Ma come fa Emma Stone a girare tutte quelle scene di sesso in Poor Things? È il secondo mestiere più antico del mondo, eppure si sta facendo strada adesso nel mondo del lavoro e nel prossimo futuro sarà una delle figure più ricercate nelle produzioni di cinema e serie: si tratta dell’intimacy coordinator, che non è l’armocromista della lingerie. Subito dopo il mestiere più antico del mondo nacquero infatti le regole: “Questo se po’ fa’, questo nun t’azzarda’”. Ma l’intimacy coordinator ha un linguaggio tutto suo che non può non affascinare da quanto è turbowoke. Riassumendo, tra le varie dichiarazioni che si trovano in giro, l’intimacy coordinator parla più o meno così: “La nostra funzione è creare uno spazio sicuro, un safe space, in cui gli attori possano coreografare le loro scene intime senza che la loro personalità possa sentirsi in alcuna maniera violata, gli attori si evolvono, magari possono essere diversi dal giorno in cui hanno firmato il contratto che prevedeva alcune scene o alcune situazioni posturali, ecco, il nostro compito è di dialogare, giorno per giorno con gli attori, per capire come stanno vivendo la loro quotidianità, per comprendere a fondo la sensibilità di quel determinato giorno”.
E non si capisce bene se l’intimacy coordinator sia la figura che dice al regista “no, guarda, stamattina l’attrice non aveva avuto il suo latte d’avena quindi la scena non la possiamo girare come l’avevi pensata”, oppure se il suo ruolo è dire all’attrice “senti, carina, qui c’è il contratto, l’hai firmato, l’attore deve infilarti un dito nell’orecchio, adesso io capisco che l’orecchio è una parte molto intima, ma tu devi staccarti dal tuo orecchio secondo il metodo Swarosky, fai finta che sia l’orecchio di un’altra che stamattina si è scofanata litri e litri di latte d’avena. Al limite, se proprio proprio, mentre girate la scena, tu senti cose tipo un attacco di panico, o ti viene da vomitare, diccelo prima perché non è bello da vedere e comunque lì c’è un secchio”. Poi l’intimacy coordinator va dal regista e gli dice: “Tutto a posto, le ho detto che il suo orecchio non è il suo e ho messo un secchio nel caso le venga da vomitare”. Perché, è bene non dimenticarlo mai, nelle oramai infinite supercazzole dei woke, che l’intimacy coordinator è pagato dalla produzione e un orecchio non vale un giorno di ritardo nelle riprese.
Detto questo, in America, soprattutto dopo il #metoo, l’intimacy coordinator va alla grande, il che è strano, perché è una figura professionale che ti dice in che posizione devi metterti per girare quella scena intima e che devi stare tranquilla, che non succede nulla di male, che lo fanno tutti, che è più o meno quello che dicevano alle attrici i presunti stupratori. Anche in Italia esistono scuole per intimacy coordinator, sono scuole private e sinceramente non saprei se se ne esce con un titolo di studio o con che cosa. Gli intimacy coordinator sono di solito – così hanno scritto, giuro – sessuologi, terapisti di coppia e coreografi. Adesso, io non ho mai incontrato né un sessuologo né un terapista di coppia che fosse anche coreografo, però boh: me li immagino nudi, col cilindro e il bastone, che ballano il tip tap schivando piselli. Ma la mia fantasia è strana, lo so. In Game of Thrones sono stati usati molti intimacy coordinator, immagino quei poveretti durante le scene orgiastiche. In Italia si è fatto ricorso a questo genere di professionalità per la serie “Gigolò per caso”. In “Povere creature!” Emma Stone si è avvalsa di un intimacy coordinator. Dopo avere visto il ballo del qua qua a Sanremo ho notato che John Travolta non si trovava in uno spazio sicuro, non l’ho visto a suo agio, quindi consiglierei un intimacy coordinator anche per futuri balli del qua qua.