“FoglieMorte” nasce per spaccare e spacca. Tre minuti in cui l’hip hop matrice vecchia scuola riabbraccia il soul e la malinconia. Affinché questa frase d’apertura possa avere senso, basta buttare un occhio sulle due firme del brano: Neffa (con i Sangue Misto nel dna) e Fabri Fibra. “Forse avrò pensato a te senza avere le risposte/Camminando su una via fatta con le foglie morte”, recita la melodia. Ci sono il Neffa di ieri e quello di oggi, in questo nuovo pezzo. Rappa vellutato come ha sempre fatto, ma non rinuncia a un tocco melodico intriso di nostalgie e rimpianti (“Dietro agli angoli della mia mente te ne vai/Senza illudermi che questa volta tornerai”). Tre minuti di pezzo, ma il brano è uno “slow-burner”, cresce ad ogni ascolto, si insinua, i beats colpiscono e massaggiano, la canzone conquista l’attenzione anche di chi, questa attenzione tende spesso a rivolgerla, capo chino e passo veloce, a uno schermo illuminato.
E Fibra? Entra, fa la sua parte, incalzante, anche lui ben sintonizzato con il mood sconfitto del pezzo. E ci piazza il suo esistenzialismo dubbioso dedicato a un passato destinato ad essere eternamente pesante: “Ora mi chiedo se mai sono stato vero/O se fingevo per combattere la noia”. Versi maturi, battiti maturi, spettro artistico limpido. Tutto corretto, giusto investire l’hip hop di altre responsabilità oltre a quelle già da anni adeguatamente trap-izzate. Ca**o, qui non si parla di “cash”! Possibile? Un refuso, forse? Non si parla di dover “svoltare la giornata”, c’è il rappato e non il parlato, c’è una narrazione forte benché sintetica. C’è un pezzo di vita, malinconico, che tende a ripetersi, minaccioso. Fila tutto così liscio perché il rapporto fra Neffa e Fibra viene da lontano?
Le basi di “Turbe giovanili”, tostissimo esordio di Fibra (anno 2002), erano firmate dal mentore Neffa. Un paio d’anni fa Fibra dichiarava: “A lui (Neffa, nda) devo tantissimo. All’epoca ero un suo grandissimo fan e lo sono ancora oggi. Ho cercato di dare il meglio di me raccontando la provincia con la poetica degli anni ’90: meno giochi di parole e più narrazione”. Lo stile di “FoglieMorte”, alla fine, è ancora questo. Anni ’90 nel cuore, ma senza un effetto revival, bensì con l’intenzione di tramandare un modo di intendere l’hip hip che ha contribuito a definire il codice genetico del genere. Quindi saranno pure tre minuti radiofonici, quelli di “FoglieMorte”, che rischiano di essere asciugati dalle prime insistenti giornate di sole, ma ciò non toglie che siamo davanti a una hit da mezza stagione fatta e finita. Sottilmente ambiziosa. Orgogliosa. “Puoi cercarmi in questa notte dove in tanti poi si perdono”. Malinconica, lo ripetiamo, ma non è un insulto