I prodotti audiovisivi italiani si distinguono in quattro macrocategorie: mafia, chiesa, famiglia e forze dell’ordine. Con i postumi del Capodanno ormai alle spalle la fila dei film di Natale (e per Natale intendo buoni sentimenti) per riunire le famiglie al cinema (almeno nei weekend) non sembra esaurirsi e ora purtroppo è il turno di “Pare parecchio Parigi”, quindicesimo film di Leonardo Pieraccioni. Pieraccioni si affida alla terza macrocategoria, quella della famiglia, ‘saccheggiando’ una bella e commovente fiaba realmente accaduta nel 1982: ci sono tre (in realtà erano due) fratelli Bernardo (Leonardo Pieraccioni), Giovanna (Chiara Francini) e Ivana (Giulia Bevilacqua) che non si vedono da anni - dalla morte della madre - ma si riuniscono di fronte alla malattia del padre Arnaldo (Nino Frassica). L’ex professore dal passato anaffettivo vuole recuperare fuori tempo massimo esperienze (oltre l’unità) che la famiglia non ha conosciuto. E come farlo se non partendo tutti insieme per Parigi? Non potendo allontanare di troppo il padre dall’ospedale i tre fratelli decidono di usare il maneggio di cavalli di Bernardo facendo leva sulla quasi totale cecità del malato per simulare su un camper il lungo viaggio che separa la Toscana dalla Francia. “Dodici ore possono rivoluzionare una vita intera”, dice il burbero padre che non ha mai fatto una carezza emotiva ai figli. Le potenzialità c’erano tutte - a Frassica basta poco per alzare il livello delle scene - per trasformare “Pare parecchio Parigi” in una commedia malinconica o dai delicati equivoci, ma non si ride mai davvero come non si va mai oltre una certa superficie: in 90 minuti non c’è abbastanza tempo per tirare le somme, perché lo spazio è lasciato a personaggi stereotipati e a gag che puntano sulla calata toscana o al già sentito e visto in una puntata deteriore di Zelig.
Sulla carta Nino Frassica, Massimo Ceccherini (nei panni del vicino rompipalle) e Chiara Francini potevano funzionare; lei milf degna della moda delle app di dating, peccato però che Chiara Francini calata in un film o nel programma “Drag Race” rimane sempre quasi la parodia di una scimmia urlatrice che per qualche motivo deve farti ridere per forza. Dopo gli ultimi sconfortanti risultati si pensava che Pieraccioni, non proprio nuovo al mestiere, avesse imparato la lezione, soprattutto se il regista accarezzava l’idea di sviluppare questo racconto da parecchi anni. Pieraccioni supportato dall’epoca post lockdown che ha dimostrato a tutti quanti più o meno quanto l’immaginazione possa essere davvero la chiave per renderci liberi dalle quattro mura che ci hanno visto ridere, piangere e morire, non ha saputo servirsi del fatto accaduto per farne una riflessione su quanto sia illusoria l’esistenza, contrariamente ai sentimenti e al pragmatismo nel dimostrare agli altri quegli stessi sentimenti: come umiliarsi girando in tondo per ore nello stesso punto semplicemente per rendere felice una persona che ami. Permane la sensazione che il regista abbia attinto dal caso dei fratelli Bugli per raccontarsi e raccontare solo ciò che vuole lui, riproponendo, anche nel 2024, la stessa comicità che inizia a non sortire più alcun effetto a discapito della caratterizzazione dei personaggi lasciati in bianco (vedi la sorella Ivana). Diciamolo, la maggior parte del cinema italiano sembra funzionare con rinforzi ‘positivi’: se vai al cinema tra dicembre e gennaio troverai film del genere amore/famiglia. A me, invece, pare che questa scelta creativa e poi distributiva ragioni in termini di rinforzo negativo: se non smetti di negare la rinascita del cinema italiano tra dicembre/gennaio sarai costretto/a vedere i film di Pio e Amedeo, Ficarra e Picone o Leonardo Pieraccioni, tanto che solo la vista di un cinema, di uno schermo bianco in una sala buia o dei titoli di coda di un film possono provocare in chi guarda una pesante eruzione cutanea psicosomatica. Prodotto da Levante cinema, oltre che da Rai cinema e distribuito dalla 01 Distribution, “Pare parecchio Parigi” ha invaso le nostre sale come emblema di una bella occasione sprecata. ‘Con il motore dell’immaginazione si possono fare migliaia di chilometri’ eppure, spesso, l’immaginazione non è sufficiente nel rendere buono un film mediocre.