Francesco Motta, in arte solo Motta, ha una marcia in più, rispetto agli altri cantatori della scena. Prolifico fra testi, musica e arrangiamenti, sin dai suoi esordi coi primi due album, La fine dei vent'anni del 2016 e Vivere o morire del 2018, ha conquistato la critica aggiudicandosi per entrambi la prestigiosa Targa Tenco per il miglior disco. Con il suo ultimo lavoro, La musica è finita del 2023, continua a raccogliere riconoscimenti. Il prossimo, in ordine di tempo, è il Premio Bindi alla carriera, che gli verrà conferito “per la sua capacità di raccontare il nostro tempo e per essere da anni un riferimento nel mondo della canzone d'autore”. Questo premio verrà consegnato nel corso della rassegna, più che maggiorenne, diretta dal cantautore ligure Zibba, che si terrà nel weekend, dal 5 al 7 luglio, nella cornice di Santa Margherita Ligure (Genova)…
Partiamo dagli ultimi avvenimenti: sarà ospite al premio Bindi, dove riceverà il premio alla carriera, come se la vive?
Quando dei giornalisti specializzati nel settore musicale decidono di attribuirti un riconoscimento così importante, come successo in passato col premio Tenco, è sempre gratificante. Inoltre, è un segnale forte per dar voce a un certo tipo di musica non necessariamente mainstream.
Cosa ne pensa della polemica, finita nelle mani degli avvocati, tra Piotta e il Club Tenco?
Piotta ha realizzato un disco bellissimo, in romano, e penso abbia ragione. In maniera singolare, per la prima volta, mi sono trovato anch'io escluso dalla cinquina dei finalisti...
C'è un pizzico di delusione?
Ma no. Può succedere che qualche opera riceva un'attenzione diversa. Ma l'artista deve essere sempre convinto di ciò che fa, e io lo sono, anche più che in passato.
Tra l'altro è anche uno dei pochi che si espone socialmente. C'è meno presa di posizione nella musica attuale?
Sì, è un'osservazione corrispondente, ma è anche colpa dei titolisti, che spesso tendono a distorcere o semplificare certi messaggi. Di conseguenza, non è sempre timore di prendere posizione, ma piuttosto timore di essere fraintesi.
Una volta, a un concerto, ha detto che se c'era qualche fascista nel pubblico poteva andarsene. Lo ripeterebbe?
Senza ombra di dubbio.
Si rivede in questa sinistra?
Sono anni che provo una sensazione di disincanto, che mi protegge dalle inevitabili delusioni che accompagnano il panorama politico contemporaneo. Credo nei valori di sinistra, ma mi sento profondamente distante dall'attuale configurazione del centro-sinistra.
Considerando il titolo del suo ultimo disco, La musica è finita (2023), a quale tipo di musica si riferisce? Che musica è finita?
Ho usato quel titolo come metafora di un certo periodo della mia vita, a cui ho messo un punto. Questo non significa che non ascolti musica nuova, anche se, paradossalmente, è più complicato scoprire quella di qualità, visto che le radio, gli articoli, gli algoritmi, ci indirizzano a un ascolto allineato. Non fraintendentemi, sono contento che i primi in classifica siano italiani, ma dall'altra, e non per banale esterofilia, mi piacerebbe sentire anche dell'altro.
Cosa ascolta, ultimamente?
Ascolto Sharon Van Etten, Sleaford Mods. Poi quando sono in difficoltà nel decidere, finisco sempre sui Radiohead. In Italia, comunque, c'è una certa inclinazione verso i i grandi eventi, e questo significa che riuscire a trovare spazi per esibirsi, per chi ha non un seguito consistente, è anche più difficile.
Stadi e finti sold out, c'è sempre quel dubbio sui numeri gonfiati: sfiora anche lei?
Personalmente, non riuscirei a riempire uno stadio neanche coi numeri gonfiati, ma non è questione che mi preoccupa. La mia attenzione è rivolta altrove: più vado avanti e più desidero che il mio mestiere venga percepito come quello dell'artigiano, un uomo di bottega della musica.
Quest'anno ha lavorato anche a due colonne sonore (la prossima, è per il film di Manfredi Lucibello, Non riattaccare, in uscita l'11 luglio)...
Ecco, questo è proprio il tipo di scrittura che mi riporta all'artigianato musicale, che preferisco. Devo ammettere che tutta la parte che fa contorno al lavoro del musicista per me non è facile da gestire ed è anche faticosa. Scrivere una colonna sonora, invece, è come essere parte di un team che mi permette di esplorare e crescere.
Sanremo è una porta che riaprirebbe?
Perché no? Riflettendo sulla mia prima partecipazione, ricordo di aver affrontato quel palco con una naturale ingenuità, non legata all'età anagrafica, poichè avevo già 33 anni, ma piuttosto all'inesperienza di quel tipo di contesto. Oggi tornerei a patto di avere tra le mani la canzone giusta.
Intanto continua con il tour estivo. Come è sviluppato?
Quest'estate ci vedrete in giro in tre situazioni diverse. C'è la full band con Roberta Sammarelli, dei Verdena, che ha portato la sua energia pazzesca e che prosegue con noi sulla scia del tour invernale. C'è il trio, con Cesare Petulicchio e Giorgio Maria Condemi, con cui sperimentiamo e proponiamo anche canzoni che non fanno parte del repertorio abituale. Infine, per la prima volta, in un paio di occasioni, mi esibirò completamente da solo.
E dopo il tour ha già qualcosa in cantiere?
Certo, cose che non posso però spoilerare (alla fine risciamo a farci dire che si tratta di un nuovo disco).