Che distanza c’è tra me e la mafia? È cioè qualcosa di distante, lontanissimo o la trovo anche nella mia città? Seduta nella poltrona a fianco a me? Stando a quanto si legge ogni giorno sulle pagine di cronaca, vivendo io a Milano, direi che siamo a chilometro zero, ma cazzo, ho già bruciato il mio incipit a effetto. Riparto, quindi, voi fate finta di niente, assecondatemi. Che distanza c’è tra me e la mafia? È cioè qualcosa di distante, lontanissimo o la trovo anche nella mia città? Seduta nella poltrona a fianco a me? Mi sto facendo questa domanda mentre attraverso Milano, diretto a Linate. In realtà dire che attraverso Milano è una esagerazione, abito a pochi chilometri dall’aeroporto, almeno per gli standard metropolitani, fossi ancora in provicia definirei il transfer come una sorta di viaggio della speranza, io mi devo giusto spostare un po’ verso il centro, come per prendere la rincorsa, giusto perché ancora la M4, la Blu, non prevede una intersecazione con la M2, la verde, che è vicina a casa mia. Nel mentre l’uragano Kirk, così l’hanno chiamato, non so se come omaggio al padre di Michael Douglas o al capitano di Star Trek, portato nel piccolo schermo da William Shatner, sta minacciando sfaceli, e cosa mai di meglio di mettersi in volo quando un uragano tropicale, sputato ad minchiam su Milano e l’Europa promette sfaceli? Del resto, mentre mi preparavo per uscire sono incappato nei video del suo collega Helena, il collega dell’uragano Kirk, non so se avendo un nome femminile dovrei piuttosto dire sua collega, ma tant’è, e quel che sta facendo in Florida è davvero spaventoso, meglio pensare a altro.
E quindi forse proprio per non pensare a Kirk sto raccontandovi nel dettaglio come sto andando verso Linate, prendendo la rincorsa da San Babila, fermata di snodo con la M1, la rossa, dopo aver cambiato a Loreto, snodo con la M2. Ieri sera, così en passant, sarei anche dovuto passare di qui, dalla Rossa, presa a Duomo e poi alla verde, ma i lavori di rifacimento della tratta metropolitana tra Centrale e Piola, che taglia fuori praticamente una porzione di città dalla possibilità di viaggiare sotto terra me lo ha impedito. Ero stato al Centro Culturale di Milano, vicino a Piazza Beccaria, in fondo a Largo Corsie dei Servi, una proprietà dell’arcivescovado dato in gestione a Comunione e Liberazione, dove si teneva il primo di quattro incontri da me curato con Santoianni, giovane cantautore fresco vincitore del Premio De Andrè ospiti della serata Valentina Parisse e Dada Sutra, due rappresentanti del cantautorato femminile di grande talento e lontanissime per poetica e musicalità tra loro. Dico questo non per flexare, anche se flexare in fondo mi è sempre piaciuto, sono una popstar che usa la penna, virtuale, in realtà la tastiera di un computer o la voce, la dove gli altri usano un microfono, dico questo proprio per tenere lontano il pensiero dell’uragano Kirk, diciamo così, e perché non so esattamente quanto sia distante la mafia da me, in chilometri, in ore o in qualsiasi forma di misura ipotizzabile, ma so quanto è distante da me Cosenza, città nella quale sto andando, appunto, in aereo, prima, in auto poi, da Lamezia Terme, per prendere parte in veste di giurato a Musica Contro le Mafie/ Music For Change. A guidare la macchina, forward veloce, e già siamo dentro una narrazione rock’n’roll, è Simona Molinari, spiaggiato, sul sedile di dietro Fede Dragogna dei Ministri, a Cosenza e più in generale in Calabria ci sono trenta gradi, alla faccia di Kirk, il che è prova provata che i cambiamenti climatici sono cosa serissima, così come è prova provata che abbiamo scelto, almeno io e Simona, Fede è nato a Milano, di vivere nel posto sbagliato. Musica Contro le Mafie/Music for Change, dicevo, contest che vede per altro MOW come media partner, ve ne sarete accorti se non siete tra quanti non scrollano nella home page del giornale che ospita i miei articoli. Il contest è così concepito, e racconto quel che già dovreste sapere, nel mentre sono finalmente arrivato a Linate, rewind, quasi cinquantacinque minuti da casa mia, in pratica un’ora, per coprire neanche dieci chilometri, se andavo a piedi ci mettevo meno, e maledetta la mia smania di essere puntuale, sono arrivato qui con due ore e dieci di anticipo, saltando pure il pranzo. Pranzo che salto nonostante la sovradimensione della proposta che Linate offre a riguardo, ma mi sembra davvero incoerente andare a Musica Contro le Mafie e pagare prima un pizzo a un bar qualsiasi di quelli che operano qui, un panino col solo cotto a otto euro e mezzo, tutta roba che ti viene da augurarti che appena partito in effetti Kirk arrivi e spazzi via tutto. Spoiler, siccome sono qui che scrivo, Kirk non è arrivato, o almeno non mentre prendevo l’aereo, non era vera paura, piuttosto una scusa per introdurre l’argomento del giorno, Musica Contro le Mafie/ Music for Change in maniera adeguatamente accattivante, questo offre in genere la casa.
Tornando a Musica Contro le Mafie/ Music For Change, il concept è così concepito: artisti di varia natura, cantautori, cantautrici, band, comunque artisti che scrivano, no semplici interpreti, si iscrivono, vengono selezioni una prima volta dagli organizzatori, che poi sottopongono una scrematura a una prima giuria, prima giuria che a sua volta dà vita a una seconda scrematura, più radicale, scrematura che porta a una audizione in presenza in quel di Cosenza, appunto, dove gli artisti eseguono dal vivo un paio di brani e si presentano, la presentazione ha a sua volta un peso, poi vi spiego perché. Questo è successo a inizio settembre, una trentina di semifinalisti, alcuni che hanno defezionato per motivi quasi sempre legati al Covid, ancora. Io ho preso parte a tutte le fasi, come giurato. Nelle varie scremature, confesso, alcuni dei nomi che mi sembravano interessanti, sulla carta, sono andati sparendo, e alcuni sui quali avevo grandi aspettative le hanno in parte tradite, funziona così, credo, ovviamente altri mi hanno sorpreso, se no avrei inventato una scusa e ora sarei a Milano, in ciabatte sul divano, quando ci si trova a dover affrontare magari per la prima volta un tema impegnato o un tema comunque proposto da altri. A quel punto la giuria ha scelto sedici concorrenti, che hanno indicato uno degli otto temi su cui si sarebbe poi basato il contest vero e proprio, quello entrato nel vivo. Ora, quest’anno a parte la selezione di settembre, il resto è stato fatto in remoto. Lo dico perché ho preso parte a tutte le giurie, tranne appunto a quella di settembre, seppur io abbia monitorato in remoto ogni singolo passaggio anche delle audizioni. Negli anni scorsi, nel 2023 sono stato invitato a Cosenza a parlare ai concorrenti del contest e al pubblico cittadino un mio libro su Fabri Fibra, c’era un gran bel momento di convivenza e di incontro. Avveniva nel momento in cui si indicavano i semifinalisti e i temi. I ragazzi prendevano alloggio, l’anno scorso presso i Bocs, che sono delle piccole casette costruite in passato dal precedente sindaco di Cosenza, un architetto piuttosto illuminato, seppur di centro-destra. Casette su due piani, un piano terra a vista, con una grande vetrata, e il primo piano più pudico, coperto. Bocs nati per ospitare artisti da tutto il mondo, che arrivavano a Cosenza per praticare la propria arte, avendo alloggio gratuito, in cambio di una loro opera fatta in loco. Progetto rigettato dall’attuale sindaco, di centro-sinistra, credo proprio in virtù di questo odioso giochetto dell’affossare anche quanto di buono fatto dalle giunte di altro colore che hanno preceduto, Bocs abbandonati a loro stessi. Il che è equivalso alla rovina, perché i Bocs si trovano in una zona sponda del fiume Crati, per la precisione sono ventisette e il nome completo è Bocs Art Residenze Artistiche, il Bocs Art Museum il luogo destinato inizialmente a raccogliere le opere degli artisti residenti. Se abbandoni ventisette casette in rima a un fiume, lasciandole chiuse tutto l’anno, è scritto, otterrai ventisette casette che ammuffiscono, letteralmente. Una cosa vergognosa, che spero presto avrà fine. Ripeto quanto detto l’anno scorso, credo proprio che se ne dovrebbe occupare Report, Pinuccio di Striscia la notizia o chi per loro, e magari già che ci sono anche del planetario costruito e mai inaugurato, anche esso ormai in malora. Intanto però niente, quest’anno la sfida delle semifinali si è svolta a distanza, e ha ovviamente dovuto prendere una forma differente. Niente più collaborazioni gomito a gomito, ma collaborazioni in remoto, e niente jam serali tra i concorrenti, con quello spirito di gruppo che ha dato negli anni vita a belle collaborazioni.
In virtù di questa contingenza, la sfida ha cambiato momentaneamente pelle e si è trasformata in una sorta ci Champions League, con otto sfide su otto temi, due artisti a scrivere da nuovo canzoni a riguardo. I temi erano questi: Realtà di genere e diritti Lgbtqia+, Azi e Via Mercanti gli sfidanti, Resistenze e Democrazia, Bluesex e Dalia Buccianti gli sfidanti, Disuguaglianze e marginalità sociale, Acquachiara e Marea le sfidanti, Cittadinanza digitale e cyerb risk, Valentina Tioli e Charlotte Cardinali le sfidanti, Rigenerazione e futuro, Belly Button e il Coro Onda e Alessio Alì gli sfidanti, Ambiente e ecologia, Provinciale e Margò gli sfidanti, Lavoro e Dignità, Putcare e Sambo gli sfidanti, Migrazioni e Popoli, Moà a Elisa Benetti gli sfidanti. In pratica, per due settimane questi sedici artisti hanno avuto modo di scrivere, arrangiare e produrre un brano che sposasse i temi che erano stati loro assegnati, su loro stesse indicazioni. Un lavoro che ha visto coinvolto anche un team di autori, prima, e di arrangiatori e produttori, poi, interni a Musica Contro le Mafie/ Music For Change, spesso vecchi partecipanti o professionisti della musica di queste parti, lì a dare indicazioni e suggerimenti, a volte facendo anche ramanzine, ma quasi sempre accompagnando benevolamente i ragazzi e le ragazze in gara. Ripeto, io ho preso parte a tutte le giurie, fatto che ha visto una lieve impennata del numero di iscrizioni da parte di cantautrici, qui sto sì flexando, dal momento che il mio coinvolgimento è stato annunciato sin da subito e io sono da sempre uno dei critici musicali maggiormente attenti (qui sto giocando la carte della modestia, io sono in realtà il critico maggiormente attento, non uno dei più) al cantautorato femminile. Ho preso parte sin dalle prime battute a questa edizione di Musica Contro le Mafie/ Music For Change e ora sto andando a Cosenza per presenziare alla finalissima, finalmente dal vivo. Con me sul palco, in veste di giuria della critica, “critical decider”, Silvia Danielli di Billboard e Paolo Talanca, l’insegnante giunto in Calabria in rappresentanza del Club Tenco, a volte il destino si diverte parecchio, io meno. La giuria degli artisti, “artist decider”, vede invece la presenza di Simona Molinari, di Mauro Ermanno Giovanardi e di Fede Dragogna dei Ministri, mica ci trovavamo in auto insieme per caso, con Simona e Fede, per quanto sarebbe stato bellissimo, gran bel parterre de roi. Flexata per flexata, tre su tre della giuria degli artisti li posso annoverare nella categoria amici. Fede lo conosco da ormai oltre venti anni, da che lui giovanissimo è arrivato a scrivere su Tutto Musica, prima di mollare la tastiera del pc per passare a scrivere musica e non di musica con la chitarra. Giò pure è una vecchia conoscenza di quegli anni, anzi, addirittura da prima, dai tardi Novanta, quando era voce dei La Crus, come del resto ora, ho lavorato al loro libro Crocevia, uscito per la piccola collana della Piccola Biblioteca Oscar della Mondadori che ospitava testi della scena alternativa italiana, quella che poi avrebbe dato vita al Tora! Tora!, quindi i La Crus, Cristina Donà e Manuel Agnelli, ogni volta che lo vedo in tv a fare il giudice di Factor non posso non pensare al suo libro Il meraviglioso tubetto e a che uso fosse solito fare del flacone di bagnoschiuma vidal, flacone che ha dato titolo alla raccolta di racconti. Con Giò negli anni ci siamo visti in tante occasioni, e in passato ha anche portato a teatro, a Monza, una mia piece, Chi è Wolfgang?, con Musicamorfosi. Simona la conosco da meno, una decina d’anni, nel bacstage di un suo concerto estivo a Vasto, nel nostro Abruzzo, lei aquilana d’adozione, io vastese d’adozione, anche se negli ultimi anni è quella dei tre che ho visto più spesso e che per tanti motivi sento molto vicina, certe affinità in un mondo così anomalo come quello dello spettacolo creano legami potenti, sapere che la rivedrò a breve al Premio Bianca D’Aponte mi rende felice. Dico questo, oltre che per definire meglio i contorni di coolness del mio avatar, quello che salirà sul palco come giurato, anche per specificare come in fondo io continui a non sentirmi affatto un giornalista, sempre più incline a riconoscermi e empatizzare con gli artisti, forse perché sono uno scrittore e quindi artista a mia volta, ne coi giornalisti, pur nutrendo grande stima per Silvia Danielli, giustamente chiamata a far parte con me della giuria dei critici. Il viaggio in auto, quello da Lamezia Terme a Cosenza, Simona alla guida, Fede dietro, roba da Paura e delirio a Las Vegas, vai a capire chi di noi tre nei panni di Hunther Thompson, chi dell’avvocato samoano, non ve l’ho raccontato, pur con tutta la carica letteraria che un viaggio con due artisti, due artisti così distanti tra loro porta con sé, tre se ci mettiamo pure me, in fondo sono qui per raccontarvi altro, per una volta dovrete usare voi la fantasia. Sappiate solo che qui è estate, ribadisco, e noi siamo vestiti come Totò e Peppino in piazza Duomo. Tornando quindi al contest, a decretare il vincitore, dopo aver sentito gli otto finalisti dal vivo, anche la platea, composta prevalentemente da studenti, tramite un televoto possibile grazie a Whatsapp e la giuria interna del premio. Non ho ancora detto i finalisti, lo so, ma volevo rendere anche letterariamente la distanza che c’è tra me e Cosenza, e chiedervi quindi di tenermi compagnia per le ore che ci ho impiegato, parecchie, perché devi arrivare un po’ prima all’aeroporto, si sa, poi c’è un’ora e mezza di volo, con Kirk lì da qualche parte, poi un’oretta in auto prima di arrivare in loco, non proprio due passi, insomma. I finalisti li incontro la sera, a teatro, dove stanno provando con la band residente, alla presenza del team artistico del premio. I finalisti sono, seguendo il medesimo ordine, per il tema Lgbtqia+ Azi, per Resistenze e Democrazia Bluesex, per Disuguaglianze e marginalità sociale Acquachiara, per Cittadinanza digitale e cyerb risk Valentina Tioli, per Rigenerazione e futuro, Belly Button e il Coro Onda, per Ambiente e ecologia Margò, per Lavoro e Dignità, Putcare, e infine, per Migrazioni e Popoli Moà. Di tutti i finalisti conosco da tempo, personalmente, Moà, faccio anche parte della giuria del Premio Bianca D’Aponte, che ha vinto un paio di anni fa, e tanto per dimostrare che si può far parte di una giuria e non fare scelte che rientrano necessariamente in quello che il buon Fulvio Abbate ha chiamato “Amichettismo”, conoscevo, artisticamente ma anche di persona, diversi altri artisti, anzi, diverse altre artiste, ma non necessariamente le ho votate e tanto meno ho spinto per farle entrare in semifinale. A ognuno il suo.
Sempre a onor del vero, e stiamo ancora parlando della selezione fatta in remoto, ho almeno due volte proposto alla giuria interna di far passare direttamente in finale un paio di copie che si sfidavano sul medesimo tema, lasciando a casa un paio di altre coppie, perché alcune delle sfide, a mio immodesto avviso, hanno privato il premio non solo di artisti e artiste valide, ma anche di canzoni migliori di alcune invece passate, ma le regole sono regole, e seppur io sia anarchico mi adeguo, così va la vita. Cosenza è un gioiello. Un gioiello antico, la parte greca della Calabria sottolineerebbe magari come sfottò le sue origini latine, di fatto è una città stupenda Arroccao su una collina c’è il suo centro storico, ai piedi appunto il fiume Crati coi suoi Bocs che presto verranno rimessi a nuovo, Dio volendo, da qualche parte il ponte di Calatrava, così, per darle un tocco internazionale. Il contrasto tra antico e dismesso è stringente, ma dona al tutto un tocco di fascinoso, come di chi ha molto vissuto e ciò nonostante è ancora qui a dirci la sua. Ci capito ciclicamente ormai da una quindicina d’anni, e ogni volta è un tuffo al cuore, una città bellissima che meriterebbe di essere raccontata più con calma. Musica Contro le Mafie/ Music For Change, nato da una idea del vulcanico Gennaro De Rosa, è una delle eccellenza che Cosenza, nonostante tutto, può ancora vantare. Anche in quest’anno di transizione che vede la città meno presente al contest, o il contest meno presente in città. Oggi comunque ci siamo, e a sfida tra gli otto finalisti sarà all’ultimo colpo, sempre nel rispetto di chi comunque ha accettato la sfida di affrontare temi altissimi e nobili, mettendosi in gioco. Ora, premesso che dire paese che vai usanze che trovi è parte di un retaggio di stereotipi che con la globalizzazione dovrebbe essere stato abbattuto a roncolate, e che semmai quanto sto per dire, per altro, dovrebbe poggiarsi più su un ipotetico detto “paese che vai, usanze che segui”, ma va bene così, va detto che per essere un contest che si svolge a Cosenza, città che ha dato i natali, in un passato passato, al genio Rino Gaetano, e più recentemente al genio Dario Brunori, quello di Brunori Sas, per essere un contest che si svolge a Cosenza, dove sono nati Rino Gaetano e Dario Brunori, va detto che nessuno degli otto concorrenti ha dimostrato un gran senso dell’ironia, che a entrambi non faceva invece difetto. Zero ironia, ribadisco. E anche zero senso del politicamente scorretto, quasi tutti sono stati speranzosi, possibilisti, per dirla con una brutta parola sdoganata da Maria De Filippi, quindi ai miei occhi mai sdoganata, costruttivi. Come se le canzoni dovessero per forza essere sempre consolatorie o rassicuranti, anche quando affrontano temi che, invece, dovrebbero spingerci non dico alla disperazione, ma quantomeno all’indignazione rabbiosa. Ecco, zero rabbia, se non appena accennata in un paio di casi. Semmai qualche sprazzo di ruffiana retorica, e più in generale nessuna volontà, o quasi, poi ci arrivo, di mettere l’ascoltatore a disagio, di disturbarlo. Peccato. Non è un giallo, né un noir, nessun morto, nonostante la continguità tra alcuni giurati, quindi dico subito che alla fine ha vinto, frutto del lavoro delle varie giurie, Acquachiara. Una vittoria meritata, anche se a ci sono state altre artiste, tutte donne, va sottolineato, a darle filo da torcere. La finale di Music for Change, questo il nome del contest, avviene di mattina, alla presenza di scolaresche, dicevo, e cantare di mattina è sempre difficile, ma non è stato mai il canto a indirizzare il voto, almeno parlo per me, quanto piuttosto un mix tra scrittura della canzone e intensità di interpretazione, e certo, cantare bene aiuta, ditelo a Achille Lauro. Grazie anche alla conduzione puntuale e frizzante di Martina Martorano, vulcanica nonostante io la abbia vista poco prima di salire sul palco in piagiama e ciabatte, ovviamente anche con gli occhiali da sole, a fare colazione in hotel, un filo meno vulcanica e frizzante,e sfido io, visto che ieri siamo stati tutti a chiacchierare fino a ora tarda, lo spettacolo è stato un alternarsi di esibizioni dei concorrenti e di giudizi dati da noi sei giudici, diciamo così, di qualità, metà fronte artistico e metà fronte critico. Ha iniziato la band del Bluesex, ventenni pugliesi che hanno eseguito un brano rockeggiante dal testo piuttosto incomprensibile, ma conquistando il pubblico in sala. Fatto questo, l’aver fatto battere le mani a tempi alla platea, giudicato da alcuni eccessivi, secondo me una delle poche cose interessanti fatte dai quattro, la scena finale con bassista e chitarrista che puntano gli strumenti contro il cantante, mentre il batterista simula una fucilazione non mi è infatti parsa molto in tema con il tema Democrazia e resistenza, come anche la scritta in inglese Fate l’amore e non la guerra sul resto della giacca del cantante. Sono giovani, un giorno capiranno. Decisamente più a fuoco Moà, che da vera professionista ha portato una canzone assolutamente sul pezzo, forse un po’ troppo sanremese musicalmente,ma comunque interpretata molto bene al punto da fugare ogni rischio di retorica. Rischio che non ha affatto corso Acquachiara, che ha meritatamente vinto con una canzone molto personale sulla disabilità, forte di una scrittura originale, composita, e di una interpretazione intensa anche nella sua imperfezione. Avevo già riconosciuto un grande talento in Acquachiara durante le altre fasi e non mi ha affatto deluso. Gli Azi da Ascoli hanno portato una canzone con un’ottima strofa, che racconta storie diverse che si passano il testimone, un po’ sulla falsa riga di Sotto il segno dei pesci o di Walk on the Wind side, salvo poi aprirsi in un ritornello assolutamente didascalico, che ha un po’ ucciso il pezzo. Sulle prime ho giustificato il tutto per la giovane età, ma poi ho scoperto che così giovani non sono, semplicemente portano bene i venticinque anni, e il loro rap in salsa pop non mi ha troppo convinto. Diverso è il discorso per Valentina Tioli, che scrivendo di Identità digitale e cyberrisk ha portato un gran bel testo, con ottime intenzioni, il tutto accompagnato da una interpretazione impeccabile, di mestiere, ma con una base che ancora non mi convince appieno. Si è parlato di questo, in remoto, prima delle finali, ma qualcosa continua a non tornarmi, pur essendo la sua L’evoluzione una delle migliori canzoni in gara. Margò, che provava un brano ambientalista con un incipit didascalico, sulle colpe delle vecchie generazioni che hanno apparecchiato un mondo malato, si parla di frutto avvelenato, alle nuove, ha però l’arrangiamento migliore, peccato che non abbia cantato molto bene, temo per faccende tecniche. Ha invece stupito, o meglio, mi ha stupito, Putcare che ha parlato di Lavoro e dignità con il brano Lavorare stanca. A parte la citazione pavesiana, che mi ha fatto sanguinare gli occhi, il brano ha un bel testo, salvo qualche accento sbagliato che può permettersi solo Max Pezzali, e con un ritornello in napoletano, molto dolce e nostalgico, che ha dato al tutto un bel taglio. Molto più interessante che su provino, Putcare trovi la quadra e nessuno si farà male. Ultimo Belly Button e il Coro Onda. Il nostro ha presentato un brano rap con coro gospel, una preghiera laica molto ben fatta, ma che mi è risultata assai paracula. Magari ho sbagliato, ma gliel’ho anche detto sul palco, giocando con il titolo della sua canzone, non gli credo. Mi riprometto di approfondire, anche perché nell’incontro fatto poi nel pomeriggio coi ragazzi Belly mi spiegherà che da un paio d’anni sta portando avanti un progetto con ragazze che stanno ai margini, quindi magari lavorerei più su una estetica meno paracula, è una messa in scena meno distraente, ma sincero credo sia sincero. Diciamo che almeno tre canzoni mi hanno molto convinto, due in modo particaolare, Acquachiara più di tutti, a seguire Moà, di una incollatura, e poi Valentina Tioli. Margò doveva fare meglio. Putcare ha fatto meglio. Il resto, ok, dai, se ne parla una prossima volta. Vorrei però, visto che avevo appunto che sto a chi organizza di far passare due coppie intere, cioè tutte e due le sfidanti, lasciando giocoforza a casa due intese coppie, cioè altre due coppie di sfidanti, menzionate chi non è arrivato in finale ma io avrei portato in finale, Marea, in sfida proprio con Acquachiara, un grande arrangiamento e una ottima interpretazione, affondata solo dal trovarsi con chi ha poi vinto, e comunque meritevolmente presente in sala nonostante non fosse più in gara, e Elisa Benetti, in sfida con Moà, sul tema Migrazioni e popoli. La sua canzone non parlava di chi viene qui in cerca di futuro, come Moà, ma rovesciava il punto di vista, parlando di chi parte dall’Italia o comunque dalla propria terra qui per andare a cercare se stesso e il proprio lavoro altrove. Decisamente interessante, ma contro una canzone è una cantante più forte.
Nessuno, come dicevo, ha giocato la carta dell’ironia, e so che è difficile essere ironici su temi così importanti, ma nessuno ha neanche usato il politicamente corretto e la cattiveria, fatto invece sorprendente. Anche di questo parleremo nell’incintro che terrò come critico musicale con i ragazzi nel pomeriggio, provando a istillare dubbi, sempre fondamentali per chi vuole fare arte nella vita. Niente politicamente corretto, come per paura di non essere capiti, e Dio solo sa quanto essere capiti è sopravvalutato. Non a caso ha vinto una canzone che ti fa capire di cosa si parla strada facendo, girandoci intorno senza mettere disegnini o frasi troppo esplicite, usando però la musica per sottolineare certi aspetti, e così sia. Non ho detto che il tutto si è svolto a Teatro Rendano, che è dedicato a Alfonso Rendano, tra le altre cose inventare del terzo pedale del piano, e non alla vicina Rende. Un teatro strepitoso, con un gran bel palco e tutta una serie di palchetti, nella migliore tradizione italiana, che si trova sopra la collina ai cui piedi si trovano i Bocs, vergogna sindaco, un po’ più su dell’ ancora piu strepitoso Duomo, davvero a effetto, lì sulla sinistra, mentre salì in macchina. Dalle stesse parti la casa di Telesio, celebrità locale, di cui confesso so poco o nulla. Sull’ospitalità calabrese penso ci sia poco da dire, perché se ci sei stato la conosci e non puoi che commuoverti a riguardo, se non ci sei stato non so cosa aspetti a farlo. Nei Festival, ma anche nei contest, in genere, la parte che succede fuori dal palco è la più interessante, le tavolate, le chiacchierate, quei tic e battute che si ripetono come ai tempi delle gite scolastiche, tutto diventa parte di qualcosa destinato a occupare una parte dolce della memoria. La premiazione, a Acquachiara, vincitrice, e a tutti gli altri vincitori di premi messi in palio da partner vari, va in scena sabato mattina, sempre al teatro Rendano e sempre di fronte a una platea piena di scolari. Uno spettacolo aperto da Luk, con il gran pezzo con cui ha vinto una vecchia edizione del premio, e poi chiuso dai Malvax, vincitori della scorsa edizione, arrivati sul palco dopo il bravo Cristiano Coso, direttamente da Uno Maggio Taranto, e poi a me il compito di premiare proprio la vincitrice, che mi ha convinto sin da subito, e che credo si farà presto notare, nonostante non ambisca a stare nel flusso della brutta musica che gira adesso, più intrattenimento che arte, altro tema affrontato nell’incontro di ieri pomeriggio, o forse proprio per quello, vallo a stare. Piacere, Sofia, il titolo della canzone, Acquachiara il nome della quindicesima vincitrice di Music for Change. Un grazie di cuore a Gennaro De Rosa, forza motrice di tutta Musica contro le mafie e a tutto lo staff, noi ci si vede l’anno prossimo.