Al frastornante coro nazionale dei laudatores di Cecilia Sala, dai maggiori giornalisti italiani (Calabresi e Cerasa in testa) eletta al rango di reporter di primissima grandezza, si è unito off course anche Massimo Gramellini, che sul Corriere della sera ha ricordato quando in una sua trasmissione televisiva si collegò con la Sala a Kiev qualche giorno prima dell’invasione russa e le chiese cosa l’avesse colpita di quanto aveva trovato. “Mi hanno colpito gli anziani nelle campagne che girano i cartelli stradali per ingannare i carrarmati russi e i bambini che preparano bottiglie incendiarie da lanciare dai balconi” fu la risposta. Il commento di Gramellini sul giornale: “Per riuscire a cogliere queste istantanee di vita al primo sguardo occorrono occhi curiosi e una testa lucida sgombra di pregiudizi”. Un altro in onda le avrebbe invece detto: “Scusa Cecilia, ma i russi non usano telefonini muniti di navigatore? E i bambini hanno studiato a scuola o a casa come si preparano bottiglie molotov, che non è esattamente come fare una casetta con i Lego?”.
Possiamo dirlo allora che la risposta data dalla Sala fu non solo una stronz*ta ma anche di una banalità pari alle prime parole ufficiali, riportate come frase storica dai giornali di mezzo mondo, all’arrivo a Ciampino: “Rompo il protocollo se fumo una sigaretta?”. No, avrebbero dovuto dirle innanzitutto padre e madre, ma visto che per venti giorni non hai fumato, continua ad astenerti e ti togli il vizio, no? La liberazione di Cecilia Sala è diventata motivo di una retorica dell’esaltazione che per la prima volta ha unito l’Italia anche in Parlamento, benché del tutto oscure rimangano le circostanze che l’hanno determinata. Plaude il capo dello Stato, festeggiano la presidente del Consiglio e i suoi ministri (in primis Tajani mai così impegnato in altri casi analoghi forse perché amico del padre della Sala), brinda l’ambasciatrice a Teheran, che si è vista promossa, acclamano i giornalisti in conferenza stampa con la premier, approvano i leader dell’opposizione, pontificano i talk show, giubilano i giornali al grido “Viva l’Italia” e persino Repubblica deve riconoscere il successo del governo Meloni. Ma senza che nessuno abbia appena ventilato qual è stata la contropartita che ha indotto gli irriducibili fondamentalisti sciiti a scendere a patti. Appunto, quali patti? Prima di tanta festa (perfettamente in linea con il video postato dal fidanzato di Cecilia del gol di Grosso ai Mondiali del 2006) non occorreva portare a termine la partita per conoscere il risultato finale? Oggi siamo sull’1-0 per l’Italia ma manca ancora tutto il secondo tempo, quello dell’Iran nella nostra area di governo, epperò gridiamo vittoria come se fosse finita.
In realtà può gridare vittoria solo Cecilia Sala per la quale la salita finisce qui e ora comincia la discesa. Venti giorni (mica poi tanti) a pane e acqua, al freddo e all’addiaccio le sono valsi un nome che tutti gli anni passati in giro per il mondo a registrare video on the road visti da quattro gatti non sono bastati neppure a permetterle in qualsiasi testata un contratto di assunzione, essendo una freelance che collabora con più testate e nemmeno fra le maggiori peraltro. Oggi è diventata invece una giornalista pronta a scrivere un libro destinato a diventare un best seller (se esce però prima della risacca mediatica) ed è ambitissima sul mercato editoriale, non solo italiano. Quale giornalista nemmeno trentenne, di belle speranze, con soldi propri o di papà da spendere in viaggi tipo Erasmus e senza uno straccio di contratto, non si farebbe rinchiudere anche tre mesi nel carcere speciale degli ayatollah per poi sbarcare a Ciampino con tutti gli onori, davanti alle telecamere e sotto gli occhi del mondo per potere dire. “Ciao, sono tornata”? E aggiungere magari: “Si accettano proposte”.