“Come è andata la scuola?” I ragazzi non mi sentono e quindi non rispondono. Stravaccati sul divano, il figlio e la fidanzata di diciassette anni sono troppo concentrati. Catapultati nel mondo di una delle loro serie tv preferite: “Shameless”, undicesima e ultima stagione, dodici episodi ciascuna. Appena finisce un episodio vanno al successivo. Così, alle quattro del mattino, mi sveglio per i rumori dalla cucina e li ritrovo in posizione uguale ma con un piatto di ravioli alla panna che si sono cucinati. Per fortuna è venerdì notte. Cerco allora di spiegare che il sonno ha un senso nella vita. Poi, già che ci sono, mi siedo in poltrona e guardo anch’io con loro. Non sia mai che mi sia persa qualcosa. La sigla mi piace. È “The luck you got” di The High Strung. “Bella questa scelta musicale”, penso. Ma entrando nella trama a poco a poco rimango sempre più basita. I personaggi? Non ce n’è uno ‘sano’: il drogato, il malato psichiatrico, l’alcolizzato, il pervertito. Poi, fra gli altri, fanno capolino la squillo, la ragazza madre vittima di un perverso appassionato di donne incinta, il bimbo che sniffa coca dimenticata in casa dalla sorella, il sieropositivo, il malato terminale, il senzatetto e così via. Manca qualcuno? Assolutamente no. Il figlio dal divano assicura: “Nelle stagioni passate trovi chi manca. Anzi, a volte più aspetti sono incarnati dallo stesso personaggio in varie fasi della sua vita”. Il linguaggio è schietto e ‘da strada’, il contesto in cui si svolge la serie anche: la periferia disagiata di Chicago in cui vivono i ‘drop out’. Le scene inquadrano sniffi di coca con musica a palla, pestaggi, galera, gruppi di alcolisti anonimi, servizi sociali che indagano su minori apparentemente maltrattati, cordate di senzatetto che organizzano azioni collettive di elemosina per mettere insieme pranzo e cena. Il protagonista, Frank (interpretato da William H. Macy), ha sei figli. È un padre di famiglia sbandato, che combina talmente tanti casini da diventare una specie di eroe al contrario. Fa quasi ridere. Di certo suscita empatia per la sua irresponsabilità cronica, disperata ma creativa. Ha sempre una soluzione, se pur molto discutibile. Non sono una bacchettona, mi dico. Però un po’ mi allarma questa visione così realistica di un mondo ai margini. Che forse esiste ovunque: anche a Milano dove viviamo, a poche fermate della metro da qui. Solo, credevo da stupida che quel mondo fosse ancora lontano dall’adolescenza di mio figlio. Continuo a guardare la serie con i ragazzi. E mi appassiono anch’io. “Ecco! Sono certa che Debbie (la ragazza madre incinta, ndr) si accorgerà presto che lui non è innamorato, è solo un pervertito di donne gravide”, anticipa la fidanzata di mio figlio. Prego? Non so cosa dire. Mi sento imbarazzata. L’abbonamento a Netflix l’ho sottoscritto io. Ho sbagliato? Mentre penso a questo la serie tv va avanti. Compare la figlia di Frank, Fiona, mentre decide di abortire, poi l’altra figlia, minorenne, che invece sta per avere un parto per strada di notte e viene soccorsa in casa da fratelli e vicini prima dell’arrivo dell’ambulanza. Ritorna il padre, che nel frattempo era stato rapito e pestato da trafficanti di droga continuando a urlare a vuoto: “Mia figlia sta per partorire!”. Ma nessuno dei delinquenti lo degnava di ascolto. Anzi. Lo pestavano di più. In quell’episodio compare persino il caso di una squillo che si trova alle prese con un cliente ormai cadavere in un albergo e lei non sa proprio che fare. “Lo lascio qui e fuggo?”, il quesito. Ma questo è niente. Dai massaggi liberatori a sfondo erotico di una vecchia fiamma di Frank, Queenie (interpretata dall’attrice di “Twin Peaks” Sherilyn Fenn), che in passato ha condiviso con lui un amplesso sotto effetto di funghi allucinogeni, si passa al matrimonio di Fiona, la più grande delle sue figlie. Finalmente una situazione positiva, mi auguro. Figuriamoci. Il matrimonio non si farà. Sarà rovinato da Frank che di fronte al pastore che sta per procedere alla cerimonia dichiarerà che il futuro genero è un tossico. Il tutto davanti al figlio piccolo dell’aspirante marito, avuto da precedente unione. Fiona, la figlia che stava per sposarsi, fugge sconsolata e si siede su un gradino della strada con l’abito bianco ormai sporco. Guarda lo sposo perduto andarsene e capisce con uno sguardo di complicità che in effetti si è drogato per affrontare il matrimonio. Nessun riscatto dalla disfunzionalità e dalle dipendenze, nessuna rivalsa di successo da una miseria che non è solo economica. Esistenziale. Nessuna possibilità di recupero. “Ma tutto questo è terribile. Mi viene quasi da piangere”, dico alle 5 del mattino. “Mamma, non puoi capire se non vedi ‘Shameless’ dall’inizio. Tutto ha una spiegazione”, chiosa il figlio. Sono, lo confesso, un po’ disorientata. Sembra un attimo fa (ma sono passati anni) che il figlio mi diceva: “Mamma, non devi spiegarmi niente. So chi sono i pedofili: i feticisti del piede”. E io reggevo quella bugia procrastinando il momento della scoperta della realtà più dolorosa all’infinito. Il tempo in cui i ragazzi scoprono il lato negativo del mondo quando accade? Da dove prendono informazioni? Te li ritrovi un giorno sul divano a guardare una serie tv e scopri che sanno già tutto mentre tu non ti sei accorto di niente. Scuola, compagni, amici, centri di aggregazione, parrocchia, web e social sugli smartphone, abbonamenti tv, video game. La realtà più estrema è entrata nel loro universo da esperienze varie, in gran parte virtuali. Dai Teletubbies a TikTok fino a “Shameless” il tempo è volato. Rimango stupita. In questa irriverente serie tv i soggetti ‘drop out’ sono davvero troppi. Fanno persino ridere per l’eccesso di disastri in cui vivono: fra carcere, servizi sociali, spaccio, prostituzione, raggiri, pestaggi, aborti, parti per strada, perversioni e dipendenze varie. “Se li elenchi tutti finiamo domani mattina”, mi avvisano i ragazzi. Ridono e mi prendono bonariamente per il c**o: “Dai, mica pensavi che noi non sapessimo come va il mondo, eh?”. E citano amici di amici, genitori di amici, racconti metropolitani di luoghi dove, credo, non sono mai stati se non come turisti immaginari. Ripercorro le mie esperienze televisive. “Dancing days” con Sonia Braga coi brufoli e i riflessi sul girato, storia di una ex detenuta che intende riconquistare il suo posto nella società. Fu la prima telenovela, brasiliana, diffusa in Italia negli anni ’80. Poi ricordo le fiction meno impegnate, da Padre Ralph di “Uccelli di Rovo”, combattuto fra carne e vocazione, alle soap tipo “Beautiful” dove erano tutti o ricchi oppure belli e puri. Insomma, tutto era al suo posto nella visione salvifica: chi non aveva danari aveva amore e dignità, chi aveva danari doveva affrontare battaglie famigliari all’ultimo sangue per essere libero di amare. Si aspettava la puntata successiva senza poter andare avanti o indietro con un clic. Personalmente, le telenovelas le vedevo in trasferta perché a casa mia non esisteva il televisore per scelta. Perché “rincoglionisce”.
Ma “Sex & the City”, quando ormai ero indipendente negli anni ‘90, nessuno poteva vietarmelo. Rivoluzionario? Sembrava esserlo. Ma era ancora in stile salvifico. Fuori dagli schemi solo nei comportamenti trasgressivi ma non nei contenuti. Le quattro amiche cercano l’amore e per amore troveranno la loro dimensione. Invece “Shameless”, serie televisiva statunitense prodotta dal 2011 al 2021, basata sull'omonima serie britannica del 2004 ideata da Paul Abbott e sviluppata per il pubblico statunitense da John Wells, è diversa. Parla dei Gallagher, famiglia povera e disfunzionale composta dal padre Frank, alcolizzato e drogato, e dei suoi sei figli. Frank non riesce a comportarsi da padre, passa il tempo nel bar di Kevin, il compagno di Veronica, coppia di vicini di casa. È quindi Fiona, la più grande dei Gallagher, a sobbarcarsi il peso della famiglia fin da giovane, con metodi spesso non convenzionali per sbarcare il lunario. Poi c’è Lip, un ragazzo dall’intelligenza acuta ma facile alle dipendenze, Ian, alle prese con la sua omosessualità e affetto da disturbo bipolare, Debbie, ragazza madre, Carl, ribelle, e Liam, il più piccolo. Che finirà in ospedale per aver sniffato la coca della sorella, che a sua volta finirà in galera e poi da libera faticherà a trovare lavoro. “Shameless” rappresenta la realtà, estremizzata, che non possiamo fingere di non vedere. Non ci sono nella serie eroi dai poteri paranormali. Solo persone costrette ad affrontare difficoltà che diventano epiche per chi le guarda dal divano di casa. “È una fuga dalla realtà nella realtà”, mi spiega mio figlio. “Ogni personaggio rappresenta le possibili derive di ognuno di noi. Frank è un esempio estremo ma Lip, il figlio più grande incline all’alcolismo, ha devianze più realistiche. È molto brillante all’università ma essendo autodistruttivo fa un passo avanti e tre indietro nella costruzione di una vita regolare”. Conclude: “La serie ci piace perché rappresenta la realtà nuda e cruda. Non c’è un happy end. Come in molti film degli ultimi anni. Nessun eroe, nessun buono assoluto”. Allerta spoiler. Il protagonista Frank, il padre di famiglia nullafacente cronico che vive di espedienti e che, senza alcun senso di colpa, passa la vita fra perdizioni e truffe, subirà le conseguenze delle azioni di non cura di se stesso. Dopo aver tentato e fallito il suicidio tramite overdose di eroina, dopo essere sopravvissuto al cancro, dopo aver partecipato suo malgrado ai gruppi di alcolisti anonimi non avrà una fine gloriosa nel senso più scontato del termine. In uno degli episodi della serie Frank racconta: “Mi trattano come un lebbroso perché sono un pessimo genitore, chiaro. Te lo dico io, non hai visto un pessimo genitore finché non hai visto mia madre nei suoi tempi migliori. Aveva un pezzo di legno che chiamava ‘il bastone del castigo’, da una parte piatto e dall’altro sottile”. Poi aggiunge: “Ma ho buttato la stronza nella spazzatura quando le serviva una casa? No. Le pettinavo i capelli, ho lavato le sue tette mollicce, ho irrigato le sue ulcere, le ho fatto da infermiere fino alla tomba!”. Chiedo a figlio e fidanzata: “Avete capito cosa ha fatto Frank?”. Che insegnamento traete da questa serie?”. Purtroppo uso parole da professoressa ma non me ne vengono in mente altre. “Che la realtà non va nascosta - rispondono - che deve essere mostrata per quello che è. Che anche Frank, a modo suo, sa voler bene. Però ama di più se stesso degli altri. Anche questa è una verità”. Si è fatto davvero tardi. “Madre, ora facci vedere gli altri episodi, dai. Che domani è sabato e non c’è scuola. Non fare la scandalizzata. Ai tuoi tempi la realtà non era così diversa”.