Nell'ormai distopico universo dei social media, alcuni mesi fa ho deciso di compiere un'azione piena di coraggio e incoscienza, ovvero immergermi come la migliore delle palombare digitali nei profili di Belén Rodríguez e Chiara Ferragni. Il profilo della showgirl argentina più amata d’Italia sembrava intrigante: un mix di rose, cavalli e malinconia (e di recente pure una foto che la ritrae con un anello di fidanzamento) un po’ stucchevole, ma con immagini curate e una narrazione glamour che mi ha spinto persino a metterle un convintissimo follow. Il lato artistico di Maria Belén non è affatto male. Dopo due mesi però, mi sono dovuta fermare e ho deciso di staccarmi dal suo account a causa della gigantesca quantità di odio proveniente dalla community. Con grande dolore ho dovuto rinunciare a godere delle foto di lei che dorme tra enormi cuscini di lana blu e le mani del fidanzato Elio Lorenzoni (e futuro marito?) a causa dei continui insulti sotto 'ste foto da creator di Tumblr, che non dovrebbero in nessun modo scandalizzare nessuno. E invece mi sono ritrovata davanti a una mole di improperi tale da farmi credere che Belén, regina delle storie d'amore e divorzi narrati tramite file jpeg, abbia trovato una nuova vena creativa: coltivare pirla sotto i suoi post. Pirla che però, a quanto mi risulta, la signora Rodríguez non querela in massa. Peccato.
Chiara Ferragni, madre dei Ferragnez, imprenditrice digitale, queen dei social, e architetto di fashion statement audaci, è stata attaccata (ma non affondata, quello quando mai) per aver indossato un inoffensivo costume di Halloween, quello di Sharon Stone in Basic Instinct, ha dimostrato per l'ennesima volta che nessuno è al sicuro nel mondo dell'odio online e, soprattutto, che molte persone sembrano aver smarrito il senso dell’umorismo. La Blonde Salad ha dovuto perfino cospargersi il capo di cenere e spiegare attraverso TikTok che un costume di halloween è di fatto una carnevalata. “Tranquilli, non sono un'unghia della Stone”. Ho citato due donne con le spalle larghe, capaci di sopportare questo schiamazzo di marmaglia urlante il cui insulto preferito è: “Vergognati!” (ma di che poi?di essere ricche e affermatissime?). Tuttavia, i tristi fatti della più recente cronaca ci ricordano che non tutti sopravvivono letteralmente alle parole sbagliate messe insieme come un fiume in piena, da orde di annoiati e livorosi. Un bel fiume di merda, aggiungerei, che a volte si trascina dietro qualcuno. Inquisitor Ghost, morto suicida a 23 anni, forse forse non si meritava di venire additato come pedo*ilo da una massa informe di poveri stronzi.
Ora mi chiedo: come fermare questa commedia dell'odio? C'è un lato oscuro della libertà digitale che alimenta il fenomeno dell'hate speech, spingendoci a riflettere su come porre fine a questo spettacolo fatto di parole sprezzanti ed emoticon da bimbi minchia usate a caso, per sottolineare malessere, schifo e analfabetismo. Ci ho pensato. Profondamente. E sono giunta alla conclusione che la gogna pubblica utilizzata a volte da molte Celeb non attecchisce, non disincentiva. Anzi, a volte è quasi motivo di vanto, per i più beoti del gruppo. La depenalizzazione dell'hate speech è una delle possibili soluzioni che merita di essere esaminata. Sembra una sciocchezza ma pensiamoci con calma: rendere l'hate speech un reato potrebbe disincentivare coloro che trovano divertente o addirittura gratificante insultare gli altri attraverso lo schermo. Insomma: “Rompi i coglioni?”. “Benissimo. E io ti apro il portafoglio”. Certo, sensibilizzazione ed educazione potrebbero giocare un ruolo cruciale nel cambiare la mentalità degli utenti, specialmente quelli più giovani. Per i boomer da rissa su Facebook, non vedo grandi margini di educazione, ma solo chili di ingiunzioni svolazzare verso di loro. Chiudere questo orrendo vaso di Pandora sull'odio richiede un approccio trasversale, un'analisi critica delle dinamiche online e la volontà collettiva (letteralmente di TUTTI) di costruire una rete più positiva e inclusiva. Solo così potremo sconfiggere gli haters digitali e preservare il vero scopo delle piattaforme social: connettere, ispirare e condividere esperienze in modo costruttivo, senza il rischio di venire linciate/i vive/i per le foto dell'ennesima scelta che “Maria Assunta da Genova” non approva, senza che qualcuno debba urlarci addosso vergogna perché non stiamo seguendo la vita che loro immaginano per noi.