Nel suo discorso all’assemblea generale delle Nazioni Unite, Donald Trump ha accusato Londra di “voler passare alla sharia”, la legge religiosa islamica. Keir Starmer, il premier britannico, ha risposto con un sorriso di sufficienza: “Sciocchezze”, ha detto, come se bastasse il ridicolo per annullare un problema. Eppure, a guardare più da vicino, la questione non si dissolve nel fumo delle battute o della propaganda. Trump, come spesso gli accade, ha esagerato; ma esagerare non è mentire, è deformare una quota di verità sottostante, quella di un’Europa in cui la sharia è ospitata in frammenti, in spazi paralleli dove l’ordinamento civile arretra per “timidezza” o opportunismo.
L’ombra lunga delle “corti religiose”
Nel Regno Unito non esiste chiaramente alcuna legge islamica riconosciuta dallo Stato. Eppure – come ha documentato Hannah Baldock su Spiked e come ha paradossalmente riconosciuto la stessa Bbc in un debunking delle affermazioni di Trump – ci sarebbero oggi almeno 85 consigli della sharia, tribunali informali che “gestiscono dispute tra musulmani e garantiscono il rispetto delle norme islamiche”. Queste strutture non hanno forza legale, ma dispongono di un potere reale all’interno delle comunità. Lo si è scoperto già nel 2007, quando un’inchiesta televisiva di Channel 4, Undercover Mosque, mostrò imam che rifiutavano apertamente “la legge dei miscredenti” e invocavano un’autonomia religiosa completa.
In molti quartieri di Birmingham, Leicester o East London, la sovranità statale non è minacciata da milizie, ma da codici morali, arbitrati familiari, consuetudini che rendono “facoltativa” la legge nazionale. “Il Regno Unito non sta andando verso la sharia – scrive Baldock, esperta di terrorismo e radicalizzazione – la sharia è già qui per molti cittadini musulmani”.
Una presenza visibile soprattutto nelle questioni matrimoniali. Si calcola che oltre il 60 per cento dei matrimoni musulmani in Inghilterra non sarebbe registrato presso lo Stato, ma soltanto sancito da un contratto religioso, il nikah. In questo sistema, l’uomo può ripudiare la moglie in qualunque momento, mentre la donna, per separarsi, deve chiedere il consenso del marito. Una struttura patriarcale (che le femministe di professione da social si guardano ben dal denunciare, perché il patriarca non corrisponde all’identikit desiderato come bersaglio) che trasforma il diritto familiare in dispositivo di dominio, lasciando molte donne “abbandonate o intrappolate”, come ha osservato l’Home Office (Dipartimento dell’Interno) in un rapporto del 2018.
La politica ha reagito blandamente, per paura di “offendere le sensibilità culturali”. Così, mentre si celebrano matrimoni islamici non riconosciuti, esiste oggi persino un’app che consente di redigere testamenti conformi alla sharia, dove alle figlie spetta solo la metà dell’eredità dei figli maschi e dove si esplicita anche l’opzione della poligamia (piccolo dettaglio, vietata per legge).

Il silenzio e la paura
Se la Gran Bretagna preferisce il compromesso, la Francia paga il prezzo della franchezza. Cinque anni fa, l’assassinio di Samuel Paty – insegnante di storia decapitato per aver mostrato in classe le vignette di Charlie Hebdo – ha segnato una linea di non ritorno. Nel ricordarlo a cinque anni dalla sua cruenta eliminazione, Free Speech Union sottolinea che “viviamo già sotto una forma di legge sulla blasfemia, fatta rispettare con la paura”.
Clarissa Hard, sullo Spectator, ha documentato come la minaccia di violenza, anche solo potenziale, abbia prodotto una censura diffusa. Dopo l’uccisione di Paty, un docente della Batley Grammar School che aveva mostrato le stesse vignette è stato costretto a fuggire con la famiglia. Nella cittadina di Wakefield, nel 2023, un ragazzino di quattordici anni è stato sospeso e minacciato di morte per aver rovinato accidentalmente una copia del Corano. Sua madre, terrorizzata, ha dovuto presentarsi in una moschea, velata e tremante, per chiedere perdono pubblicamente. La polizia era presente. Nessuno ha osato chiamare quell’umiliazione col suo nome: imposizione religiosa.
Il risultato è un’autocensura generalizzata. Secondo un sondaggio Ipsos, il 38 per cento dei britannici ammette di evitare conversazioni sull’Islam per paura di conseguenze. Il rispetto è diventato un sinonimo pavido di rinuncia. La democrazia liberale, nata anche per garantire la libertà di parola, ora la sospende “temporaneamente”.

La Francia e l’islamizzazione dal basso (e dall’alto, in stile Houellebecq)
Dall’altra parte della Manica, la Francia vive una mutazione più strutturale. Come ha rivelato Le Figaro, un rapporto commissionato dai ministeri degli Esteri, dell’Interno e delle Forze Armate descrive l’ascesa di “una rete tentacolare che ha saputo islamizzare parti del territorio nazionale”, “aggiudicandosi” almeno 139 luoghi di culto, oltre ottocento scuole, sessantamila studenti: un’architettura sociale che penetrerebbe nei quartieri più poveri e nelle istituzioni educative.
Il documento parla di una “strategia a due teste”: islamizzazione delle masse attraverso i servizi sociali e islamizzazione delle élite per ottenere legittimità politica, in stile “Sottomissione” di Michel Houellebecq: piegare la società dall’interno, usando il linguaggio dei diritti per smantellare la cultura dei diritti.
Le norme sociali – velo, barba, separazione dei sessi – si impongono “man mano che l’ecosistema si consolida”. In un decennio, il numero di donne velate è aumentato del 50 per cento. Da ministro dell’Interno, il leader repubblicano Bruno Retailleau ha parlato apertamente di un tentativo di “far inginocchiare la Francia alla legge della sharia”.
La repubblica, laica per definizione (e in Francia anche per applicazione), si scopre minacciata non da un esercito ma da un’ideologia che colonizza la vita quotidiana. Si è lasciata erodere “tra negazione e ingenuità”, osserva Le Figaro, mentre gli islamisti “sfruttano le debolezze di una democrazia”. E la debolezza principale è la paura di apparire “intolleranti”.

E l'Italia?
E l’Italia? Forse non è ancora terreno aperto di conquista, ma osserva il contagio europeo con crescente inquietudine. Una proposta di legge avanzata da Fratelli d’Italia, che vieterebbe il velo integrale e introdurrebbe pene più severe per matrimoni forzati e pratiche come la “certificazione della verginità”, è stata presentata come “una norma di civiltà”, volta a impedire la formazione di “enclave dove si applica la legge della sharia”.
Il sottosegretario Andrea Delmastro (dello stesso partito della premier Giorgia Meloni) parla apertamente di “soft power esercitato da associazioni, enti e parti terze con altre finalità” che si insinuerebbe “dietro i finanziamenti di alcune moschee, al di là del problema delle moschee abusive”.
L’Italia, ancora apparentemente priva di quartieri segregati o tribunali paralleli, è come sempre in ritardo, ma in questo caso non sarebbe uno svantaggio: vede negli altri ciò che potrebbe accadere a sé. La domanda è se farà qualcosa per evitarlo.
