L’anno che si è da poco chiuso è indubbiamente stato all’insegna di Taylor Swift. Parlo di musica, ma non solo di quella. E dire che il 2023 è stato l’anno di Taylor Swift, cioè della più importante popstar al mondo, portatrice sana di una musica che più leggera non si può, pur con le sue venature folk e country, da lì arriva, che ogni tanto tornano a fare capolino, non è esattamente dipingere l’anno da poco andato in pensione come uno tra i più folgoranti, non ce ne vogliano gli swifter o come diavolo si chiamano i fan della bionda autrice di “Anti-hero”. Tra i suoi tanti, tantissimi successi e record, proprio in questi giorni è diventata con 68 settimane l’artista solista con più primi posti nella classifica Billboard americana, record soffiato nientemeno che a Elvis Presley, i soli Beatles ancora lì in vettissima, con centotrentadue settimane, record comunque battibile, vista la giovane età della nostra Taylor, tra i tanti, tantissimi successi e record, non si può non annoverare il fatto di essere stata capace, negli anni, di riportare in vetta alla classifica lavori che ci erano già stati in precedenza, contro ogni logica di mercato. La faccenda è nota, in seguito alla vendita del catalogo della Big Machine, la sua prima casa discografica, all’imprenditore americano Scooter Braun, senza il consenso dell’artista - catalogo comprendente i suoi primi sei album - nel 2019, Taylor Swift annunciò l’intenzione di reincidere tutti quegli album ripubblicandoli identici agli originali. Una iniziativa atta a reimpossessarsi di quei brani, la dicitura Taylor’s Version era come un’indicazione per i fan. Di fatto, a oggi, Taylor ha già pubblicato quattro dei sei album, Fearless e Red, rispettivamente secondo e terzo album, nel 2021, Speak Now e poi 1989, nel 2023. La nuova versione di 1989, ultima delle Taylor’s Version fin qui pubblicate, ha raggiunto la vetta delle classifiche di mezzo mondo, Italia compresa, dove ha scippato il primato nientemeno che a Laura Pausini, che tornava nel medesimo giorno sul mercato dopo quasi sei anni, diventando l’album più venduto dell’anno, negli Usa e un po’ ovunque. Ora, so che potrà non sembrare, ma questo non è un articolo che parla di Taylor Swift. No, anche se Taylor Swift ne è a suo modo contraltare, una sorta di Yang laddove a interpretare lo Yin è un altro artista americano, Ryan Adams. I due, credo su questo nessuno possa avere nulla da ridere, sono davvero quanto di più distante si possa immaginare. Tanto la Swift è oggettivamente ecumenica e inclusiva, talmente perfetta e priva di spigoli da non riuscire a scatenare neanche le antipatie di quanti fanno ostentazione della propria disaffezione per tutto ciò che risulti piacevole alla massa, tanto Ryan Adams risulta urticante, le tante, troppe accuse di aver usato la sua posizione di artista affermato per molestare giovani cantautrici (le principali accusatrici la sua ex moglie Mandy Moore e la cantautrice Phoebe Bridgers) a affossare una carriera fino a quel momento fatta di tante sfumature differenti, dal rock a qualcosa di molto vicino al folk, una sorta di bulimia produttiva che gli avevano più volte fatto tirare fuori lavori in contemporanea, non sempre seguendo una logica strettamente commerciale. Poco conta che nessuna di quelle sue accuse abbia portato a una condanna, anzi, nessuna è mai arrivata neanche in tribunale, certo ha scritto una ambigua lettera di scuse a un giornale, ma niente più, il suo nome è di colpo diventato impresentabile, una sorta di versione canora e eterosessuale di Kevin Spacey, senza neanche dover star lì a mettere mano al portafogli. Un talento gettato alle ortiche, verrebbe da dire, dove di talento si può assolutamente parlare a ragion veduta, senza neanche dover tirare in ballo quella inspiegabilità che invece, spesso, subentra laddove è di Taylor Swift che si va a parlare, perché, diciamolo chiaramente, che la bionda artista americana sia una sorta di mistero assoluto è un dato di fatto, una talmente capace di incontrare il gusto di un pubblico mainstream e trasversale, quasi universale, da riuscire addirittura a spostare i voti, si dice che il suo aver chiesto ai suoi fan di far ricorso al loro diritto di voto durante il National Voter Registration Day, negli Usa per votare tocca prima iscriversi a una piattaforma online, c’è stato un incremento di iscrizioni di oltre il 23%, con 13mila iscritti accorsi subito dopo il suo invito, fatto senza precedenti che ha inquietato non poco gli osservatori politici statunitensi, di colpo di fronte a una vera influencer.
Certo che Ryan Adams un certo successo di pubblico lo ha avuto nel momento in cui ha momentaneamente abbandonato la sua prima band, gli Whiskeytown per lanciarsi in una carriera solista, che nel corso degli anni avrebbe visto il Nostro pubblicare ben venticinque album e quindici EP in ventitré anni, da solista, coi Cardinals, anche lì a confrontarsi con il lavoro degli altri con la pubblicazione di interi album, da Nebraska di Bruce Springsteen a Blood on the Tracks di Bob Dylan passando per, attenzione attenzione, 1989 di Taylor Swift, ecco spiegato l’arcano di un pezzo di un artista che si è occupato militarmente dalle vicende che riguardano un’altra artista, assai più di successo di lui. Nel 2015, infatti, ben prima che la rottura con la Big Machine si consumasse e quando già Taylor Swift aveva cominciato la sua cavalcata verso il successo assoluto - ma giusto un attimo prima che il tutto la portasse a ergersi su tutte e tutti, dove per tutte e tutti si intende proprio tutte e tutti, da Beyoncé a Lady Gaga, passando per Dua Lipa e chiunque vi venga in mente - Ryan Adams ha omaggiato la bionda compatriota riproponendo una sua versione di 1989, sorprendendo non poco il suo pubblico e anche il pubblico della popstar, che con buone probabilità neanche sapeva chi fosse. Un lavoro onesto, il suo, come onesti sono stati tutti i tanti album pubblicati, sempre mossi da una grande passione per il songwriting, la musica suonata, una predilezione verso il rock indubbiamente mai nascosta, anche quelli che ha dovuto tenere in standby per la questione delle denunce, poi tirati fuori uno via l’altro negli ultimi anni. Ma veniamo a noi: perché parlare di qualcosa accaduto ormai quasi dieci anni fa, ripeto 1989 di Taylor Swift Ryan’s Version, giochiamo con le parole, è del 2015? Perché il 2024, cioè l’oggi, è stato inaugurato alla sua maniera da Ryan Adams, il quale il primo di gennaio, mentre in tutto il mondo si celebrava l’arrivo del nuovo anno, ha ben pensato di tirare fuori non uno, non due, non tre e neanche quattro nuovi lavori, ma addirittura cinque. Così, tutti in un colpo solo, complice lo streaming che permette questi miracoli (gli album di cover più recenti, per dire, Nebraska e Bloods on the Tracks, li ha regalati in download direttamente dal suo sito, crepi l’avarizia). Stavolta a finire sulle piattaforme di streaming quattro album di inediti, per un totale di sessantacinque canzoni, 1985 (evidentemente il nostro ha una passione per gli anni del decennio in questione, ha pubblicato a suo tempo, oltre al lavoro della Swift, anche un EP dal titolo 1984), decisamente il più punk della covata, con canzoni brevissime, qualcuna sotto il minuto, ventinove in tutto, poi Sword & Stone (dodici canzoni), e ancora Star Sign (dieci canzoni), il più cantautorale della covata e heatwave (quattordici canzoni), tutto in minuscolo, più un album dal vivo dal titolo Prisoner (col quale il numero delle canzoni sfornate il primo gennaio 2024 arriva a settantasette), riproposizione dal vivo del suo album de 2017 che porta il medesimo titolo, ultimo prima che gli piovesse addosso tutta la merda del mondo, titolo quanto mai sintomatico, a voler continuare a parlare di destini incrociati e più che altro di destino ce n’è per divertirsi parecchio, il tutto pubblicato dalla sua etichetta personale, la Paxam. Un fatto credo senza precedenti, neanche John Zorn, jazzista tra i più iperproduttivi di sempre ha mai strafatto così che però ci dice qualcosa di molto chiaro, che Ryan Adams sarà anche una persona con diverse ombre nel suo vissuto, ma è un artista di una generosità senza pari, in fatto di arte e di musica, la sua capacità di passare da suoni new wave a quelli più vicini alla tradizione folk statunitense, passando per brani che ricordano i Bad Religion o altri che possono addirittura evocare Randy Newman lì, sotto le orecchie di tutti gratis. Non che serva sottolineare come la morale, e quindi la presentabilità, nulla abbia a che fare con l’arte, fatta di opere assai più che del vissuto degli artisti, ma questo incontrarsi a più riprese tra la cristallina figura di Taylor Swift con quella cupa e sgarrupata di Ryan Adams sembra quasi storia degna di finire in certi racconti di Jack London, se proprio vi sentiste in dovere di tifare per uno dei due è chiaro che non è certo colei che solo di biglietti del suo Eras Tour nel 2023 ha incassato due miliardi di dollari a aver bisogno del vostro sostegno. Il massimo, ma qui più che di karma si tratterebbe di fantascienza, sarebbe se prima o poi, tra una reincisione del suo vecchio repertorio e un nuovo album, fosse Taylor Swift a ricambiare la cortesia, andando a incidere un lavoro di Ryan Adams. Venticinque album e quindici EP, avrebbe giusto l’imbarazzo della scelta. Fosse la volta buona che ci si concentri più sulle opere che sulle vite degli artisti...