“Una cortesia. Con questa intervista cercate di far uscire ciò che sono realmente, se vi interessa. Se invece vi preme solo tirare fuori le solite cose, lasciamo perdere”. Manuel Casella, classe 1978, è dotato di una strabiliante gentilezza. Pronuncia ogni frase con serenità quasi zen, ma alla fine, una piccola legittima richiesta ce la fa: chiede di non essere raccontato come una meteora. Di non essere usato per un titolo urlato da inizio estate. Durante la nostra chiacchierata si lascia andare, parla con estrema franchezza e non gioca con gli illusionismi. Oggi non è al centro dell’attenzione? Nessuna cospirazione, solo tanta consapevolezza. Casella ha accettato che le cose andassero così perché è stato lui, in buona parte, a condizionare il corso degli eventi. Per cui se da anni – lontano da set, riflettori e passerelle – guida un’agenzia immobiliare, non si può parlare di sconfitta. Anzi. “Mi piace vendere cose concrete, non fumo. Mi piace far parlare la mia passione, non il fatto che per anni ho fatto parte di un altro mondo”. Quello in cui viveva anche Amanda Lear, sua compagna fra il 2002 e il 2008. Nel 2009 è il conduttore del reality “La sposa perfetta” su Rai 2. Nel 2012 torna all’Isola dei famosi, dove era già stato cinque anni prima. Si classifica secondo dietro Antonella Elia. Nel 2015 è protagonista di "Chi sceglie la seconda casa?", in onda per due stagioni su Dove e La7d, programma in cui può esibire la propria competenza nel settore dell’immobiliare e dell’interior design. In mezzo tanto teatro, altrettanta televisione. E uno di quei giochi per bambini, tipo gabbie, con dentro le palline colorate.
Manuel, quando per la prima volta hai sentito l’impulso di scendere dall’otto volante dello spettacolo?
Quando durante le tournée teatrali ascoltavo discorsi e considerazioni troppo ripetitive. La compagnia diventa la tua famiglia, in quei periodi, e questo è splendido, ma prima facendo il modello e poi l’attore, io volevo soprattutto vedere il mondo. Invece mi toccava ascoltare sempre le stesse lamentele. Il governo che non supporta la cultura, la gente a cui non frega nulla della cultura… Che due palle, davvero. Che noia. Poi la televisione ha fatto il resto.
In che senso?
Le ospitate da cinque minuti l’una sono mortali. Come quei talk con dodici ospiti in cui ognuno ha lo spazio di una battuta. A cosa serve? Tornando alla domanda iniziale: sul palcoscenico stavo da dio, giù dal palco molto meno. Ho sempre avuto ottimi rapporti con i colleghi, ma l’energia era negativa. Se non sei raccomandato non vai avanti, dicevano sempre, di nuovo lamentandosi. Mica vero.
Ti ha quindi deluso il mondo dello spettacolo?
No, mi ha annoiato.
Come se ti avesse saziato troppo presto?
Sì. A me non interessa fare quindici volte di fila la stessa cosa. Ho avuto l’autista personale, ho avuto i paparazzi appostati sotto casa. Tutto molto divertente, mi è piaciuto, ma non avevo più una vita privata.
Rifaresti tutto?
Sì, ero timido, ingenuo e incredibilmente curioso.
Pensi di essere stato equivocato?
Più che altro giudicato senza alcun strumento per farlo correttamente. Dopo, con il teatro, giudicato con più attenzione: se ero in forma lo scrivevano, se ero giù di tono mi stroncavano. Così mi sta bene, così ha senso.
Togliamo il velo alle nostre ultime domande… La relazione con Amanda Lear: forse in quel periodo hai assaporato il meglio e il peggio di quel mondo? Quella relazione fu letta in vari modi, in modi persino bizzarri, tu oggi come vedi quel periodo?
Intanto credo che se la gente avesse letto quel legame in modo davvero bizzarro, forse l’avrebbe capito. Mancava la chiave, che in fondo era semplice: l’amore. Invece le persone hanno voluto vedere in me e Amanda ciò che loro avrebbero fatto al posto nostro. E quindi, a seconda di chi ci guardava (e la testa con cui ci guardava), o ero io ad approfittare di Amanda, o viceversa. Nulla di più falso.
Perché Amanda Lear?
Avevo diciannove anni, stavo registrando le puntate de “Il brutto anatroccolo” e quando Amanda entrò in studio me ne accorsi immediatamente. Esistono persone che con la loro presenza, il loro fascino, cambiano l’ambiente non appena varcano la soglia di una stanza. Amanda è una di quelle. Non è frequente incontrare persone simili. Ho incontrato Oliver Stone, che per me è un genio, ma non mi ha fatto lo stesso effetto.
Allure, personalità, magnetismo…
Sì. Con Amanda sono stato in luoghi dove non sapevano chi lei fosse, ma come entrava in un locale si accorgevano immediatamente di lei.
Amanda, però, veniva ritenuta responsabile del tuo successo…
Sì, mi dovevo scontrare con questo pregiudizio. Si pensava che avessi fatto una scelta opportunistica.
Quanto avete patito, come coppia, questa idea?
Non ce lo siamo mai detti, sinceramente, ma credo fosse brutto per entrambi. Perché se scegli una persona per interesse, questa persona viene subito irrimediabilmente svalutata. E Amanda non meritava di essere vista come una “dispensatrice di opportunità”. L’amore è una cosa seria, almeno per me. Amo Marta, la mia compagna, da otto anni, da quando ci siamo messi insieme. Vorrei che la clonassero, vorrei che al mondo ci fossero più Marta, altro che opportunismo.
A che punto del tuo percorso professionale ti trovavi quando tu e Amanda vi siete lasciati?
Avevo appena finito una tournée teatrale e avevo terminato di girare un film-tv sulla vita di Coco Chanel con Malcolm McDowell e Shirley MacLaine. Avevo l’autista, benefit incredibili. Alla sera giravo a Porta Portese con Malcolm e per strada fermavano me anziché lui. Ridevamo, lui mi diceva “sai quanto è bello non essere più riconosciuti”, e magari, dopo qualche passo, ci imbattevamo in una bancarella che vendeva le magliette dell’Arancia meccanica con su la sua faccia. Un giorno litigò col regista per difendere la mia parte, le mie battute. Ero scoraggiato, ma lui mi era di grande conforto. “Coraggio, nel mio primo film – mi disse – si dimenticarono di inserire il mio nome nei titoli. Beh, finisco il film, io e Amanda andiamo a Barcellona e litighiamo. Lei, per l’ennesima volta, mi dice che la sua vita non va bene a causa mia. Bene, mi tolgo di mezzo, le dissi. E così è stato. Mi sono piazzato davanti alla Sagrada Familia per dipingerla e poi sono tornato a casa. Finì tuto lì, senza rimpianti né rimorsi.
Vi siete visti di nuovo?
Sì, una volta a Parigi. E ogni tanto ci sentiamo. È accaduto anche di recente, quando non è stata bene.
Siamo fra il 2009 e il 2010. Che traiettoria prende la tua carriera?
Faccio un provino per “I 39 scalini”, uno spettacolo teatrale tratto da Alfred Hitchcock. Era un periodo frenetico: avevo una voglia pazza di scoprire tutto. Leggevo, studiavo, macinavo teatro, guardavo un sacco di film. C’era anche la tv, di mezzo, avevo voglia di imparare tutto ciò che potevo. Volevo recitare, soprattutto. Beh, al provino mi prendono e mi trasferisco da Milano a Roma, dove mi fermo sei mesi.
La televisione. Nei tuoi racconti c’è e non c’è, eppure hai fatto due volte “L’isola dei famosi”…
Se non mi viene bene la prima, provo la seconda (ride, nda). A parte gli scherzi, “L’isola” è stata una sfida per capire il mio valore. Stavano cercando un modello e l’agente di Amanda mi propose. Però pretesi di non avere alcun aiuto. Mi propose perché sapeva che persona ero, conosceva la mia tranquillità, la mia educazione. Feci un provino, fui selezionato. Un’esperienza splendida.
Un episodio, nel bene o nel male, che traduce la tua esperienza in tv?
Il giorno in cui sono uscito dalla prima Isola sono uscito insieme ad Al Bano perché Loredana Lecciso gli aveva portato via i figli. Mi trovo in capo al mondo e in Italia il programma fa il 60% di share. Torno a casa, a Piacenza, vado a fare la spesa e si blocca l’Ipercoop. Vengo letteralmente rinchiuso nel gioco per i bimbi, quello con le palle colorate, perché fuori non si muoveva più nessuno. Mi sentivo una scimmietta in gabbia. Tutti volevano una foto, tutti volevano un pezzo di me, offrirmi qualcosa. Da una parte l’ego va a mille, si gonfia a dismisura. Io che ero il modello bello ma scemo, l’opportunista addirittura. Dall’altra, però….
Dall’altra?
Beh, ti addormenti e il giorno dopo, quando ti svegli, vieni riconosciuto, ammirato, apprezzato; di colpo i pregiudizi se ne vanno, come per incanto. Da quel momento fui disposto a cedere una grande parte di me. La mia riservatezza, il mio credere nelle cose. A quel mondo concedevo tutto il tempo del mondo, rinunciavo alla mia vita privata. Tutto bene, mi divertivo. Film, sit-com. Mi toccò persino una parte ispirata ad Harpo Marx, un ruolo muto. Imparavo tantissimo, lavoravo tantissimo.
Torniamo però alla gabbia con le palle colorate. È lì che hai capito che quel mondo poteva essere troppo?
Saltavo, facevo le piroette, ma avevo voglia di correre nel vuoto senza che nessuno mi conoscesse. Mi piace poter fare le cose che mi piacciono senza che tutti tengano lo sguardo fisso su di me. Il mondo dello spettacolo, all’inizio, mi ha fortificato, mi ha dato grande sicurezza, ma poi è accaduto il contrario. Non capisci più chi ti parla, perdi il tuo centro di gravità.
E la vita nell’immobiliare, quella che stai tuttora facendo, quando è iniziata?
Tredici anni fa, quando è nata mia figlia Sofia. In quel periodo feci la seconda Isola, alle mie condizioni però, senza rotture di caz*o sulla mia vita con Amanda. Lontano dal gossip, mi divertii molto più della prima volta. Rivissi lo spazio di sette anni prima senza ansie. Passavo le notti a guardare le stelle, ad ascoltare il mare. Chiacchierai tanto con Valeria Marini e Aida Yéspica. Con grande rilassatezza.
Però in quell’edizione ci fu il famoso scazzo con Antonella Elia.
Sì, fu l’edizione in cui diede della balena a Valera Marini. Litigarono di brutto, Antonella se la prese con me perché, in quanto suo amico ero stato colpevole, secondo lei, di non aver preso le sue difese. Un nonsense, secondo me. Cioè, tu offendi una persona e te la prendi con me perché non divento il tuo avvocato difensore? Io non devo prendere le difese di nessuno, a prescindere. Il pubblico ama le vittime e in quel caso Antonella passò come tale. Il pubblico scelse lei, vinse lei. Nessun problema, liberi di pensare ciò che volevano. non me ne fregava niente di cosa pensassero.
Vi siete più rivisti?
Sì, ma non ci siamo chiariti. Non siamo andati oltre i saluti.
Gli stessi che ti sei scambiato con quel mondo? Non mi sembri attirato dall’idea di tornare indietro.
E perché dovrei tornare indietro? Oggi sono felice. Va bene così. È andata bene così.