Il cantautore Auroro Borealo, pseudonimo di Francesco Roggero, non si trova più su Spotify. Perché? La decisione l’ha presa lui stesso. Ha scelto, infatti, di togliere tutta la sua musica dalla piattaforma "dopo aver appreso che Daniel Ek, fondatore e amministratore delegato di Spotify, ha investito 690 milioni di dollari per finanziare Helsing, una startup tedesca che produce droni militari". Borealo ha fatto una scelta etica e politica, a discapito delle sue tasche. Novanta minuti di applausi. Non è da tutti. E, in effetti, chi lo seguirà? Tra tutti i cantanti che hanno sventolato bandiere, gridato "pace" dai palchi, postato messaggi politici tra una sponsorizzazione e l'altra, chi avrà il coraggio di fare lo stesso? Il dubbio è che resterà solo. O che, nella migliore delle ipotesi, sarà seguito da una minoranza impercettibile. Ma forse lo sa, e lo ha fatto proprio per questo: per stare a posto con la coscienza. Scrive: "Non mi è mai importato di guadagnare pochi millesimi di euro da ogni stream, ma quando gli introiti della mia musica vengono impiegati nel mercato delle armi, la questione diventa per me eticamente insostenibile". E poi lancia un appello. Chiede a tutti gli artisti italiani di iniziare a riflettere e, come lui, fare questo gesto. "Sono consapevole dell'impatto che avrà su parte della mia attività, ma credo che sia necessario prendere una posizione in un momento storico in cui troppe persone innocenti vengono coinvolte". Tanto di cappello a chi ha il coraggio di passare ai fatti. La sua musica ora si trova su tutte le altre piattaforme streaming, e su Bandcamp. Chi vuole ascoltarlo, può ancora farlo. Ma in un mondo di Achille Lauro che manda messaggi sociali e poi diventa testimonial di McDonald’s, o di Rose Villain che si professa animalista vegana e poi presta il volto a brand che vendono vera pelle e pellicce, davvero questi gesti potranno fare la differenza? Ma Auroro Borealo non è l’unico ad aver sollevato la questione. In Italia, un’altra voce si è alzata, e non è una qualsiasi: Piero Pelù ha commentato duramente la scelta di Daniel Ek, definendo “inaccettabile” che un personaggio così centrale nell’industria musicale investa nella produzione di tecnologie belliche.
"Noi poveri ingenui pensavamo che questi investimenti andassero alla ricerca sul cancro o alle Ong che salvano vite in mezzo ai mari, invece no…", ha scritto sui suoi social. Ha poi puntato il dito anche contro il silenzio dei colleghi: "Se molti artisti facessero pressione su questo padrone insensibile della nostra arte, potrebbero farlo ragionare". E invece? Niente. Perché stavolta non si tratta solo di royalties basse o di playlist algoritmiche, ma di un legame diretto, seppur “esterno”, tra l’uomo che governa la piattaforma più potente della musica e l’industria delle armi. Pelù, come Borealo, rischia di restare isolato. Se i big, i cantanti mainstream, continueranno a mettere i pecunia sopra ai principi, sopra ai valori di cui si fanno (a parole) portavoce - ma ci credono davvero o è solo strategia d’immagine? - allora come possiamo credere che queste rivolte silenziose possano davvero funzionare? Qualche risposta è già arrivata. Alcuni volti noti hanno espresso sostegno. Come Nello Taver, che ha scritto: "Per non parlare del fatto che Spotify sia la piattaforma che guadagna di più e che paga di meno gli artisti, ed è quella che noi artisti spingiamo di più". O come Filippo Dr. Panico, che ha affermato di aver preso la stessa decisione. Ma un'altra domanda è: devono essere solo gli artisti a fare qualcosa? E noi utenti? Gli ascoltatori? I milioni di abbonati che ogni mese pagano per ascoltare musica senza porsi troppe domande? Poi, a finanziare le armi non c’è solo Spotify. Ci sono anche brand intoccabili che fanno parte della nostra quotidianità: Coca-Cola, McDonald’s, Lego, Disney, Starbucks, Carrefour, Nestlé. E allora viene da chiedersi: quanto siamo disposti davvero a rinunciare a qualcosa, in nome di un’idea, di un principio, della coerenza? La verità è che il sistema è costruito proprio per renderci complici, spesso inconsapevoli o, peggio, rassegnati. Chi prova a tirarsene fuori, anche solo in parte, viene guardato come un illuso, un radicale, un pazzo, un artista “minore”. Ma forse è proprio da lì che bisogna ripartire. Dai piccoli gesti, dalle scelte scomode, dalla coerenza che ha un costo. E anche se il gesto di Auroro Borealo non cambierà il mondo, cambia qualcosa in chi lo compie. E forse, in fondo, è da lì che comincia ogni vero cambiamento.
