Lo studio di registrazione di J-Ax è un posto fuori dal tempo. Lo è perché si trova in un quartiere di quelli che quando ci arrivi ti fanno dire “questo quartiere è come un paese”, intendendo che, pur essendo decisamente parte della città che nel tempo ha inglobato quello che una volta era indubbiamente un borgo, un paese, al tempo stesso è come qualcosa di ancora separato dal resto, fanculo la gentrificazione, fanculo l’idea di grande città metropolitana, siamo come a Tortuga, dentro l’Impero ma qui batte bandiera pirata. Ma lo è, soprattutto, adesso parlo dello studio di registrazione, perché è pieno di rimandi a un passato che, quando invece che passato era presente sembrava decisamente e radicalmente proiettato verso il futuro, parlo degli anni Ottanta, tutti giochi elettronici e diavolerie da nerd. Il fatto è che J-Ax, che del nostro panorama musicale è senza ombra di dubbio un pezzo da Novanta, non solo perché negli anni Novanta ha esordito, sia chiaro, parlo di peso, di influenze, di gemmature e frutti, è anche un fottuto perito elettrotecnico, uno di quelli che se gli fai vedere un vecchio Vic20 o un Atari, dico nomi che pesco non so da che angolo polveroso della memoria, va in brodo di giuggiole, espressione altrettanto vintage che spero renda l’idea, in fondo campiamo entrambi con le parole. Lo studio, notazione cronachistica, poi giuro che smetto di buttare sul tavolo verde dettagli e passo oltre, si chiama Willy L’Orbo, e il pirata con il patch e un occhio solo è appunto il simbolo che il nostro ha deciso per questo luogo fuori dal tempo non troppo vicino alla Cologno Monzese che l’ha visto sputare le prime rime. Tortuga dentro Tortuga, quindi. Qui, nello studio di Willy L’Orbo, J-Ax lavora da sempre alla sua musica, anche ora che è tornato a farla col suo vecchio partner, Dj Jad, il marchio Articolo 31 già tornato in gran spolvero a Sanremo 2023 e con una serie di concerti decisamente incoraggianti, leggi alla voce quattro Forum di Assago e poi tour estivo, ogni tappa sold out, a breve anche un nuovo album, Protomaranza, il primo da qualcosa come ventuno anni da che i due zii ne avevano sfornato uno, Italiano Medio è infatti del 2003. Omissis. Proprio in quell’occasione, l’uscita di Italiano Medio, ho conosciuto J-Ax, ai tempi io scrivevo per Tutto Musica, parliamo di magazine di carta, e nel tempo, non mancherà di ricordarmelo, ho avuto modo di scrivere di lui, o meglio delle sue opere, Ax ricorda a memoria tutto quel che ho scritto, citandomi articoli di cui ho assolutamente perso memoria, problema mio.
Sempre qui, negli studi di Willy L’Orbo, J-Ax, insieme a Pedar e Matteo Lenardon, registra le puntate del seguitissimo podcast Non aprite quella podcast, dedicato al crime. Un podcast indipendente, sostenuto dai fan attraverso la piattaforma Patreon, altra cosa da nerd, certo, sempre che ci si possa permettere di definire nerd anche un personaggio rockeggiante come Amanda Palmer, che proprio con Patreon da anni sostiene tutta la sua arte. Arrivo qui che fuori è primavera, fatto di per sé normale, è in effetti primavera, ma neanche troppo, i cambiamenti climatici, la pioggia che prima non c’è per mesi, anni, e poi diventata tanto costante da proiettarci in una versione diurna di Blade Runner. Ci si saluta e neanche il tempo di sedermi nello studio principale che Ax mi mostra a cosa sta lavorando, e no, non è uno spoiler del nuovo album, omissis, tranquilli, un pacchetto di videogiochi anni Ottanta dentro un vecchio televisore col tubo catodico, Pacman e altre amenità. Poi mi spiega anche di che si tratta, ma siccome io non sono un perito elettrotecnico, confesso che ci capisco poco. Anzi, non ci capisco proprio una sega, ma dissimulo bene, credo. Mi spiega, vado a braccio, che sta lavorando in una sorta di piattaforma internazionale, dove ognuno mette le proprie conoscenze, ma probabilmente ho inteso Toma per Roma. L’atmosfera ha comunque un che di rimando a certa fantascienza datata, ancora una volta il passato che si confronta con la contemporaneità e si proietta verso il futuro. Succede così, quando si è fatta la storia, e J-Ax, con gli Articolo 31, redivivi, e in solitaria, ha indubbiamente fatto la storia del rap in Italia, fatto che gli è stato riconosciuto in corsa, certo, ma che ormai è assodato, come è successo con certe scoperte scientifiche prima considerate quasi implausibili e oggi ormai studiate già alle elementari. Succede che uno se lo immagini ancora quello di una volta, un amabile cazzone, sempre con la rima pronta, il gioco di parole, la stoccata e la trovata a effetto, un’idea di divertimento che procede di pari passo con la strenua volontà di perculare certe ipocrisie e certi bigottismi che della nostra indole sono parte portante, volendo anche un po’ di malinconia, sì, ben tenuta a bada ma costante, ma soprattutto ironia ficcante, ironia contro le ipocrisie e le incoerenze di chi ci vuole insegnare la vita, catena centrale della nostra stringa di Dna, e invece ti trovi di fronte un uomo di mezza età, sempre con quella medesima indole, certo, quelle medesime passioni, ma anche con tanto altro da dire e da dare, esattamente come succede a te.
E visto che lo studio di Willy L’Orbo è una sorta di navicella spaziale di quelle che ti proiettano indietro nel tempo, un Tardis più spazioso, certo, e anche decisamente più figo, anche se Ax a fare il Doctor Who non è che ce lo veda molto, va detto, quello che segue, o che è già stato, è una sorta di bolla temporale, i minuti che si fermano, in una specie di standby fluido, entri che sei un uomo adulto, un padre di famiglia, uno che ridendo e scherzando è in pista ormai da un numero tanto consistente di anni da permetterti di dirti e sentirti dire che c’è stata un’epoca diversa, di dischi venduti nei negozi, di carriere costruite partendo dal basso, di successi raggiunti e da gestire, certo, di cadute e di risurrezioni, c’è stata e tu c’eri, esci che sei esattamente il medesimo uomo di mezza età, ma per un paio di ore e mezzo, un paio d’ore e mezzo che ti risultano sospese, una passeggiata nello spazio, tra l’homo erectus e il transumano idealizzato da Donna Haraway. Come nel video di Right Here Right Now di Fatboy Slim, solo che diluito in due ore e passa. Una passeggiata darwiniana, quindi, tra le testuggini delle isole Galapagos, un completino color avana e gli occhialini tondi appoggiati sul naso. E Darwin tornerà tante volte in queste due ore e mezzo, lì a raccontarci di come il mondo di oggi ci sembri, di come il mondo in effetti sia. Darwin che qualcosa aveva pur previsto, su solide basi scientifiche, e le cui prospettive ci aspettiamo presto scombinino la realtà, troppo spesso assurda per poter attecchire in un pianeta in fondo ostile come la Terra. Un pianeta nel quale oggi come oggi regnano dinamiche ai nostri occhi di uomini di mezza età assurde, a partire da questo costante guardare a chi è arrivato dopo di noi come se ci dovesse costantemente dimostrare qualcosa, inchinandosi per un rispetto che spesso ci scordiamo di doverci meritare, fino a quella anomala forma di bipolarismo, a voi decidere se mentale o politico, che vuole tutto sia sempre e comunque ascrivibile a categorie formali strettissime, la possibilità di essere semplicemente se stessi assai poco praticata e di conseguenza accettata, con tutto quel che c’è nel mezzo, dal surfare in superficie, consapevoli che sotto ci può essere un bagnasciuga tanto quanto le ventimila leghe sotto i mari narrate da Jules Verne, all’andare sotto vestiti da palombaro. Omissis. Succede di conoscersi anche solo attraverso quel che si fa, che è poi il motivo per cui ci si lega agli artisti anche senza avere mai occasione di incontrarli, ci si riconosca, magari, anche dopo anni nei quali non solo non ci si è fisicamente visti, ma gettando l’occhio da lontano si era convinti di avere di fronte qualcosa di diverso, un avatar, un alieno di quelli che arrivano sulla Terra sotto forma di Bacelli, la storia del cinema ne è pieno, e che sono solamente fisicamente identici a quello che quei corpi in principio erano, ormai trasformati in semplici gusci.
E qui si che mi permetto uno spolier, in attesa più avanti, quando sarà ora, di parlare di quel che in effetti nello studio di Willy L’Orbo è stato inciso, omissis, portate pazienza, J-Ax non credo sia in effetti J-Ax, hanno ragione i tanti complottisti che, sgamati nel tempo i cloni di Avril Lavigne, prima, e di Eminem, poi, ora hanno capito che quello che si fa vedere con quella barba scura sui social, barba scura che ricorda mica per caso quella proprio di Eminim, è in realtà anch’esso un clone. Altrimenti non si spiega come sia possibile, a distanza di così tanti anni, il suo avere uno sguardo così lucido e al tempo stesso cazzone, maturo, sì, ma anche leggero, pop e hardcore allo stesso tempo. Omissis. Provateci voi a parlare di figli e di eredità, artistica, ovviamente, senza risultare con un piede nella fossa, o provateci voi a fotografare l’oggi con lo sguardo disincantato di chi ne ha già viste troppe, ma al tempo stesso con l’empatia di chi è cresciuto nel lato giusto della strada, quello selvaggio, poco conta che ora viva in centro. Roba da cloni, è ovvio, che ve lo dico a fare. Ecco spiegati anche tutti quei giochetti elettronici, la sensazione di stare dentro una navicella spaziale, i Pacman e i televisori col tubo catodico. Assolutamente roba da cloni. Nulla contro i cloni, sia messo agli atti, ma quel che è giusto è giusto. Ancora qualche giorno e tutto quello che qui appare come omissis verrà svelato, altro che Cristo di Sanmartino. Omissis. Per ora, se potete, ma forse è tardi, non aprite questo articolo. È pieno di omissioni, ma in quanto a pensieri e parole e opere siamo messi bene, almeno quelle.