Qualcuno di voi ricorda cosa stava facendo cinquant’anni fa? Sempre che già fosse già nato, cinquant’anni fa. Io ero nato. Da pochi anni, ma ero nato. E mi chiedo: cosa stavo facendo cinquant’anni fa? I ricordi sono una faccenda difficile da governare, difficile da capire. Quelli a breve termine, che riguardano prevalentemente il nostro vissuto, il nostro quotidiano, anche, passano dall’ippocampo, dove però stazionano per un tempo limitato. L’ippocampo, infatti, non trattiene questi ricordi a lungo, lì manda via dalla corteccia, dove, a seconda che ci torniamo su, si possono rafforzare o rendere labili. Ogni volta che pensiamo a qualcosa, i neuroni vengono attivati e il ricordo si rinforza, per contro, se non pensiamo mai a un ricordo, questo col tempo potrebbe svanire del tutto. Vorrei dire che so questo cose perché le ho studiate, o perché ho letto autonomamente testi scientifici che ne parlavano, in realtà mi ha passato il tutto il dottor Daniel Pierce, interpretato da Eric McCormack nella serie Perception, durante una lezione tenuta per i suoi alunni, all’inizio della puntata numero tre della terza e ultima stagione della serie. Schizofrenico e paranoico, il Dr Pierce, professore universitario in neuroscienze, collabora con l’Fbi, andando a risolvere casi in apparenza irrisolvibili, ma questi sono dettagli irrilevanti, che suppongo proprio per i motivi di cui sopra, presto dimenticherete. L’ippocampo, in realtà, non amministra solo la memoria a breve e a lungo termine, ma anche la memoria spaziale e all’orientamento. Il nome, se per caso la parola ippocampo vi ha in qualche modo fornito qualche suggestione, pur non avendo mai voi sentito parlare di questa determinata struttura cerebrale interna del loro temporale, deriva dall’estrema somiglianza di questa piccola parte del cervello con i cavallucci mari, chiamati scientificamente, appunto, ippocampi. La parola ippocampo, tanto per finire il quadro, significa qualcosa che suona come cavallo mostruoso del mare, visto che la parola hippos significa appunto cavallo, e la parola kampos significa mostro marino. Non per nulla il cavalluccio marino per alcuni popoli asiatici è considerato un piccolo drago. Con la tipica testa così simile a quella di un cavallo, la coda arricciata e quel modo di spostarsi in verticale, l’ippocampo, o cavalluccio marino, è considerato un po’ ovunque un portafortuna, se tutto questo abbia qualcosa a che fare con la faccenda della memoria a breve o lungo termine mi sfugge, o magari lo sapevo ma l’ippocampo me lo ha fatto dimenticare. Andando quindi a scartabellare in giro per il web, e dove se no?, riguardo l’ippocampo, e provando a scoprire se la musica abbia un qualche canale privilegiato su questa specifica parte del cervello così importante per la memoria, il tutto per cercare di capire perché ascoltando certe canzoni ci vengano in mente certi ricordi, ho scoperto che sì, ricordi legati a determinati musiche tendono a essere privilegiati nell’ippocampo, più forti, discorso evidentemente transitivo, pensate a come ascoltare certe canzoni, per noi legate indissolubilmente a certi ricordi, ci porti a associare certe emozioni e sensazioni anche a canzoni che con quelle sensazioni e emozioni non avrebbero nulla a che fare, finendo per amare o odiare canzoni che razionalmente dovremmo disprezzare o adorare, solo in virtù dei ricordi che ci evocano, ché comunque la musica è in grado di far produrre al nostro cervello la dopamina, questa un’informazione che in realtà già conoscevo. Specificare che la dopamina sia una sostanza chimica che produce piacere e allontana gli stati d’ansia, una sorta di droga psicoattiva che però produciamo autonomamente, e che la parola doping, per dire, ha la sua stessa radice, mi sembra quasi superfluo, anche se nello scriverlo non posso che pensare, in ordine di arrivo, al brano Rapadopa brano eponimo dell’omonimo album di Dj Gruff, brano che vede Gruff in ottima compagnia dei suoi compari del tempo, Neffa e Deda, che con Gruff formeranno di lì a breve, Rapadopa è del 1993, i Sangue Misto, autori di SxM, considerato a ragione il più rilevante album di rap italiano, almeno di quell’epoca, quindi non posso che pensare al brano Rapadopa, e a Neffa e i Messaggeri della Dopa, progetto solista di quel Neffa già presente in Rapadopa e nei Sangue Misto, appunto, e da pochissimo tornato al rap, in compagnia di Fabri Fibra nel brano Foglie morte, e in compagnia degli Articolo 31, nel loro prossimo album Protomaranza. Che io associ tutto questo a Bologna, e alla Bologna dei primi anni Novanta, l’Isola nel Kantiere, quindi l’Isola Posse AllStars, il brano Stop al panico, la formazione dei Massimo Volume, Vittoria, la batterista, mia compagna di banco alle superiori, i primi libri di Silvia Ballestra, Il compleanno dell’Iguana, La guerra degli Antò, Brizzi e Jack Frusciante è uscito dal gruppo, da poco annunciato dallo stesso Brizzi il sequel di quel fortunatissimo esordio di ormai oltre trent’anni fa, e che la mia prima intervista che mi ha qualificato come critico musicale sia stata a John, non Jack ma John, questo il vero nome del basculante chitarrista dei Red Hot Chili Peppers, dentro e fuori il gruppo, John Frusciante, per Tutto Musica, lui lì con la tipica dentatura dell’ex eroinomane a bofonchiare parole che ho faticato parecchio a comprendere, ecco, tutti questi ricordi che si affastellano confusamente e velocemente nel mio cervello non saprei dire se hanno a che fare con l’ippocampo, con qualche altra parte del cervello o più presumibilmente col fatto che da qualche parte devo avere qualcosa che funziona poco, che mi fa scordare cose anche importanti e ricordarne di marginali, ma che mi fa fare collegamenti tra le une e le altre in maniera apparentemente illogica, maniera che, giocoforza, finisce nel mio modo di scrivere, questo continuo scartare a lato, deviando in continuazione sul discorso principale, forse addirittura in assenza conclamata di un discorso principale. Discorso che, non saprei dire esattamente perché, se non adducendo una qualche casualità, casualità che potrebbe serenamente trovare asilo da queste parti, non avessi io reiteratamente sottolineato come nulla di casuale in fondo ci sia, discorso che, quindi, confermo, non saprei dire esattamente perché, andrà a finire in un territori scivoloso, anche vagamente splatter, e ci andrà a finire perché, mentre sto scrivendo, o meglio, nel corso dei giorni nei quali sto scrivendo, mettiamola così, mi capiterà sotto un meme che mi aprirà un mondo che non conoscevo, e che onestamente avrei forse preferito non conoscere. Mi spiego. Sono qui che scrivo, intervallando la scrittura, questa scrittura qui, a incastri, con tutte queste relative, questi salti più o meno logici, intervallando la scrittura a altro, un occhio gettato a una serie tv o un film, qualche pagina letta di un libro, un colloquio a scuola con i professori dei miei figli, un pranzo da preparare e da mangiare, le registrazioni dei miei due podcast, Musicleaks e Bestiario Pop, le preparazioni dei suddetti, sono qui che scrivo quando mi capita sott’occhio un meme, questo specifico meme, che propone una foto di due ragazze, inginocchiate a fianco al retro di una macchina, mentre indicano, entrambe, la targa, targa personizzata così “1 Cup”, meme che recita qualcosa come “Se la capisci non sei una bella persona”. Ovviamente mi incuriosisce, perché non colgo proprio nessun riferimento. Apro i commenti, tanti, oltre duecento, e tutti, o quasi, hanno colto il riferimento, ma quasi nessuno svela l’arcano, bastardi. Parentesi, nello scrivere arcano ho digitato erroneamente prima argano e poi aracno, non so se questo indica qualcosa. Tornando al meme, alla fine leggo un commento che spiega, senza spiegare in realtà un cazzo: two girls one cup, e via risate. Santo Google, si fa per dire, digito il classico “cosa significa two girls one cup?” e mi si apre davanti l’abisso, il medesimo abisso cantata da Nietzche.
Scopro così che nel 2007 un regista brasiliano di cui ho immediatamente rimosso il nome, non perché io sia bigotto o cosa, ma perché ho una capacità di memoria assai ridotta, ippocampo o non ippocampo, scopro quindi che nel 2007 un registra brasiliano di cui ho immediatamente rimosso il nome ha girato un film divenuto a suo modo un culto, più per il suo trailer, mi pare di capire, che per il film nel suo svolgimento. Un film hard, nella categoria fetish, titolo Hungry Bitches, tro*e affamate, e non saperei neanche dire in cosa sia esattamente hard, che nel mentre ho digitato prono, visto che in nessuna delle descrizioni che ho trovato su Google si parla di sesso. Nel video, il trailer del film, che prende appunto il nome dalle attrici presenti in scena e dagli attrezzi di scena a loro volta presenti, due ragazze e una ciotola, si vedono due ragazze che cagano in una ciotola, poi si mangiano la merda, nelle descrizioni si parla di feci e di coprofagia, finendo poi per vomitarsi addosso. Non esattamente una scena idilliaca, a spanne. Quel che leggo è che il film in questione è diventato famoso, virale, perché in molti hanno postato ai tempi la reaction alla visione del trailer, dove lo abbiano fatto mi sfugge, dal momento che nel 2007 i social erano ancora agli albori. Reaction o reazioni che dir si voglia, decisamente schifate, gente che a sua volta vomitava, gente inorridita e via discorrendo. Niente che invitasse poi a vedere il film, sempre che il film non fosse appunto il trailer stesso, ma che ha reso il film stesso e di conseguenza il regista, assai popolare. Del nome delle attrici, e non fatico a immaginare il perché, nelle varie descrizioni che ho trovato non si fa menzione. Il fatto che il titolo dato al trailer abbia sostituito quello ufficiale del film ci dice, però, quanto quel trailer abbia funzionato, a livello di immaginario. Capisco perché in molti, tra i commentatori, ridacchiassero riguardo l’essere una brutta persona. Capisco anche che, forse per anagrafe, mi capita spesso di essere tagliato fuori da certi ridacchiamenti, e nel caso specifico la cosa mi vede sereno nell’esserlo. A volte, mi dico, distrarmi mentre scrivo, la mia scrittura è fatta di distrazioni, intrinsecamente, quelle che io richiedo a chi legge, riguardo la trama o il filo conduttore del discorso, appunto, e la mia mentre scrivo, quello che poi mi spinge a deviare anche violentemente, a volte, quindi, mi dico, distrarmi mentre scrivo non è un’idea così geniale.
Che tutto quel che avete letto fin qui, l’incipit alto, a parlare di memoria e breve o lungo termine, l’ippocampo, non stiamo a sottilizzare che il tutto sia partito da una serie Tv, basta il pensiero, la musica che si appropria con coerenza della cultura altrui, facendola incredibilmente propria, la Rapadopa docet, la provocazione che si fa incomprensibilmente, l’ironia presente, certo, ma incapace di tenere a bada il buongusto comune, la citazione che si fa meme, tutto questo è parte di un discorso altro, un parlar con suocera perché nuora intendesse, che ha i fratelli Ron e Russell Mael come protagonisti, e se dico Ron e Russell Mael, spero lo sappiate, è degli Sparks che sto parlando, degli Sparks che tutti questi ingredienti li propongono da ormai esattamente cinquant’anni, tanti ne sono passati dall’uscita di Kimono My House, album che li vide abbandonare la natia California per andare a cercare di sfondare in Inghilterra, i baffetti da Hitler di Ron, un’idea alt di rock, dove alt sta sia per alternativa che alta, che porta a quell’incredibile mashup tra opera e glam, tra cabaret e new wave, poco conta che la new wave arriverà giusto qualche anno dopo, rock n roll e dadaismo, con assaggi di hard e di tutto quel che vi passa per la mente, dal charleston allo swing, passando per il grande musical americano, Irving Berlin in testa. “Cristo, ma c’è Hitler in Tv”, leggenda vuole abbia detto John Lennon guardandoli a Top of the Pops, di lì a qualche settimana, la BBC mai così oltraggiata, altro che Sex Pistols, altro che, del resto, tutto ciò che fino a quel momento era stato identificato e identificabile con la loro California, studenti d’arte e cinema alla UCLA, niente cavalcate psichedeliche, niente suoni acustici alla Crosby, Stills, Nash and Young, art-rock intellettuale, sì, ma assolutamente mainstream, alti e bassi allo stesso tempo, il vaudeville intriso di chitarroni rock, Adrian Fisher fondamentale in questo. Frank Zappa che intona Bertold Brecht, verrebbe da chiosare, con quel titolo surreale, che rifà il verso al classico Come on in my house, e quella copertina che ci mostra due geishe in pose assurde, dietro la macchina fotografica il Kart Stoeker che aveva già immortalato Amanda Lear per la cover di For Your Pleasure dei Roxy Music di Brian Ferry. Senza di loro, ma cosa lo dico a fare, non ci sarebbe stata buona parte della musica a seguire, dai Talking Heads di David Byrne, che propri in quel 1974 cominceranno la propria attività, ai Dresden Dolls di Amanda Palmer, con tutto quel che c’è in mezzo, e Dio solo sa cosa c’è in mezzo. Cinquant’anni fa non ho idea di cosa ho fatto. Avevo neanche cinque anni, sarò probabilmente andato all’asilo, che cocciutamente mi ostinavo a chiamare già scuola materna, per non sentirmi troppo piccolo. Cinquant’anni fa, invece, i fratelli Ron e Russell Mael, in arte gli Sparks, uscivano con il loro terzo album, Kimono My House, cambiando per sempre le sorti della musica rock, forse anche di quella pop.