo anche “Castrocaro” non sarebbe male! Peccato, peccato davvero che non ci sia più il grande, l’immenso Daniele Piombi!