I maghi non spiegano mai i loro trucchi. Al punto che spesso finiamo per credere che non siano trucchi, ma magie. Uno dei più classici, non sono un mago, posso spiegarlo senza rompere chissà quale patto non scritto, è quello di distrarre lo spettatore. La prestidigitazione, quella che in bocca a Silvan, mago dei tempi andati, è diventata una gag buona per il Mago Oronzo, è in fondo questo. Muovere le mani con abilità e in una sorta di coreografia degna di una etoille della scala, così che lo sguardo si concentri da qualche parte che non sia lì dove avviene il trucco. Tutti a guardare la mano destra mentre la mano sinistra nasconde l’asso nella manica, per dirla nella maniera più semplice possibile. Prestidigitazione, appunto. Quello a cui stiamo assistendo in questi tempi è pura prestidigitazione politica. La cosa che ci ammanta di mestizia è che a muovere le mani in quella coreografia sono spesso persone che non sono maghi, ma che col loro dibattersi affannato e anche scalmanato finiscono per creare ulteriori fonti di distrazione verso gli spettatori, mentre i maghi bellamente nascondono le carte dove vogliono. Succede spesso, in politica, se non sempre, ma mai come oggi, quando viviamo un periodo particolarmente oscuro che ha portato per la prima volta la destra-destra al governo, a qualcuno deve essere sembrato fondamentale distrarci, così da poter dire che le cose vanno meglio, che si è tornati a essere ottimisti, tutte quelle cose lì. Là fuori, però, tutto questo ottimismo non lo si vede, quindi ci si affanna a creare diversivi, quasi sempre del medesimo tipo. Si cerca un nemico, possibilmente abbastanza riconoscibile, sicuramente diverso da noi e da chi ci sostiene o pensiamo dovrebbe farlo, e lo si attacca violentemente, parlo di violenza verbale, ovviamente, ma anche di violenza vera e propria, perché stigmatizzare qualcuno, sia anche un gruppo sociale, etnico, o una comunità, farlo con le parole e volendo anche con certe leggi usa e getta, altro non è che violenza. Quindi il primo passo fatto da questo governo è stato occuparsi delle adozioni delle coppie omosessuali, delle gravidanze in affitto, così chiamate per creare appunto uno stigma (attenzione, non intendo difendere le maternità surrogate o gestazioni conto terzi, sto facendo un esempio concreto che il governo Meloni, arrivato mentre il paese stava affondando ha ben ritenuto di affrontare come primo passo del proprio iter). E poi ecco di nuovo il problema degli sbarchi. E così via. Oggi, a causa dell’evidente urgenza dei femminicidi, urgenza che comunque una parte dei media tenta goffamente di sotterrare sotto palate di retorica e di disinformazione, ecco che il nemico non può essere quello reale, una diseducazione sentimentale condita dall’epica del successo a tutti i costi, nessuno sembra più in grado di concepire anche solo l’idea del proprio fallimento in qualsiasi campo, ci metto il patriarcato anche sapendo che è discorso spinoso, buttato lì così, una violenza che è evidentemente in aumento. No, il nemico è nei testi violenti della trap e del rap, in certi casi limite anche nel satanismo e nel femminismo. Dato per assodato che non intendo occuparmi di stronzate come chi tira fuori il satanismo, Dio mio non scherziamo, né voglio svilire in poche parole, che magari poche non sono, lo so, ma che sarebbero comunque poche visto l’argomento, il femminismo, e visto che nella vita mi occupo di parlare di musica, direi che è forse il caso di smetterla di indicare nei trapper, nei rapper, e fosse anche nel terzetto sanremese de La Sad il nemico. Per intenderci, visto che è stato l’omicidio di Giulia Cecchettin da parte del suo ex fidanzato Filippo Turetta, usiamo i cognomi di entrambi, per dire, perché così va fatto, l’omicida non era un trapper di piazza Selinunte cresciuto con un’epica da gangster, era un ragazzo borghese del padovano, che presumibilmente neanche avrà mai ascoltato né Emis Killa né Baby Gang o chicchessia. Cito ovviamente Emis Killa perché recentemente è finito nel mirino di chi cerca un nemico, quando gli hanno sfilato da sotto il naso l’ingaggio per suonare in piazza a Capodanno a Ladispoli per via di un testo di alcuni anni fa che metteva in scena un femminicidio dal punto di vista del femminicida, testo che è stato letto solo in apparenza superficialmente da parte di chi lo ha attaccato, io ci vedo molta malizia, invece, che è stato assolutamente raccontato nel modo sbagliato, come se fosse un inno alla violenza maschile sulle donne. Un po’ come se chi racconta la storia di un ladro in prima persona inneggiasse ai furti, santo Dio, la storia della letteratura mandata a puttane da un manipolo di ignoranti che non sa distinguere voce narrante, protagonisti e voce dell’autore. Si è molto parlato, spesso a sproposito di come i testi della trap hanno delle responsabilità in questo preciso momento di diseducazione sentimentale. E lo si è fatto indicando nella febbre del malato di tisi il motivo della malattia, non un sintomo, il che fa di chi ha gridato “al lupo, al lupo” un pessimo medico che porterà alla morte il proprio paziente, perché far sparire la febbre senza curare la vera malattia rischia che poi il malato tornerà a essere guardato come tale solo quando ormai sarà in fin di vita, la storia mesta della medicina lo dimostra.
Siccome però questa è una guerra alla lupara bianca, e tutti i trucchi sono buoni per colpire il nemico, quello diverso contro cui potrebbe risultare facile armare le truppe cammellate, chi non si sente a disagio leggendo ex abrupto quei testi intrisi di sessismo e violenza, del resto, specie tra noi boomer?, ecco che nelle ore scorse a finire nel mirino dei cecchini è finito nientemente che Marracash, per intendersi colui che nel rap è al momento considerato uno dei più credibili protagonisti, per questioni di numeri, indubbiamente. Suo è il Marragheddon, quel fenomeno popolare che ha toccato Milano e Napoli raccogliendo intorno al suo nome il top degli artisti di settore e ha portato di fronte a quel top qualcosa come centoquarantamila spettatori, ma soprattutto per questione di credibilità, i suoi album sono tra i più ascoltati di sempre e le sue rime apprezzate anche da chi in genere non segue il rap, colto, intelligente, profondo, decisamente lontano da quelle rime così truci che tanto hanno scandalizzato i benpensanti. Succede che il cronista Davide Milosa, sulle pagine del Fatto Quotidiano, ha raccontato la storia di come, a suo dire, Marracash e Guè Pequeno, in due occasioni diverse, avrebbero fatto “un inchino”, cioè si siano in qualche modo genuflessi, più o meno metaforicamente, a un boss della mala della Barona, quartiere da cui Marracash notoriamente arriva. Il boss in questione, tale Nazzareno Calajò, detto Nazza, narcotrafficante agli arresti dal mese di aprile. Nel tratteggiare questo scenario, Milosa tira in ballo anche altri rapper, quali il giovane Young Rame, parlando di dichiarazioni della polizia penitenziaria, sia riguardo Marra che Guè, una cui foto con maglia che dice “Libertà per Nazza”, pur sottolineando come non ci sia nessun tipo di indagine su di loro. Quello che l’articolo vuole comunicarci è che il rap, chiamato da Milosa hip-pop, non per denigrare il genere, ma per evidente analfabetismo musicale del cronista, sia una sorta di epica della malavita, altro tassello di questa disinformazione atta a criminalizzare il diverso al solo scopo di sviare la narrazione reale, deresponsabilizzando chi di quella narrazione è autore primario, oltre che reale protagonista. Con Guè ho avuto in passato più volte modo di scontrarmi, perché pur ritenendolo uno dei più grandi talenti del rap italiano, ho sempre trovato quel talento sprecato, anche nel raccontare una vita di strada che, per origini, non gli appartiene. Ma mai mi troverei ad accusarlo di essere responsabile di un qualche crimine per il suo dire, volendo anche per il suo fare ammiccante, perché l’arte è arte, non risponde alla morale e non può che non risponderle per sua stessa natura, altrimenti non esisterebbe proprio l’idea di turbamento ma solo quella di bellezza. Per questi signori Johnny Cash, universalmente ritenuto un gigante del songwriting americano e non, sarebbe responsabile di rapine e omicidi, per il solo fatto di averli raccontati. E anche per aver frequentato, negli anni, personaggi dalla dubbia fama, stesso discorso per Frank Sinatra e chissà quanti altri cantanti. Ecco, Marracash, invece, mi sembra si sappia difendere già da solo. Lo ha fatto direttamente con le parole che seguono, attraverso delle stories su Instagram: “1) Non sono mai stato e mai sarò al servizio di nessuno. 2) Non è la prima volta che parlo di questi fatti e di queste persone, anzi lo faccio più o meno da 20 anni nelle canzoni e nelle interviste, ma è la prima volta che questa cosa viene utilizzata in questo nuovo clima di denuncia del nostro genere musicale. 3) Non ho mai inneggiato alla liberazione di criminali, mai detto ‘free nazza’ dal palco, ho salutato una persona che conosco, come uomo, da quando sono ragazzo. 4) Crescere nel mio quartiere mi ha fatto venire in contatto con realtà criminali, perché esistono, ma non mi ha mai impedito di essere una brava persona né di non saper distinguere il bene dal male. Ha solo reso la mia visione della realtà più completa e il racconto delle sue sfaccettature più realistico. 5) Il video di Infinite Love non è affatto un’ostentazione di ricchezza e violenza, ma l’esatto opposto. Nel video compaiono diversi pregiudicati e lo scopo è promuovere l’unità e la fratellanza tra quartieri proprio per cessare la rivalità e descrivere il disagio di chi resta intrappolato in una certa vita. 6) Non sono mai stato costretto a indossare nessuna maglietta e infatti non l’ho indossata. L’articolo sostiene il contrario ma non pubblica la foto, proprio perché non esiste. 7) Il 10% di cui si parla nell’articolo è la percentuale che Young Rome versa al suo management, esattamente come fanno tutti gli artisti. Mattia tra l’altro è uin bravo ragazzo, lavora e non ha pendenze con lo stato. 8) Non ho mai versato percentuali se non alle persone che lavorano alla mia musica con me. Riassumendo… è davvero mortificante realizzare che in questo momento il genere musical più popolare e più giovane in Italia sembra davvero essere sotto strategico attacco da parte di un certo tipo di istituzioni e di giornalismo; generici attacchi ai testi dei cosiddetti ‘trapper’, decontestualizzati e spogliati della musica fino a renderli indifendibili, poi le feste i piazza che saltano per una rilettura faziosa e ignorante di interpretazioni di realtà drammatiche che purtroppo esistono e che nel rap trovano semplicemente voce nonché denuncia. Sarebbero occasioni per l’apertura di dibattito e confronto con gli autori, invece vengono criminalizzati e scartati come spazzatura. Ulteriori occasioni perse per questo Paese di molte pance e poche teste”.
Il rap, non lo dico io, né Marra, ma lo ha attestato Chuck D dei Public Enemy, a ragione considerato una delle voci più autorevoli del movimento afroamericano (non dei rapper, attenzione, ma del movimento tutto), è la Cnn del ghetto, così è nato negli Usa, e da noi è lo storytelling delle periferie, anche questo oltre che un genere che indubbiamente è divenuto mainstream, perdendo il suo senso generale e magari anche rovinandosi. Un genere musicale che racconta certo la wild side della strada, lo ha sempre fatto, Ice-T, uno dei rapper storici più famosi in America prendeva il nome da Iceberg Slin, criminale e scrittore divenuto famoso per il romanzo Pimp, “pappone”, ma non è una sorta di subliminale istigazione a delinquere in rima, quanto piuttosto il racconto di una parte della nostra società che troppo spesso non riusciamo a decifrare, e che volendo sta lì, in bella forma, oltre che un modo, reale, di emancipazione di chi parte svantaggiato nella scala sociale. Criminalizzare chi racconta invece di chi permette, temo, sia l’errore degli errori, auspicare una censura, invece, la prova provata che viviamo in tempi bui, come quelli in cui si infilavano le mutande alle statue, mentre si firmavano le leggi razziali. Parlare di quel che non si conosce è sempre sbagliato, farlo senza essersi informati peggio, farlo per i motivi sbagliati, invece, è proprio imperdonabile Hip-pop, Cristo, per oggi è tutto.