Nonostante gli artisti siano già impegnati nei loro tour estivi per tutta Italia, continuano a pubblicare nuovi pezzi, per trainare progetti già usciti o per anticipare quelli futuri. Quello di Anna, “Vera Baddie”, è un album che era nell’aria già da un po’ e che segna il suo esordio ufficiale nella discografia. Da quando è diventata famosa con “Bando” ad oggi, ha collezionato collaborazioni che vanno da Guè a Sfera Ebbasta, da Capo Plaza a Lazza, ottenendo il primato di artista femminile più ascoltata in Italia su tutte le piattaforme digitali. La popolarità che ha guadagnato canzone dopo canzone non le ha lasciato molto tempo per dedicarsi a un progetto tutto suo, in cui raccontarsi in prima persona e che finalmente è arrivato venerdì 28. Anna è stata molto abile negli anni a costruirsi un immaginario identificativo, che oscilla dalla strada alla cameretta, dalle pistole ai peluches e che si può ben riassumere con il termine baddie, con cui chiame sé e tutte le persone che si riconoscono nella sua musica. Letteralmente “stron*a”, nello slang americano per baddie si intende una ragazza molto sicura di sé e indipendente, proprio come si presenta Anna in questo disco, che può essere considerato come un decalogo vero e proprio della baddie. Dalle diciotto tracce che lo compongono, troppe, vengono fuori anche lati più introspettivi della rapper che finora aveva sempre messo in mostra più la sua parte sbarazzina e competitiva che quella riflessiva, come è anche giusto che sia per una ragazza di appena venti anni. In “Miss Impossible” si dipinge come l’amica che offre supporto durante una relazione tossica, che lei vede lucidamente a differenza della persona a cui si rivolge e che vorrebbe aiutare, invano, una situazione che da una parte o dall’altra hanno vissuto tutte. Nel raccontarsi emerge inevitabilmente il punto di vista di una donna, che pone il rispetto per se stessa al centro della sua credibilità, “Mai pagato in natura, giro Milano chiedendo fattura” canta in “Mulan”. Non ha mai fatto del genere un motivo di rivalsa e proprio per questo è riuscita a essere trattata alla pari dei colleghi maschi da parte della scena rap e del pubblico. Non ha mai avuto smanie da prima donna perché non ha mai sgomitato per un posto che è già suo, tanto che Sfera Ebbasta che l’ha ospitata al suo concerto a San Siro, l’ha presentata come “trap Queen”, titolo che al maschile è riconosciuto solo a lui in Italia. Al di là di qualche pezzo e dell’eccesso di termini inglesi, non si può che apprezzare Anna in questo suo primo album, soprattutto per la capacità di adattarsi alle produzioni, più che per la profondità dei testi che, se vorrà avrà tempo di sperimentare in futuro. Nella intro si definisce “indipendente già da piccola come Pippi” (Calzelunghe, nda), lasciandoci un’immagine che le calza a pennello, di una ragazzina smaliziata ma non maliziosa, che è riuscita a costruirsi una carriera, oltre che un patrimonio, solo con le proprie doti.
È anche tempo di ritorni, però, e dopo averla fatta ascoltare in varie occasioni, pubbliche e private, è uscita la nuova canzone di Achille Lauro, in compagnia di Salmo e Gemitaiz, “Banda Kawasaki”. Già dal titolo e dai nomi si capisce l’intenzione di tornare a sonorità più underground come quelle di “Ragazzi Madre” e “Pour l’Amour”, gli album più trap del cantante. Come dice Salmo nel brano “sono partito e torno al punto di partenza”, Lauro sembra avere la necessità di guardarsi indietro per riappropriarsi di un pubblico oltre che di un sound, ma da una prospettiva nuova perché la sua vita è diversa da quando cantava “Facce girate al contra’”. Lo fa coinvolgendo nel video i ragazzi della comunità Kayros, che si occupa di recupero di minori, per portare l’attenzione sul tema della rieducazione nel sistema penitenziario nazionale, che evidentemente andrebbe rivisto, viste le notizie dei suicidi avvenuti nelle carceri di Genova e Frosinone solo nell’ultima settimana. Tra i ragazzi di Kayros, Lauro è una voce credibile perché prima del successo era nella loro posizione e ora li accoglie nei suoi progetti per indicargli una via, che fa del loro svantaggio una forza. L’uso di onomatopee e di versi quasi primordiali rimandano a uno stato dell’uomo precedente alla civilizzazione da cui ci si può elevare con l’astuzia, proprio come “il gatto e la volpe” ma per fini più alti, senza fare reati. Il video finisce con una sfilata tra due file di moto Kawasaki, a dimostrazione che la strada è una fonte di energia indispensabile per creare linguaggi nuovi, dalla moda alla musica. Ogni rivoluzione nasce dal basso. Se questo è l’assaggio della nuova musica che ha promesso, allora c’è da ben sperare, perché di fragole e champagne e canzoncine smielate ci eravamo già tutti annoiati.