La difesa di Gérard Depardieu vale più del dibattito stesso. La lettera in difesa di Depardieu non è una lettera in difesa di Depardieu. La posta in gioco è più alta. Ma facciamo un passo indietro. È la prima metà del Cinquecento, e François Rabelais scrive forse il più grande capolavoro della scrittura comica, Gargantua e Pantagruel: “A lei col mio buon mestolo imbrandito Il buco dell'urina avrei condito, Mentr'ella avrebbe col suo roseo dito Il buco della merda a me forbito, cacando. Ed ora andate a dire che sono un buono a nulla. Oh per la merda! Mica li ho fatti io questi versi, ma udendoli recitare dalla nobil matrona che vedete qui, li ho conservati nel ripostiglio della mia memoria”. Non sto cercando di confondere la storicità del significato con gli eventi contemporanei. No. Però l'editoria oggi avrebbe cancellato quasi sicuramente Rabelais dai piani editoriali, e una sessantina di persone avrebbero scritto una lettera al giornale Le Figaro, una sorta di supplica, più che un segno di protesta, firmata da attori, artisti e anche da molte donne, tra cui Carla Bruni, Charlotte Rampling e Carole Bouquet, come è successo a Depardieu. Il messaggio da parte dei suoi colleghi, scesi in campo per denunciare il linciaggio del grande divo del cinema francese - accusato di stupro dal 2020 e al centro di uno scandalo mediatico in seguito a un documentario trasmesso su France 2 - è chiaro: bisogna difendere l’arte.
L'argomento è il seguente, se Depardieu non fosse l'attore famoso che è, godrebbe quantomeno di una presunzione d'innocenza fino alla decisione del giudice. Dall'altro lato della cinepresa, ci sono le organizzazioni femministiche - passatemi il cacologismo, ma la cancel culture è qualcosa che va oltre un femminismo giusto e valido - che vorrebbero impedire di separare l'uomo e l'artista, anche ammesso che questo abbia un qualche senso. Vorrebbero che la colpa dell'uomo cancelli la sua esistenza pubblica, e in parte con Depardieu è già successo. All'attore francese infatti sono state revocate alcune onorificenze pubbliche che gli erano state conferite, e la sua statua di cera è stata tolta dal Musée Grevin di Parigi, come avvenne per quella di Putin - e qui bisognerebbe ragionare sulle differenze tra i due personaggi - ma sarebbe un compito ingrato, in quanto richiederebbe di definire la proporzionalità del castigo in riferimento all'entità del delitto, cosa che al delirio dei tribunali popolari semplicemente non interessa: l'obiettivo è quello di rimuovere dalla sfera pubblica tutto ciò che potrebbe risultare nocivo. Rimuovere il diritto all'esistenza in maniera retroattiva, come se non fosse mai esistito. Una sorta di lockdown concettuale, al posto di un vaccino. Senza pensare tutto questo in termini di sistema immunitario, ci si potrebbe limitare ad attendere quantomeno una sentenza che arriva sempre troppo tardi rispetto ai trend, e comunque può anche non essere vista come valida, da un punto di vista ideologico. Se danno dev'essere, che sia immediato. Come successe per Johnny Depp, buttato giù dal ponte dell'ammiraglia Disney in seguito alle accuse di Amber Heard, salvo poi scoprire che lei mentiva sapendo di mentire. Ma ormai il danno era fatto, e magari ci ritroveremo Enrico Brignano a fare Jack Sparrow.
Un altro esempio, Kevin Spacey, spazzato via da Netflix dopo le accuse di violenza da parte di alcuni uomini. Assolto, è tornato ora a interpretare Frank Underwood in House of Cards nel suo messaggio di Natale, tanto per prendersi una piccola rivincita sul fatto che il colosso delle serie in streaming avesse provato a sotterrarlo. Come si vede, non si tratta qui di essere irrispettosi nei confronti delle vittime. Nel caso di Depp, o di Kevin Spacey, chi si può definire come vittima? Su Depardieu la questione può essere ancora più sfumata, in quanto stiamo parlando di una persona che, nel 2014, ammetteva di bere 14 bottiglie di vino al giorno. L'alcool non giustifica nulla, questo è palese, ma questo dato ci aiuta a contestualizzare il personaggio, molto meglio di quanto non facciano i giornali nell'accostare la notizia dell'attrice che si è suicidata al fatto che avesse denunciato Depardieu per stupro, come se da una cosa si debba per forza inferire un’altra, come diretta conseguenza. Citando ancora da Rabelais: “I miei maestri così m'hanno avvezzato dicendo che la colazione rinforza la memoria e davano per primi l'esempio del bere. Io me ne trovo benissimo e pranzo anche meglio”. Se Depardieu abbia preso troppo alla lettera il Gargantua, questo non lo sappiamo, anche se sembra essere uscito da una delle pagine del romanzo. Se oggi possiamo leggere Rabelais è soltanto grazie al fatto che la sua opera è sopravvissuta alla censura, ed è questo il significato della lettera che gli artisti hanno inviato al Le Figaro. La cancel culture si è fatta carico di un compito che è sempre stato reazionario, come una sorta di Inquisizione dei buoni sentimenti e della morale contemporanea, ma la censura, e questo non si può controbattere, è sempre qualcosa di inaccettabile. Anche quando si rivolge a qualcosa di fondamentalmente sbagliato, è come la rimozione dei traumi in psicanalisi. Il mondo delle fate non esisterà mai. Al momento, serve soltanto a far diventare un inferno il mondo di chi è anche solo sospettato di aver commesso qualcosa. La caccia alle streghe è questo, a questo punto sarebbe bene togliere anche la statua di Giovanna D'arco dal museo delle cere. Per coerenza.