Sono stato un giovane punk. Un giovane punk fuori tempo massimo, sono nato nel 1969, troppo tardi per essere punk quando il punk è esploso, nella prima metà degli anni Settanta, col 1977 come apice, e troppo vecchio per apprezzarne la rinascita di quella congenie di poppettari che tanto ha fatto battere il cuore a chi il punk vero manco sapeva cos’era, oggi fare il nome dei Green Day sembra anche troppo facile. Troppo giovane anche per il punk italiano, che come in ogni campo musicale da un certo momento in poi, diciamo proprio dal punk, col prog eravamo stati campioni assoluti, arrivava sulla scena del crimine quando già Elisa True Crime aveva finito una stagione di podcast a riguardo. Però sono stato un giovane punk. Ascoltavo l’hardcore americano, Hüsker Dü e i Black Flag in testa, ma avevo una singolare passione per Jello Biafra e i suoi Dead Kennedys. Di punk italiano, ai tempi, sapevo poco o nulla, più per mancanza di possibilità di saperne qualcosa, non c’era internet e vivevo pur sempre in provincia, che per disinteresse. Ero soprattutto punk dentro, perché anarchico di formazione, Bakunin accompagnava i miei studi universitari, fatti a distanza, studiavo Storia Moderna a Bologna senza aver mai frequentato una sola lezione, vivevo in Ancona, e perché, uscito dal liceo classico della diocesi di Ancona, avevo maturato l’idea che qualsiasi ordine precostituito fosse da abbattere come il Male assoluto, antimilitarista convinto avrei poi visto crollare certe mie convinzioni proprio nel periodo del servizio civile, quando la dura realtà di un dormitorio per senza fissa dimora avrebbe fatto atterrare quegli ideali in uno scantinato putrescente. Ero talmente un giovane punk che a fianco a quegli ascolti, difficile che ci fosse una qualche uscita internazionale che non mi capitava sottomano, questo grazie alla salvifica azione dei fratelli Paolo e Roberto Bartola, miei fraterni amici, con Roberto avrei poi fondato la mia band punk, gli Epicentro, che non a caso io avrei voluto chiamare Dead Kossigas, ascoltavo anche musica italiana ascrivibile al genere cantautorale, volendo anche cantautorale pop, Claudio Baglioni su tutti, e non disdegnavo affatto la musica black, il rap sarebbe stato oggetto della mia tesi di laurea, tesi poi mai discussa.
Vivendo in provincia, e vedendo i pochi punk appena più grandi di me bigellonare in Piazza Cavour, dove in realtà facevano ritrovo coi dark, i metallari stazionavano invece poche centinaia di metri più in là, alla Galleria Dorica posta a metà del corso Garibaldi, avevo deciso di prendere parte alle prime occupazioni atte a dar vita ai primordiali centri sociali anconetani, senza mai dormire in loco, parlo della Stazione di Polizia di Posatora, pensa che geni a occupare una stazione di polizia, seppur in disuso, di Villarey, poi quella del quartiere di via Flavia. Andavo, ma venivo sempre percepito come un corpo estraneo, loro tutti in mise da punkabbestia, chi più chi meno, io col mio impermeabile, i miei maglioni, a volte anche una giacca (ai tempi la mia fidanzata, oggi mia moglie, covava il sogno che a un certo punto avrei scoperto l’eleganza, lei la vera sognatrice della coppia), volendo anche i miei capelli lunghi, ai tempi molto più lunghi di ora, decisamente poco punk, semmai metal, e punk e metallari, almeno in Ancona, si stavano parecchio sulle palle. Anche in quello ero punk, perché ritenevo e ritengo che le convenzioni siano tutte sovrastrutture da far brillare a suon di esplosivo, compresa quelle che vogliono i punk vestiti in certi modi, così come tutte le sottoculture giovanili di importazione. Non è un caso che quando ho poi cominciato a scrivere di musica, scegliendo categoricamente di non occuparmi quasi mai della musica che ho suonato e che in tutti i casi continuo a ascoltare per il piacere di farlo, il pop il mio indubbio campo di azione come critico musicale, io abbia adottato senza esitazione un atteggiamento decisamente punk, intendendo con questo l’essere anti-sistema, l’essere anche anti-convenzionale nei modi, parlo di stile, certo, seppur tutto io sia fuorché punk a livello di preparazione, il Do It Yourself non rientra esattamente nella mia modalità quando si tratta di mettere parole una dietro l’altra, seppur me ne sbatta allegramente delle regolette Seo, delle cinque W del giornalismo e quelle cazzate lì, parlo quindi di stile ma parlo soprattutto di contenuti, l’idea di essere eversivo, andare contro corrente, nel bene e nel male, farmi voce fuori dal coro in mezzo a una monotonia di voci intonate (o stonate) all’unisono è parte integrante del mio scrivere di musica. In questo caso, ma forse questa è anche un po’ malizia, e la malizia non credo sia ascrivibile a una estetica punk, o meglio lo è, le svastiche o le spille da balia infilate in faccia ottenevano maliziosamente il loro scopo provocatorio, ma erano comunque tanta roba, in questo caso, dicevo, il mio look, quello che mi teneva ai margini dentro i centri sociali che frequentavo, pensa te, io troppo elegante, ha agevolato l’idea di me come un punk nel calderone del pop, i capelli e la barba lunghi, le felpe, le t-shirt di gruppi ai più sconosciuti. Resta che quella punk è un’attitudine, certamente, non necessariamente legata a quel che si fa, o meglio, anche legata a quel che si fa, ma come nel caso del rock è più un’attitudine che un semplice genere musicale. Per dire, i Die Antwoord sono punk, seppur la loro musica si muova decisamente in altri territori. Così anche i Nine Inch Nalis, e la chiudo qui.
Punk è un’attitudine, che va applicata al modo di agire, quindi influisce nel proprio modo di stare dentro il sistema, e di conseguenza nel proprio modo di provare a sovvertirlo, possibilmente tirandosi dietro tutto. Difficile pensare che le varie querelle nelle quali mi sono trovato immischiato, per mia volontà, negli anni, da quelle con Salzano ai vari scontri epici con personaggi come Laura Pausini, passando per gli altrettanto epici scontri coi colleghi che ritenevo e ritengo un po’ troppo compiacenti al sistema, faccio tre nomi su tanti, siano qualcosa di diverso dal punk. Rivendico quindi il sacrosanto diritto di essere punk anche nel momento in cui recensisco il disco di Irama e Rkomi, per citare qualcosa di recentissimo, come di andare, apprezzandolo parecchio, al concerto di Giorgia al Forum, volendo anche di andarmi a sentire il Requiem di Mozart al Duomo e qualsiasi cosa mi passi per la testa, le categorie e le gabbie le lascio a chi al sistema è assuefatto, io sono un punk.
Quando quindi ho letto che Emma Marrone, che al pari di Laura Pausini è artista, Dio mi perdoni (sì, sono anche cattolico, pensa te come intendo io l’essere punk), con cui mi sono spesso scontrato, direttamente o per interposta persona, nel suo caso il suo fanclub, presentando il suo tour nei club, qualcosa che a mio avviso è figlio del suo decrescente successo, ma che lei vende come una scelta votata all’intimità, si è definita, cito tra virgolette, “la più punk rock grunge d’Italia”, poi vai a capire se abbia detto esattamente questo con queste parole o questa sia la sintesi praticata dal collega di Tg24Sky, ho sussultato, ma mi sono anche posto delle domande. Perché magari, mi sono detto, quello che mi faceva sussultare, provando anche un certo moto di indignazione nei confronti di questa affermazione, era un mio modo di stare appunto dentro una qualche gabbia preconcetta, un aderire a una visione del mondo standardizzata, canonizzata, per cui chi fa pop, anche pop decisamente di merd*, non ha diritto a definirsi punk rock grunge solo perché ha deciso di fare una musica che guarda altrove, ma dentro l’animo lo è, lo è eccome. Mi sono posto queste domande, nel vederla saltare sul palco, coperta di rete, e lungi da me dare giudizi estetici, non mi frega davvero nulla di questo aspetto, che per altro è spesso uno degli strumenti di chi mi contesta imbraccia, figuriamoci se vado a dire qualcosa a riguardo. Me lo sono chiesto sentendola urlare non ricordo più che brano, parlo dei social, probabilmente Amami, quella che del suo repertorio è probabilmente la sua canzone più famosa, anche perché usata come colonna sonora di uno spot, anche qui, non ricordo di cosa. E poi mi sono detto che no, Emma non può dirsi punk rock grunge. Primo perché mettere queste tre parole una in fila all’altra come se fossero sinonimi o rafforzativi non significa letteralmente un cazz*. Parliamo di genere musicali, qui, non di attitudine (se volessimo parlare di attitudine direi che l’una vale l’altra, almeno per chi fa riferimento al punk, come dirsi hardcore e metal, suppongo), e la musica che fa Emma è invece dannosissimo pop di bassa fattura, non per una questione di Do It Yourself, attenzione, anche in questo nulla di punk è presente, ma perché, nonostante una produzione da major, una attenzione e cura da parte del sistema che da tempo la sostiene nonostante numeri che ora la portano a cantare al Vox di Nonantola invece che a San Siro, il risultato è sciatto e misero, robettina che se la ascolti mentre fai altro può darti fastidio come il rumore della lavatrice che sta facendo la centrifuga nella stanza accanto, sono punk quindi scrivo mentre di là va la lavatrice, mica sto in uno spazio di co-working fighetto tutto musica ambient, se invece lo ascolti con attenzione ti viene voglia di dire “ma non avrei forse fatto meglio a occuparmi nella vita di geologia? Almeno passavo le giornate dentro il fango nei cantieri, invece che a ascoltare certa musica con gli altri che pensano pure che non faccio un cazzo tutto il giorno?”. Emma non è punk, non è rock, non è grunge. È parte integrante del sistema, è partita da Amici di Maria De Filippi, cordone ombelicale che non ha mai tagliato, a Amici è tornata e a quel mondo ha continuato nel tempo a fare riferimento, quanto di più sistematico che esista. Ha fatto a più riprese Sanremo, e solo uno che pensa che sia punk Achille Lauro che si mette la tutina di Britney Spears o Rosa Chemical che si bacia in bocca con Fedez potrebbe anche solo sognarsi che Sanremo abbia a che fare col punk, sistema alla sua ennesima potenza. Viene spinta, nonostante quello che la logica dovrebbe portarci a pensare, da Friends and Partners, dalla Universal, toh, ci metto anche Vasco, che le ha regalato un suo brano minore, scritto con Gerardo Pulli e Pietro Romitelli, due autori che con Amici e più in generale il sistema hanno a che fare, Pulli la ha pure vinto, Amici, la firma del Blasco e di Curreri, immagino e spero arrivata per averci messo su le mani ex post, tutt’altro che punk avere una tale potenza di fuoco alle spalle, e ciò nonostante trovarsi a cantare nei club per stare più intimi. Ecco, forse questo ha spinto Emma a definirsi punk rock grunge, non il confondere l’essere grezzi e poco eleganti con l’essere sovversivi e antisistema, quanto l’idea che suonare lì dove suonano in genere quei gruppi rock e punk (il grunge direi che è morto da tempo, sempre che non si voglia continuare a pensare che siano grunge quelli che lo hanno inventato, dai Pearl Jam a Dave Grohl) faccia di te parte della compagnia di giro. Come a dire che se un giorno vai a farti una corsa in bici a Villa Reale a Monza, allora sei un pilota del MotoMondiale o di Formula1. Anche questo ostentare una sincerità sfacciata, che potrebbe fare simpatia, non fosse sempre ammantata di una certa arroganza, anche volgare (dire “non me ne frega un cazz*” non fa di te una punk, fa di te una persona che di fronte a un microfono non trova un giro di parole più evoluto, e che cazz*), suona vagamente costruito, non è che avere problemi di salute, subire lutti tremendi, volendo anche essere oggetti costanti di attacchi di haters e a suon di body shaming ti elevi al ruolo di artista credibile, per dire, se sei un ingranaggio di un sistema che ti tiene in ballo da tempo quello rimani, semplicemente sei quell’ingranaggio lì, tanto quanto altri tuoi colleghi sono ingranaggi con altre caratteristiche, ti arrivo a dire che anche quella del critico punk che va con le felpe della Svezia alle conferenza stampa del secondo disco di Mina-Celentano il giorno dopo che la Svezia ha eliminato col famoso biscotto l’Italia dai mondiali, sì, ho fatto anche questo, o che sputtana certi giochetti a suon di palasport riempiti regalando accrediti facendosi intervistare da Striscia la Notizia esibendo la sua folta chioma, sempre il vostro affezionatissimo, e il palasport riempito con gli accrediti era proprio quello di Emma, per altro, è parte del sistema, mica vivo a Fantasilandia, io. Con la piccola differenza che di quel sistema io rappresento la spina infilata sotto la pelle, quasi sempre a lato, per scelta mia e del sistema, mai seduto a mangiare a quella tavola temo oggi neanche troppi imbandita, tu, Emma, sei una delle medagliette di ottone spacciate per cimeli d’oro d’epoca, seduta in prima fila a fianco agli altri. Il punk, il rock, il grunge nulla hanno a che fare con te, sicuramente musicalmente, fai pop dozzinale, e ultimamente lo fai anche provando a seguire la scia di chi quel pop lo fa decisamente meglio di te, Elodie su tutte, nonostante a livello di autori e produttori vi capiti a volte di andare a pescare nello stesso stagno, e soprattutto sei talmente organica al sistema da non poterti smarcare da esso neanche ti ritrovassi domani a prenderne decisamente le distanze, perché le attitudini uno non è che se le indossa come fossero abiti, le attitudini sono semmai il corpo che dentro quegli abiti si trova, nudo e crudo.