Ci sono attori che colpiscono per il loro carisma, per la voce oppure per quell’invisibile barriera che li circonda e che li separa dai comuni mortali, dal mondo degli accidenti. Statue di marmo relegate in un iper-realtà immaginaria, inscalfibili nella loro alterità. Franz Rogowski, al contrario, sorprende per l’immediatezza del suo aspetto: il labbro leporino gli ha cambiato la voce, il passato da ballerino gli ha forgiato il fisico e gli occhi sembrano guardare lontano. Oppure vicinissimo, fin dentro le ossa. È nato a Friburgo trentasette anni fa e ha iniziato la sua carriera nei teatri di Amburgo, Hannover e Berlino. Nei suoi spettacoli utilizzava il suo corpo come arma e medium per esprimere sé stesso, senza filtri. La comunicazione si basava necessariamente sull’intreccio di muscoli e nervi. Non è nato povero, come capita a molti grandi della storia, ma si è sempre guadagnato autonomamente il necessario per percorrere la strada della recitazione. Dal 17 agosto lo abbiamo visto nelle sale italiane in Passages di Ira Sachs, pellicola distribuita da Mubi in collaborazione con Luck Red: la storia di un uomo conteso tra il suo compagno Martin (Ben Whishaw) e Agathe (Adèle Exarchopoulos). Un triangolo amoroso in cui sono in gioco identità sessuali, paure e l’instabilità di una relazione monogama. La carriera di Franz, però, è già lunga e costellata da interessanti collaborazioni.
Il film racconta la parabola del giovane anche tramite le sonorità techno della musica del Dj francese Vitalic, una scelta originale per una storia cruda e che velocemente tocca il suo punto più basso: una missione speciale della legione nel delta del Niger non va secondo i piani e Aleksei uccide Jomo, interpretato dall’esordiente Morr Ndiaye, giovane leader di un gruppo che aspira all’indipendenza della regione. Quest’esperienza lo mette in crisi: il sangue di un uomo sulle proprie mani vale il riconoscimento legale come cittadino? Il finale è una danza a due con Udoka, sorella di Jomo divenuta ballerina in un club parigino. La danza, la musica e il rifiuto della guerriglia semi-legale di un paese come la Francia. Nell’Europa in tempo di guerra un messaggio non banale. Franz, ha detto lo stesso regista in un’intervista a MyMovies, ha saputo interpretare il personaggio con tutto il corpo. Non solo con la mente: le idee e i significati diventano carne e sangue grazie al talento dell’attore di Friburgo.
Il rapporto con l’Italia, per Franz, si era già instaurato due anni fa, precisamente sul set di Freaks Out di Gabriele Mainetti (il regista di Lo chiamavano Jeeg Robot). Qui interpretava un suonatore di piano a sei dita, artista circense e gerarca nazista con poteri di chiaroveggenza. Un mix improbabile ma ben riuscito. Franz negli oltre 10 anni di carriera cinematografica ha lavorato con alcuni dei nomi più importanti del panorama cinematografico contemporaneo. È stato protagonista de La donna dello scrittore e Undine, entrambi di Christian Petzold, ha recitato in A Hidden Life di Terrence Malick e in Happy end di Michael Haneke. Tre autori unici che avevano bisogno, per far funzionare la loro arte, dell’unicità di Franz. In un secolo in cui al vertice c’è Thimotée Chalamet, naturalmente bravo, inspiegabilmente bello e capace di interpretare senza fatica (sembra) tutti i ruoli che gli capitano sulla pelle, quelli come Franz Rogowski meritano qualcosa di più di una menzione d’onore, qualcosa di meglio del premio di consolazione. L’esempio vivente che il genio si manifesta anche in coloro che, con il volto rovinato, la voce compromessa e la fatica che scheggia le mani si sforzano di raggiungere quella dimensione che rasenta l’inspiegabile. La ricerca dell’estetico e dell’anima del cinema passano anche dall’apparenza imperfetta di quelli come Franz: atipici divi nell’era degli idoli.