“Dagli occhi miei rovesci da sette giorni. Che se non torni qui prevedo inondazioni”. Oggi c’è il sole, a Milano. È il 4 luglio, non dovrebbe essere una notizia. Ma è il 4 luglio del 2024, Greta Thumberg aveva eccome ragione, e il fatto che non piova è ben più che una notizia. Un’eccezione. A prevedere inondazioni, emotive più che meteorologiche, le prime corrette, le seconde fortunatamente sbagliate, è Zucchero, nella seconda parte di un clamoroso concerto tenuto finalmente e giustamente a San Siro, dove quest’anno sono piovuti concerti come sotto Katrina, uno al giorno, praticamente, non sempre baciati dal medesimo successo di pubblico e non sempre col medesimo tasso di qualità musical, ma questi sono dettagli che chi c’è stato, immagino, avrà registrato in maniera differente. Zucchero ha riempito San Siro, è un fatto, rilevante fino a un certo punto se si parla di musica, e qui si parla di musica. Zucchero ha fatto un concerto di una bellezza quasi sconcertante, di quelli che se fossimo Stendhal, e non siamo Stendhal, il fatto che io usi la prima persona plurale invece di una più consona prima persona singolare, per molti miei sedicenti colleghi dovrei forse usare la terza persona singolare e non essere proprio dentro il racconto, suppongo, dovremmo essere sotto shock, spaesati, ammirati, estasiati. Tre ore e mezzo circa di show, dove la parola show è reale, concreta, poggiata quasi esclusivamente sulla musica, complice un repertorio potente e una band, un sound, spaventoso. Zucchero, in fondo, è una delle nostre eccellenze, nostre, stavolta la prima persona plurale è corretta, qui e nel mondo. E a San Siro ha fatto quello che meglio gli riesce, musica, musica che attinge al blues, al soul, alla nostra tradizione melodica, con dentro spruzzi di funky, di rock, insomma, ha fatto Zucchero e trovarsi di fronte a Zucchero è sempre un’esperienza importante, che ti ricordi (per me, torno all’io, la prima volta è stata nel 1988, e constato che quello shock con gli anni e le esperienze non cambia affatto. Ma cos’è un concerto di Zucchero e un concerto di Zucchero oggi, anno del Signore 2024?
Innanzitutto è una scaletta monolitica, trentotto canzoni, monolitica però non nel senso di uniformata su un unico genere, tutt’altro, ma nel senso di “a prova di bomba”, massiccia, potente, scaletta dalla quale, e non sarebbe un concerto indimenticabile altrimenti, manca ovviamente qualcosa che ci avremmo voluto dentro, pur essendo piena di canzoni che adoriamo e conosciamo a memoria, vado a memoria, Menta e rosmarino, fatta all’ultimo concerto di Pescara, o Hai scelto me, Donne non l’ha fa praticamente mai, ma ha eseguito, dopo decenni, Un piccolo aiuto, infilandola al volo, non era neanche nel programma che ci ha dato l’ufficio stampa, come Occhi e Indaco dagli occhi del cielo, tutte accennate nel momento intimo, lui seduto su un trono nella pedana che si avvicina al pubblico, la chitarra acustica in mano, e ha fatto Madre dolcissima, Dio santo, Madre dolcissima, la già citata Iruben me, cito un paio delle sue canzoni che più amo. Una scaletta studiata, e ci mancherebbe pure altro, per alternare momenti sfrontati, rockeggianti, irriverenti, a momenti sentimentali, dolenti, struggenti, un po’ come avviene o meglio avveniva nelle tracklist dei suoi album del momento aureo, quello a cavallo tra la metà degli anni Ottanta e quella degli anni Novanta. Ecco, aver detto questo, qui e ora, potrebbe indurre qualcuno a pensare che io non apprezzi lo Zucchero recente, grave errore, mio nell’esposizione, se questo è passato, vostro nella lettura, se questo è passato. Intendo dire che, nel trittico Rispetto, Blue’s, Oro Incenso e Mirra e Miserere, c’era una sorta di fil rouge che passava tra i solchi dei vinili, bei tempi quelli nei quali si ascoltava la musica in analogico, a breve torno su questo, c’era sempre la mina, la bomba, la hit che avrebbe fatto ballare e scatenare chiunque, lì, tra le prime due tracce, Rispetto, assente stasera, Con le mani, Overdose (d’amore), Miserere, tutte presenti stasera, caspita, poi c’era la ballatona strappalacrime e strappa anima, Come il sole all’improvviso, fatta a Pescara ma non a Milano, Dune Mosse, presente, Diavolo in me, ovviamente eseguita sul finale, Pippo, assente, Senza una donna, eseguita con Jack Savoretti, come recentemente su singolo, Non ti sopporto più, assente. Ecco, come cavolo ho fatto a partire con questo ragionamento pensando di poterlo portare avanti in maniera logica?, senza sbrodolarmi è faccenda sulla quale un bravo psicologo dovrebbe ragionare. Comunque, poi ci sono le canzoni coi titoli chilometrici, Solo seduto su una panchina del porto…, ahinoi non pervenuta stasera, Solo una sana e consapevole libidine…, fatta, caspita, Il mare impetuoso al tramonto…, fatta, di nuovo le ballad, di nuovo i pezzi potenti, da far saltare in aria uno stadio, tutti in piedi a ballare scatenati, insomma, in quelle tracklist c’era una logica precisa, in quei lavori, perché le canzoni erano dentro dei dischi, e i dischi li ascoltavi per come chi li pubblicava aveva deciso tu li avresti sentiti, una canzone dietro l’altra, giusto la pausa per andare a cambiare lato, a un certo punto, e così accade ora, con la scaletta di un concerto, un’alternanza di generi, lento, mosso, danzereccio, scatenato, sessuale, sentimentale, solo che stavolta è dal vivo, con una band che è uno spettacolo nello spettacolo, anzi è lo spettacolo nello spettacolo, o sarebbe lo spettacolo nello spettacolo, se lo spettacolo non fosse già la scaletta, appunto, tutte quelle tante canzoni meravigliose, e non fosse anche Zucchero che le canta, trascinante e empatico, e non fossimo anche tutti noi che le cantiamo e le balliamo, bellissimi, anche perché oggi c’è stato il sole e in fondo siamo tutti un po’ stanchi di tutta questa pioggia.
Se a volte lo spirito di un concerto è quello di una messa collettiva, penso a quelli di Vasco, celebrabile anche in assenza del suo Dio, quello di Zucchero è semmai un rito tribale, dove la carnalità, la sua musica è questa del resto, ha un peso specifico molto alto, altissimo, e gli umori, dalle lacrime che rovesciano dagli occhi a tutti quelli che vi possono venire in mente, sono il liquido amniotico dentro il quale si nuota. Un rito sciamanico, nel quale la sezione ritmica, qui stasera il maestro Polo Jones al basso, oltre che alla direzione artistica, e i due batteristi Adriano Molinari e Monica Miz Carter, uniforma i battiti dei cuori delle decine di migliaia di persone presenti, anche il terzo anello seppur non pieno, ci sarà qualcuno, immagino che si premurerà di contarci uno per uno per vedere se è o non è sold out, quarantacinquemila il numero dichiarato, come fosse questo a rendere un concerto un evento unico, e dove la voce di Zucchero, col tempo ancora più calda, emozionante, è la guida verso l’esorcizzazione di tutto quanto di brutto abbiamo intorno, il male. A questo, in fondo, anche a questo, serve l’arte, e la musica di Zucchero, sia scolpito da artista sulla pietra, è arte vera. Il resto della band, già che ci sono, vede alle chitarre Mario Schirilò e quel mostro di Kat Dyson, direttamente dai Power Generation di Prince, alle tastiere e piano Peter Vattese e Nicola Peruch, ai fiati, James Thompson, Lazaro Amauri Dilout e Carlos Minoso, e ai cori quell’incredibile mix di voce e potentissima sensualità che risponde al nome di Oma Jali, una che è in grado di rubare la scena anche a Zucchero, a tratti. Non provo molta simpatia tra quanti, parlando di un tour, anche di un tour alla fine, spoilerano la scaletta, perché sapere quel che sta per accadere non è sempre entusiasmante, ma sappiate che a fronte di tanti classici, non sono forse classici canzoni come Il volo, le già citate Iruben Me o Baila?, ci sono anche diverse chicche, e comunque gli album sono presenti un po’ tutti, con uno spazio iniziale agli ultimi lavori, D.O.C. più degli altri, a occhio, ma chicche e canzoni più o meno nuove, mi spiace, le scoprirete solo se andrete a vederle dal vivo, vi capiterà magari in futuro, Zucchero è sostanzialmente da anni in una sorta di never ending tour, alla Bob Dylan, e questa è al momento l’ultima tappa italiana di questo magico giro per il mondo che a oggi gli ha posto di fronte già oltre un milione di spettatori. C’è anche un inedito in scaletta, Amor che muovi il sole, che gli offre il destro per far intendere che il suo attuale rapporto con la discografia non è serenissimo, ma il fatto che ci sia musica nuova e che la voglia far ascoltare lascia ben sperare per il futuro discografico del nostro, seppur fare dischi, per un appassionato di musica come Zucchero, uno che cura ogni singolo dettaglio musicale di ogni singola canzone, cercando i suoni giusti, i musicisti giusti, quindi spendendo soldi e energie, deve essere oggi come oggi qualcosa di frustrante, perché nel mentre qualcuno farà canzoni con l’iPad, facendo miliardi di stream, stream ascoltati da ragazzini con gli smartphone, mentre fanno altro, questo è il mercato musicale nel 2024. Ne parla, Zucchero, che in realtà si ritaglierà in tre ore e mezzo di concerto giusto un paio di momenti per chiacchierare, quando siederà nel trono, sempre lì, prendendo le distanze da certi atteggiamenti contemporanei, scherzandoci su, alla sua maniera, ma neanche troppo. Poi, certo, gli stadi li riempi se hai repertorio, esperienza, un pubblico allevato con amorevolezza nel tempo, o meglio, li riempi con continuità se hai sempre avuto cura della tua arte, oltre un talento in grado di mettere insieme quel repertorio. E anche se decidi di investire tanto nella band e nel suono, perché quello cui abbiamo assistito stasera è indubbiamente uno spettacolo superiore, sotto questo profilo, a qualsiasi show cui ho assistito quest’anno, parlo di italiani. Al punto che non c’è stato bisogno di effetti speciali, di scenografie da urlo, di frizzi e lazzi.
E sempre a riguardo, notazione di servizio, ma magari dico l’ovvio, se i concerti di Sfera Ebbasta e compagnia bella, bei numeri, ci mancherebbe altro, sono infarciti fino al midollo di featuring, incapaci come sono di reggere una scaletta lunga più di un passaggio in discoteca, oltre magari che incapaci di portare da soli così tanta gente fin qui, quelli di Zucchero, come quelli di Vasco, di Max Pezzali (ne parlavo giusto qui), Ligabue, Cesare Cremonini e pochi altri vanno via bene anche da soli, perché chi è venuto a sentire Zucchero è venuto a sentire Zucchero, non una rimpatriata di amici che faranno sembrare il concerto una puntata di Battiti Live o quel che è. Poi, certo, abbiamo visto Jack Savoretti, abbiamo sentito in tre brani la chitarra del mostro nipponico Hotei, abbiamo goduto, e questo altrove in Italia mi sembra non ci sia stato, il coro gospel in uno dei momenti più potenti dello spettacolo, ma in nessuno di questi casi l’ospitata era per portare pubblico, anzi, nel caso di Savoretti è stato più un gesto di generosità, indubbiamente è Zucchero a portare il suo pubblico all’artista inglese, forza Genoa, che viceversa, come in quello di Hotei, e il coro gospel, beh, è semplicemente l’ennesimo esempio di come Zucchero non si sia risparmiato nell’investire anche economicamente sulla musica, stasera. Tutto perfetto, quindi, uno spettacolo generoso, sul profilo del divertimento, dei sentimenti, dello scatenamento, spettacolo impeccabile sotto il profilo musicale, e Zucchero, quasi sessantanove anni, va detto, non ha calato una volta, mai una stonatura, davvero una voce incredibile, qualcosa di indimenticabile. Anche perché, non si leggano queste parole come portatrici di una qualche polemica verso altro o altri, Zucchero non teneva un suo concerto solista a San Siro, lo si era giusto visto l’anno scorso ospite di Coldplay, dal 2008, e credo che anche non essere ripetitivi sotto questo profilo, a volte, renda un concerto unico, indimenticabile, chi c’è c’è, chi non c’è non sa cosa si è perso. Io ci sono stato, come quella prima volta nel 1988, nelle Marche. E svariate altre volte nel corso del tempo. Domani, l’oggi in cui leggerete, è previsto ancora sole, don’t cry, però.