Nel 1962 Alberto Sordi era transitato per la cittadina svizzera di Andermatt, comune sulle Alpi nel Canton Uri. Il posto lo aveva conquistato. La magnificenza delle Alpi svizzere gli aveva fatto balenare una possibilità: “Perché non acquistare un terreno per poi costruirci una residenza invernale?”. Il paese e le autorità locali furono ben contente di questo interessamento da parte di un attore già famoso che poteva portare lustro alla piccola comunità. Dunque l’Albertone nazionale si accingeva a comprare e costruire quando inaspettatamente da Berna, capitale federale de facto, arrivò un secco “no”, non si poteva fare. Gli abitanti e soprattutto l’attore si chiesero il perché. Andermatt si trova vicino al San Gottardo che era pieno di bunker militari per contrastare una possibile invasione nazista prima e sovietica poi. Quindi i militari si rivolsero al governo federale per impedire l’acquisto del terreno da parte di una potenziale spia dei sovietici. Albero Sordi non si arrese e assunto il miglior avvocato del luogo fece opposizione ma perse e così si dovette rassegnare a trovare qualche altro posto dove passare le sue vacanze invernali. Questa la storia iniziale, invero plausibile perché durante la Guerra Fredda il clima era questo, da caccia alle streghe. L’ha scoperta un regista svizzero, Felice Zenoni, rovistando negli archivi del cantone di Uri, situato nel centro della Svizzera, e ne ha scritto un articolo sul locale giornale, l’Urner Zeitung. Oltretutto, come noto, e ribadito dalla sua storica portavoce Paola Comin, Sordi non era certo un uomo di sinistra, anzi ha fatto sempre intendere di essere della Democrazia Cristiana ed amico personale di diversi Papi e di Giulio Andreotti. Anzi, una volta voleva girare un film in Unione Sovietica ma i russi gli misero tanti di quei paletti che rinunciò. Ma non mi voglio tanto soffermare sulla vicenda in sé quanto su quello che è successo dopo. Hanno cominciato dapprima i giornali svizzeri titolando “Alberto Sordi spia del Kgb” e poi, poco dopo, la fake news è arrivata in Italia dove ha cominciato a trarre forza, vigore e potenza come se fosse un ciclone.
Una notizia palesamente infondata, appunto una vera fake news che non aveva neppure bisogno di smentite per quanto fosse falsa, e tutti lo sapevano. Si trattava solo di blande supposizioni dei militari svizzeri, nulla suffragato dai fatti. Nonostante questo, se ne è parlato anche nei talk show come se fosse una notizia assolutamente vera, con dovizia di particolari, arrivando persino a fingere di scandalizzarsi. Una situazione francamente imbarazzante, se non assurda, che però ha alimentato il dibattito per qualche giorno dando l’impressione che ormai siamo oltre le fake news ma anche oltre la post verità, in un territorio nuovo, quello "della bufala nota che è comunque trattata come vera". Questa storia ricorda molto il caso dello scherzo “Tognazzi e Vianello capo delle Brigate Rosse” nel 1979, a cui però molti inizialmente credettero. Ma allora non c’erano i social e la cosa rimase confinata nello scherzo goliardico seppur a mezzo stampa. L’Italia dunque è stata un paio di giorni a discutere della vicenda. Fiumi di inchiostro, ore e ore di chiacchiere televisive con il solito esercito di “medici, dotti e sapienti” che si sono sentiti in diritto di arringare il pubblico nelle vesti di alti sacerdoti di un basso culto: quello della balla continua.