Swingante e noir. Più Fred Bongusto/Sergio Caputo, in questo caso, nonostante il titolo del nuovo brano, “Mrs. G”, evochi Giorgio Gaber. Morgan camaleonte, ma non si veda in questo insetto un accostamento colpevolmente pigro. Il camaleonte mica solo si mimetizza con l’ambiente. In questa circostanza sarebbe un’offesa paragonarlo a Morgan, che di fatto non si mimetizza mai. Più che altro, alla Bowie, Morgan fa il camaleonte nel senso che si trasforma. Ma il camaleonte è anche l’insetto più punk che c’è: rapida lingua retrattile, occhi mobili da spiritato, sul muso corone e creste. Ma torniamo a Morgan, che se ne esce artisticamente punk, appunto, e anarcoide, con “Mrs. G”, una canzone su, e non per, Giorgia Meloni. Viene da credere, ad ascoltare il pezzo, che con Morgan il gioco perfetto sarebbe questo: lui ci comunica prima il tema del brano che sta per pubblicare e noi proviamo a capire il vestito sonoro che gli ha cucito addosso. Ci azzeccheremmo quasi mai. Qualcuno immaginava che “Disruptive”, portata all’ultimo concertone del primo maggio, avrebbe suonato così? Qualcuno si sarebbe raffigurato così, il “Rutto” dedicato a Calcutta e Emma Marrone?
“Quello che fai, tu dici è quel che vuoi, ma per come la vedo io è quel che puoi”. Buongiorno Giorgia. Da Morgan. Col cuore. Ha le mani legate, insomma, la nostra premier, schiacciata dalle reali possibilità di una politica sempre meno ambiziosa, sempre più piccola (ma, specifichiamolo, questo non è affatto un alibi, per Morgan. Il pezzo è dedicato a una persona, mica a una classe di persone). Il nostro Paese, e intanto il brano scivola liscio, ambiguamente confortevole , è “una nazione decadente che sommerge gli emergenti”. Una nazione costantemente minacciata dai propri limiti, che si possono superare solo con “il talento”. Anche in “Mrs. G” emerge quindi puntuale la visione morganiana secondo cui la cultura è un potere (r)innovatore che (quasi) tutto può, se solo la si ascoltasse, le si permettesse di respirare a pieni polmoni. Così Meloni è una donna che si prende qualche scusa di troppo, secondo Morgan, perché ci ripete che la gente non può immaginare quanto sia duro essere lei. Essere dove è lei.
Il colpo del KO, siamo comunque nei territori di un attacco clinico ma elegante, arriva con la guerra: “Ma è sbagliato destinare in armamenti il contributo della gente”. Perché? Perché “lo sai anche tu, canta Morgan a Giorgia, che la guerra è involuzione, non è solo da cattivi ma è proprio da coglioni”. Il panorama si amplia, Morgan esce dal pur vasto discorso della funzione di musica e cultura in una società che non voglia morire schiantata dal peso del Mercato, ma poi torna a casa. Canta di “indecenti palinsesti offensivi dei neuroni”, di come “chi considera il popolo bue e obbedisce solo al mercato ragiona in modo superato”. E riprende forma, lieve, il sogno di sempre: “La coscienza collettiva quando prende iniziativa porta crescita”. Gliele canta anche con una certa levità, a Giorgia, ma l’avviso finale è limpido: “C’è una soglia da non superare, di incoscienza e ignoranza, per sedere in presidenza”. “Lo dico per te, Giorgia, ma anche per me”, specifica Morgan. Perché la politica è davvero la cosa pubblica, di tutti. Dei contribuenti, di chi ancora crede nel voto, ma anche degli artisti, che non saranno quelli che timbrano ogni mattina alle 8 ma offrono visioni e ipotesi sulle quali, ogni tanto, sarebbe meglio non pisciare.