Max Papeschi non è solo un artista, ma anche uno studioso. in qualche modo è l’Harari è dell’arte italiana e questo lo rende una delle figure più importanti del panorama contemporaneo. La sua ultima fatica è esposta a Milano, presso la Fondazione Stelline (in corso Magenta) e il titolo dell’esibizione dice già tutto: Extinction. Di recente ha anche tenuto una serie di incontri per parlare del rapporto tra IA e arte. Gli abbiamo com’è andata e cosa pensa di ChatGPT e Midjourney, se ha paura che il lavoro dell’artista scomparirà e se crede che l’estinzione, alla base del suo progetto, potrà essere provocata proprio dalle macchine.
Il 13 febbraio si è tenuto un incontro sul rapporto tra arte e intelligenza artificiale, di cosa si trattava?
In realtà è uno spin-off di Extinction, questa mostra che sto facendo a Milano a Palazzo delle Stelline. Extinction è un progetto di lunga durata, nel senso che quello che abbiamo presentato qui a Milano è il capitolo 1 dei tre ai quali ho pensato, più ci sarà una mostra in cui riassembleremo tutto insieme. SI tratta di un progetto di circa 4 anni sull’estinzione umana. Il progetto parte da un presupposto: la razza umana si è estinta, una civiltà aliena ha trovato dei dati digitali sugli umani, molto frammentari, ha provato a farli rielaborare da delle intelligenze artificiali e quello che ne esce è questa mostra in cui vengono presentati i risultati della ricerca di questi “archeologi alieni. L’idea era di fare una parodia raccontato il punto a cui è arrivata la specie umana.
Come è nata l’idea?
A marzo 2020, durante la pandemia. Le strade erano deserte, la gente ti schivava, c’erano le file fuori dai supermercati, c’era un po’ un’aria da fine del mondo. E son partito con Flavia Vago (se fosse un film, lei sarebbe la sceneggiatrice) e abbiamo iniziato a sviluppare questo tema e poi abbiamo trovato la “produttrice del film” che è Stefania Morici. Sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista dei costi, che sono davvero costi da cinema e non da mostra d’arte, il lavoro è stato tanto impegnativo da farci pensare di suddividerlo. Il successo che sta avendo il progetto dovrebbe permetterci di trovare fondi e i partner per la fase 2 e poi la fase 3. Chissà se non mi venga in mente anche una fase 4.
Ma l’intelligenza è più una cosa da alieni o da esseri umani?
Noi abbiamo usato un’intelligenza artificiale umana per fare questo lavoro. In fondo alla mostra ci sono dei video. Abbiamo immaginato davvero un laboratorio di archeologi che raccolgono dati e immagini e sintetizzano il primo reperto archeologico, che sarebbe questo esercito di Xi’an con la testa di alcuni nani da giardino, perché abbiamo pensato a un lost in traslation. L’idea è venuta a Creta, quando vai a vedere il palazzo di Cnosso e poi ti accorgi che tutte le ricostruzioni sono totalmente arbitrarie, non si sa nemmeno il nome vero di questa civiltà all’inizio, e periodicamente si cambiano tesi sulle origini e la struttura sociale. Magari son partiti da un dettaglio, ma sono tutti tentativi di ricostruzioni che magari non reggerebbero alla prova della verità. Noi, questo lavoro di ricostruzione, lo abbiamo fatto fare ad AIIO, un’intelligenza artificiale che consiste in un “assemblaggio” di vari open source da parte di Michele Ronchetti. Abbiamo fatto lavorare l’IA come fosse uno dei nostri collaboratori, non tanto per stupire, ma per realizzare cose che un essere umano non poteva fare. Abbiamo usato l’IA come un supermuscolo, ma decisamente umano.
Hai detto supermuscolo ma anche collaboratore. L’IA è un soggetto?
In realtà noi la chiamiamo intelligenza artificiale per pigrizia, perché non è un’intelligenza, ma solo degli algoritmi che l’artista può decidere di usare o meno. Ma non fa niente da sola. Sfatiamo l’idea che l’intelligenza artificiale porterà via il lavoro creativo agli artisti. Anche volendo non sarebbe in grado. È uno strumento, un potenziamento. La usi per potenziare il tuo pensiero e accorciare i tempi di realizzazione.
Non si fa che parlare di ChatGPT e di Midjourney. Anche questi sono supermuscoli?
Sono cose un po’ diverse. Midjourney crea le immagini ma scopiazzando cose che son già state fatte e rielaborandole. Un artista può decidere di lavorare con Midjourney invece che con il Photoshop, ma consapevole che andrà a pescare in un immaginario precostituito. Non parti da zero. La stessa cosa fa ChatGPT. Allora se tu devi scrivere un articolo di giornale riassuntivo su un fatto e non ci devi mettere del tuo, può andare bene. È un po’ come cucinare con il Bimby. Se vuoi mangiare gourmet e vai in un ristorante stellato non ci trovi comunque il Bimby. Se devi scrivere Homo Deus di Harari non lo scrivi con ChatGPT. Se vuoi scrivere un articolo massimalista sull’Isola di Pasqua lo puoi anche fare, ma non esce fuori Collasso di Jared Diamond.
La tua esibizione parla di estinzione. Avete contemplato l’idea che l’uomo si potrà estinguere per colpa delle intelligenze artificiali?
Assolutamente no, abbiamo guardato principalmente allo stato presente delle cose, lasciando ogni possibilità aperta, ma tra quelle attualmente percorribili, come pandemie, calamità naturali, guerre. O perché smetteremo di riprodurci. Si fa sempre meno sesso, la realtà virtuale e altre protesi potrebbero estremizzare la mancanza di voglia di riprodursi. Si fanno meno figli nelle società avanzate ed è una tendenza che non accenna a fermarsi. Abbiamo fatto un’ipotesi a Raggi X delle possibili cause. Ma il nostro non è uno show che prende Terminator o Matrix perché un’IA si ribella.
Hai detto che l’IA non toglierà lavoro agli artisti.
Quello creativo ovviamente no. Mi sembra evidente che il lavoro salariato sia destinato a finire grazie allo sviluppo della tecnologia. Raccattare immondizia, lavorare in fabbrica, far la cassiera, ecc. Il lavoro che fai per soldi e non perché ti piace scomparirà. Il lavoro che faccio io, ammesso che si possa chiamare lavoro, lo farei anche se fossi miliardario di famiglia. Certo, prima di arrivare a sintetizzare come positivo il superamento del lavoro, ci saranno tensioni sociali drammatiche, perché l’uomo è sempre più avido e ci sarà chi vorrà inquinare o rallentare questo cambiamento. Anche perché spesso i collezionisti comprano il nome, anche. Non me li vedo a comprare l’opera di una macchina.
Insomma, le IA non diventeranno mai dei veri artisti.
Fin quando non avranno l’esigenza creativa no. E l’esigenza creativa è il senso della morte. Tutti gli artisti lavorano sempre e solo per un motivo, ragionare sul senso della vita e della propria mortalità. Non a caso in Blade Runner, per rendere credibili i replicanti viene data loro una mortalità. Sapere che di deve morire ci rende creativi, secondo me.
Elon Musk invece è convinto che le IA potranno creare opere d’arte uniche e autentiche.
Se dovessimo arrivare a un’IA che non simula un’autocoscienza ma che ha un’autocoscienza, allora avrebbe le nostre ansie e forse sì. Ma dovrebbe essere un cervello umano. Ma la vedo come una prospettiva lontanissima da noi. Al massimo potranno essere buoni illustratori. Ecco, se mi chiedi se gli illustratori potranno perdere il lavoro, ti rispondo di sì.
Noi abbiamo usato Midjourney per creare un’illustrazione e metterla a confronto con quella di un illustratore, e in un sondaggio online il pubblico ha preferito la prima…
Appunto, l’idea è dell’illustratore ma tecnicamente l’IA può essere migliore. Ma l’arte non è solo tecnica, perché io scolpisco con la testa.
L’IA no.
No, esatto, non scolpisce con la testa. Non pensa.
Torniamo al discorso dell’autenticità. Ora si usano gli NFT.
Sì, facciamo chiarezza. Non è che esiste un’arte NFT, non esiste neanche la criptoarte. Esistono delle opere sintetizzate in digitale o in CGA, per esempio, e poi puoi decidere di dropparla, che vuol dire metterla online con il meccanismo della blockchain e a quel punto diventa un token non fungibile. Ma non è un modo di fare arte, solo un modo di venderla. Nel caso degli NFT, due anni fa, non era altro che un modo per spostare denaro, eludere il fisco e riciclare i soldi alla criminalità organizzata. Di artistico ci vedo molto poco.
Quindi l’autenticità dell’arte non può passare per il mondo NFT.
No, quello è solo un certificato di autenticità, che poi già esiste.
La tua opera uscita per Millenium era in NFT però.
Sì, ma poi con la redazione di Millenium abbiamo deciso di non farlo, perché era un sistema fragile e non pulito.
Quell’opera raffigura Topolino e Topolina che si chiudono gli occhi e hanno alle spalle un fungo atomico. Cosa può fare l’arte in tempo di guerra?
Non dobbiamo pensare solo all’Ucraina, ma anche a Taiwan per esempio. Sicuramente non cambia nulla. Nel migliori dei casi l’arte dovrebbe raccontare. Io faccio un lavoro di solito storico e antropologico, ma resta una narrazione, che però può fornire delle chiavi di lettura, più consapevolezza. Ma non può certo fermare una guerra.