Marracash, per uno “stagionato boomer” come Michele Serra (non lo dico io, lo scrive lui di se stesso) è l’incarnazione dal “rapper fino al midollo”, a partire dalla sua storia personale. Il più “politico” tra i rapper italiani di punta, con un “nome d’arte spavaldo, aggressivo” e rapper “perfino fisicamente”, uno che “ da ragazzino, con quel fisico e quella faccia dura, non deve aver avuto paura a girare per strada”. Michele Serra, nella sua intervista al rapper su Il venerdì di Repubblica, esordisce con uno dei ritratti più puntuali e precisi che si possano trovare in circolazione su Marracash. Un ritratto centrato ed essenziale. Di fatto, però, l’unica cosa veramente buona di questa intervista in cui si mettono da subito le mani avanti: a farla è un boomer. Uno che, perlomeno, ammette di esserlo e di aver fatto fatica a seguire i testi dell’ultimo album di Marra, “È finita la pace”, scrivendo “tutte quelle parole stipate dentro un battito incalzante. Devo leggerli, per capire meglio”. Un grande passo avanti di un boomer (e ripeto, e lui a definirsi così) che sceglie di non fermarsi, come altri colleghi, a un cantato che potrebbe essere difficile da comprendere senza avere il testo di fronte. Serra, però, quasi si stupisce di trovare una campionatura di Ivan Graziani e parla di “rapporto naturale con la tradizione”. Un rapporto che, chi il rap lo ascolta davvero, sa che esiste da sempre. E a spiegarglielo è lo stesso Marracash: “Le campionatura sono nella storia del rap: i primi rapper americani campionato i dischi dei loro genitori, in genere soul e jazz. Per noi italiani dovrebbe essere un percorso naturale fare riferimento alla nostra storia musicale, non solo a quella degli altri”.

Michele Serra parla dell’impossibilità di non parlare di “successo e soldi”, spiegando di capire che nel rap “l’ostentazione della ricchezza e del lusso sia una provocazione, una forma di ribellione di chi sta sotto”. Ma se diventa un codice fisso rischia di essere “stucchevole, prevedibile”? E anche qui, riecco il boomer. Questo “codice fisso” di cui Serra parla è stato superato da tempo, anche se non da tutti. E uno dei primi a superarlo, reinventandolo, è stato proprio Marracash. Che infatti nell’intervista risponde nell’unico modo possibile: “Certe cose erano rivoluzionarie anni fa. Quando sono nate. Il nero del ghetto con il collanone si che era rivoluzionario. E forse anche per Simba La Rue e Baby Gang, che vengono da realtà disastrate e sono cresciuti senza i genitori, un paio di Nike è un valore. Capisco e rispetto. Ma anche lì, a un certo punto c’è stato uno switch. Un salto impressionante”. La vera perla di questa intervista “ok boomer” arriva però con la domanda su “A volte esagero”, brano del 2015 contenuto in Status, dove Marracash collabora con Coez e Salmo sfottendo i canoni dei rapper tutti “soldi e figa”, quelli che fanno la gara a chi ce l’ha più lungo (“Amo così tanto me stesso / che per segarmi ho preso una camera d’albergo / ed ho chiesto in reception / un guanto, un righello ed il massimo riserbo”, più chiaro di così). Michele Serra sembra capire che si tratta di uno sfottò, di un’esagerazione di un certo tipo di personaggio, ma poi si chiede “quanti sono in grado di cogliere l’ironia, diciamo l’autosatira che quel video mette in scena”. E anche qui Marracash risponde nell’unico modo possibile: “Mah, è una domanda che non ti devi fare. Perché se te la fai non sei più libero. Se ti chiedi che cosa penserà il pubblico, che cosa capirà il pubblico, non sei più un artista”.

Se l’intervista realizzata da Michele Serra per qualcuno sarà riuscita è solo grazie a Marracash. Un artista che anche alla domanda “riusciamo a dire una cosa allegra?”, riesce a spiegare tra le righe che no, non occorre dire per forza qualcosa di “allegro”. “La gente non vuole sentirsi dire queste cose. È disabituata alla verità. Vive in una fiction continua a vuole crederci disperatamente. La realtà è percepita come: che due balle!”. E tra social, speranze e un’intervista che si chiude con una domanda, Michele Serra come detto all’inizio riesce a tracciare un ritratto centrato di Marracash, ma è poi l’artista stesso a raccontarsi per quello che è davvero, riuscendo a trasformare domande da boomer in rispetto complesse e articolate. Un'occasione mancata? Forse sì...
