Appena ho schiacciato play, ho sognato per un attimo di vedere Patrizia Mirigliani brandire un’ascia in versione Jack Nicholson in Shining inseguendo i vegliardi dirigenti Rai. Il documentario di Netflix Miss Italia non deve morire, dedicato al concorso di bellezza più longevo della storia (e della televisione) italiana, è un saggio di schiettezza e un trip antropologico di come è cambiato il nostro Paese. Appena uscito, su social e ‘giornaloni’, legioni di Chef dell’Aria Fritta, capitanati da decine di Editorialisti dell’Ovvio, si sono precipitati a spiegarci come sia giusto che Miss Italia muoia e muoia male, perché signora mia siamo nel 2025 mica negli anni ’90, e le donne giudicate per la bellezza che orrore, e altre banalità assortite utili a far sentire chi le scrive una vera persona di mondo. Peccato che il documentario, che segue da vicino un anno di selezioni da regionali a nazionali delle Miss, metta in evidenza da subito due cose. Primo: che i Mbeb (maschi bianchi etero basici) e patriarcali siano definitivamente tramontati, i vecchi perché passati in presa diretta a miglior vita (come Gerry, lo spassoso agente regionale delle Miss la cui ultima apparizione nel doc è il giorno del suo funerale), i giovani perché inutili bamboccioni indolenti, come Nicola, il figlio di Patrizia Mirigliani. Uno che, oltre ad aver vinto la fascia di perdigiorno da Grande fratello Vip, riesce pure ad abbandonare la madre la sera della finale del concorso.

Secondo: che Miss Italia sia ancora viva e vegeta, almeno a giudicare dal numero di concorrenti che sfilano tra centri commerciali e ippodromi, e rappresenti ancora un’illusione di ‘ascensore sociale’ in nell’Italia povera e polverizzata in province dimenticate. Viene da chiedersi se moltissime attrici, presentatrici, influencer che oggi dominano la società dello spettacolo (Anna Valle, Miriam Leone, Silvia Toffanin, Ilary Blasi, Giulia Arena) sarebbero emerse ugualmente senza il lasciapassare della fascia del concorso. E li sentiamo già, i venticelli degli Editorialisti dell’Ovvio, pronti a controbattere che quella era una società maschilista e patriarcale, e che è giusto che Miss Italia abbia fatto la fine che si meritava – in streaming su Youtube come la ‘sagra della porchetta’ – perché vessillo di un concetto di femminilità che vede la donna oggetto, giudicata solo per la sua bellezza. Spiace svegliarvi dai vostri sogni di panna montata, ma se per caso vi andasse di osservare il mondo, invece di parlare sempre per hashtag (#smashthepatriarchy) vi accorgereste che il punto non è se Miss Italia debba morire o meno, il punto è che Miss Italia ha stravinto da un pezzo. Guardate un telegiornale su Sky, Mediaset o persino sulla Rai. Vedete le giornaliste? Vi sembrano uguali a quelle che c’erano negli anni ’90? Evidentemente no. Evidentemente, ora sono delle bonazze incredibili, selezionate con gli stessi criteri con cui una volta si selezionavano le Miss. Il massimo sono le giornaliste sportive, da Ilaria D’Amico in poi sembra che in Italia le gnocche siano state fulminate sulla via di Coverciano e ora non abbiano altro interesse che le ripartenze secche e la difesa alta. E che dire della musica? Basta guardare una qualsiasi edizione di Sanremo per constatare come la sessualizzazione del corpo femminile abbia raggiunto livelli impensabili fino a un decennio fa.

Ve la immaginereste Mia Martini coi reggicalze di Annalisa o i look dell’inarrivabile Elodie, la nota Rosa Luxemburg in perizoma? Tutte brave, bravissime. Ma pure belle, bellissime: e infatti dalla società dello spettacolo sono completamente sparite le ragazze brutte, bruttine, e pure quelle così così. Si, certo, la bellezza non esiste, come ha detto di recente la giornalista Francesca Barra (altra brava, altra gnocca) esiste solo “un canone estetico ritenuto accettabile” in un dato momento storico. E allora giriamo la frase, diciamo che oggi le donne che lavorano nello spettacolo in settori dove l’estetica non dovrebbe rappresentare un criterio di selezione, finiscono sempre – guardacaso - con l’aderire a quel canone estetico, che sempre casualmente è quello apprezzato dagli uomini in fissa con i Cinepanettoni. E che nello stesso tempo, da anni, assistiamo alla trasformazione di giornaliste o di cantanti un tempo “normali” impegnate a massacrare il loro viso a furia di ritocchi estetici, perché così impone lo spirito del tempo. Si, certo, le donne (me compresa) col proprio corpo fanno ciò che vogliono: ma il numero di quelle che si mostrano secondo “il canone estetico ritenuto accettabile” è spropositano rispetto a quelle che di tale canone se ne fregano altamente. Si, certo, la body positivity, i selfie senza filtri con la cellulite e i brufoli: ma guardacaso si tratta sempre di donne che hanno già raggiunto una posizione di successo (oppure, che in quella posizione ci sono nate perché’ “figlie di”) e che quando invece cercavano di raggiungere la posizione facevano di tutto per aderire al canone. Si, certo, le eccezioni. Come Aurora, l’aspirante miss del documentario la cui rivoluzione del canone si basa sui capelli tagliati corti e i tacchi con la tuta – ma per quei pochi che ancora frequentano il bar dell’onestà intellettuale è innegabile che si tratta solo di infilarsi in testa la corona di reginetta dell’ipocrisia, quella della versione woke dell’Ultragnocca. “Miss Italia” sarà dunque pure morta, ma la Rai – la stessa che ha sbattuto la porta in faccia a Mirigliani - per interpretare una delle donne più cazzute di tutti i tempi, Oriana Fallaci, ci hanno messo proprio l’ex miss Italia più famosa di tutte (Miriam Leone). E la serie l’ha pure intitolata “Miss Fallaci”. E se personalmente maledico il concorso di bellezza della Mirignani ogni volta che vedo la vedo recitare, quel concorso aveva il merito dell’onestà: era solo una gara di bellezza, prima che la parola “bellezza” venisse inserita nel libro nero delle parole proibite da una società in guerra con il buonsenso. Se oggi Miss Italia non esiste più, allora, è semplicemente perché non ne abbiamo più bisogno: Miss Italia è ovunque, al supermercato, fuori dai licei e persino dalle scuole medie, probabilmente anche sul tuo divano. Solo coperta dal solito, disgustoso velo di ipocrisia dei Buoni.
