Lazza si pensa Ultimo e fa il dito medio alla stampa. E nel lungo sfogo via IG sottolinea “come la fama sia tossica”. Poi sgancia la stoccata: “ultimamente ho scelto di fare poche interviste, anzi in realtà non ne ho fatte proprio - probabilmente riferendosi alla promozione del prossimo album, il seguito di Sirio - quasi ogni volta che parlo con qualcuno mi chiedo se mi stia davvero ascoltando o semplicemente cerchi il modo di portarsi a casa un contenuto che faccia parlare”. Lazza si sente incompreso, come Ultimo, o forse hanno ragione loro? E dalla sua parte si schiera anche Laura Pausini. Ma vediamoci chiaro.
Quel giornalismo di una volta, in cui l'editore ti pagava un ‘frecciarossa’ in prima classe e due notti in un hotel per assicurarsi l'esclusiva non esiste più. È un lusso che sopravvive solo nei ricordi nostalgici, relegato a pochi quotidiani e settimanali. Basta, i fondi non ci sono. Figurarsi. Oggi, un giornalista delle pagine di spettacolo, dopo una conferenza stampa affollata da centinaia di partecipanti (incluso l'articolista del sitodimiocuggino), ha a disposizione, se va bene, 7 minuti cronometrati - 7 disgraziatissimi minuti - assieme ad altri colleghi, con l'attrice o il cantante in promozione che risponde a domande quali: “preferisce il cornetto o il toast a colazione”? Traducendo: la singola approfondita (come si definisce in gergo un incontro ravvicinato con l'artista) è destinata a pochi eletti. E se non sei tra questi, devi accontentarti, ed evitare domande scomode. È un'usanza che qualcuno ha istaurato e altri seguono come in gregge. Non vuoi mica perderti il prossimo accredito, no?
Allora come ripieghi? Siamo tutti a caccia del pettegolezzo innocuo, del titolo sensazionale: è la regola del gioco, devi presentare qualcosa di appetibile. Poi che i contenuti siano spesso simili, è inevitabile. Se ci pensate, è come il cane che si morde la coda: come si fa informazione su parole vuote? Sulla crisi del giornalismo sono state scritte intere biblioteche, si è fatto ricorso a tutte le specificità del caso. La soluzione? Non esiste. Poiché al lettore non interessa il senso della canzone, ma se Damiano dei Måneskin indossa le mutande o no. Siamo anestetizzati, siamo fottuti. E Lazza ce l’ha solo ricordato.