Odd è nuovo a Bologna, un piccolo locale in via Borgo di San Pietro. Pochi posti a sedere, pareti verde tavolo da poker, qualche stampa appesa, abat-jour sui tavolini, musica perfetta (stavolta abbiamo addentato un bun mentre ascoltavamo Red Right Hand di Nick Cave and the Bad Seeds, per farvi capire il livello). Dietro, in cucina, c’è Lorenzo Coccovilli, che viene dalla Val D’Aosta e si è portato dietro la vertigine del gusto. Di fronte a noi, a gestire il mazzo, a dare le carte, c’è Diego Taurisano, che avrebbe potuto non portarci il menù, perché è vero che si fa street food, ma per la prima volta si tratta di un’esperienza vera e propria, pensata, composta. Visto che di musica si parlava: si dice che gli assoli di David Gilmour siano un montaggio di varie prove diverse, registrate una dopo l’altra. Gilmour sceglie poi le parti di ogni solo che ha preferito, le mette insieme, e abbiamo Comfortably Numb. Loro hanno fatto la stessa cosa. Da un meno verticale, pieno, sono passati al montaggio, a una selezione, un’idea di che suono potessero avere i loro piatti.

Bisogna provare a essere chiari, perché Bologna ha la fama di essere una città dove si mangia bene. È vero, ma meno di quanto si creda. Di locali buoni ce ne sono, alcuni eccezionali, ma c’è anche tanta retorica intorno alla cucina, anche intorno al fine dining. Quest’idea che tu debba pagare qualche euro in più per un’esperienza che non ha un vero impatto sulla tua serata. E invece è quello che deve essere il fine dining. Da via Borgo di San Pietro a casa ci sono almeno venti minuti a piedi. Per venti minuti abbiamo parlato esclusivamente di quanto di questa cena. Il menù, abbiamo detto, è un percorso, una “teoria”: Past, Present e Future. Il primo movimento è legato alla tradizione, il secondo alla ricerca che i ragazzi stanno affrontando in questo periodo, il terzo è la cucina a base vegetale. Lo street food, per sua natura, deve avere un gusto materico, un sapore che corrisponda a un suono. Di solito è il rumore di quando addenti qualcosa di succoso, anche se non rende bene l’idea. A livello sonoro meglio usare un termine inglese: juicy. Grazie ai cooking show poi abbiamo imparato a parlare di umami. Per avere un’idea andate da Odd. Abbiamo scelto il menù Present, perché è il nostro secondo appuntamento e abbiamo pensato che la ricerca andasse premiata. Un’unica variazione, visto che chi scrive, purtroppo, non ama il pomodoro: il dolce. Come? C’era un dessert con il pomodoro? Sì, e la mia ragazza mi sta ancora offendendo per non averglielo fatto assaggiare (visto che, purtroppo, non ne parlerò, ve lo nomino subito: “Terra”, Crumble al cacao, nocciole e pepe Timut, cremoso al cioccolato bianco del Madagascar e pomodoro, sfere di aceto balsamico).

Ovviamente l’amuse bouche, due sfere di gin che esplodono in bocca, molto divertenti e in grado di allertare il palato, che si prepara a un’esperienza ad alta intensità. La prima portata è il “Sentiero”, pan Brioche tostato, tartare di manzo, gelato salato di alloro e fichi. In Val Pusteria, a volte, puoi provare a mangiare qualche fiore. Devi sapere quale, devono indicartelo. E poi il latte di malga, l’odore delle cucine nei rifugi sopra i 2000 metri. Era tutto qui, il percorso, questo binomio strano, un panino, con una carne cruda ma lavorata, per cui tiepida, che ammorbidisce la bocca, insieme a un gelato perfetto, freddo, in grado di bilanciare il sapore della carne.

Siamo passati a Yama, un bun con costine di maiale sfilacciate cot, salsa teriyaki, crema di piselli e zenzero, scalogno marinato con aceto di lamponi. Qui il plus è proprio la crema di piselli e zenzero, dove lo zenzero fa fare l’upgrade a un sapore della tradizione, spostando i pensieri dal sapore consueto dal legume a un prodotto che possiede una dinamica completamente diversa e più difficile da decifrare, perfettamente calibrata anche rispetto agli altri ingredienti, a partire chiaramente dalla salsa teriyaki, che ha una sapidità più impattante. La carne, va da sé, era praticamente stata assorbita dal bun, fatto da loro. Piccola nota di merito proprio il lavoro sul pane. Ogni panino è circa 90 grammi di impasto, che viene cotto con precisione matematica, tanto da mantenerlo completamente morbido, tenendo la doratura sul millimetro, segno che non è stato lasciato neanche pochi secondi di più. Questo fa sì che il pane, all’interno, mantenga tutte le caratteristiche date dal processo di lievitazione, mentre la pellicola esterna trattiene sapore e condimento senza prevalere, neanche alla masticazione. Inoltre, come detto, si tratta di una porzione comunque importante di impasto, che vi fa capire anche l’idea di fondo di questo locale, e cioè alzare il livello del gusto senza abbassare il livello del godimento.

Tocca poi a Mykonos, che ci ha fatto venire voglia di partire. Dovrò chiedere a MOW le ferie un po’ in anticipo. Un bun con pancia di agnello speziata, tzatziki, cetrioli in osmosi con limone e menta. Signori, qui la differenza la fa il cetriolo in osmosi, tagliato fino, appoggiato sopra alla tzatziki (pazzesca). Siamo, se vogliamo, su un accostamento più consueto e i sapori sono decisamente più legati a una memoria gustativa tipica di chi vive in una grande città, a contatto con la cucina di vari Paesi. Il lavoro fatto sulla carne è lo stesso degli altri panini, si è cercato cioè di mantenere un buon livello di umidità garantendo all’ingrediente principale di non spegnersi per via della nota più acuta data dal cetriolo o delle note fresche della tzatziki. Un piatto paradossalmente molto complesso, perché l’accostamento è meno strano e quindi, anche all’occhio, permette al cervello di pregustare il piatto. Eppure, un piatto che soddisfa le aspettative e alza il tiro.

A questo punto toccherebbe al dolce. Noi abbiamo aggiunto due portate. Lo special, un mao con pancia di maiale, spezie orientali e un’insalata di cavolo. È stato il piatto più “ignorante”, più aggressivo, più di impatto. Pane croccante, cavolo cappuccio marinato alla perfezione, e una serie di spezie che hanno fatto da ponte tra la carne e la verdura. La palette di sapori è molto varia, nonostante qui abbiano decisamente puntato sul morso verace. Il problema? Ci ha completamente aperto lo stomaco. Per questo ordiniamo un secondo e ultimo piatto prima del dessert. Questa è la SINFONIA. No, non si chiama così, l’abbiamo chiamata così noi. Il motivo è questo: immaginatevi di aver mangiato, con gusto una serie di portate a base di carne, un alimento molto complesso, sia a livello di gusto che come consistenza, capace di dare da solo un senso al piatto, soprattutto in una dieta come la nostra, dove davvero la carne può essere quasi un pasto a se stante a cui aggiungere, appunto, il contorno. Invece Diego ci propone la Spring Time, una tartelletta salata al Parmigiano Reggiano, ricotta e asparagi, caprino fresco alla camomilla, insalatina cruda di asparagi e fave, polvere di limone. Ripeto: la SINFONIA. Sarà davvero difficile immaginare un altro modo di mangiare le verdure. Il gioco qui, chiaramente, si basa su tre aspetti portanti: la tartelletta al parmigiano, l’elemento crudo, la componente cremosa. È veramente difficile spiegare il livello di perizia con cui la verdura è stata selezionata e abbinata sopra a un cuscino di formaggio che dà la giusta distanza rispetto alla tartelletta. Anche concettualmente, è un piatto davvero pensato in modo architettonico, con le componenti croccante sopra e sotto e con una componente più avvolgente centrale, che però permette di valorizzare proprio la tartelletta e l’insalata cruda, facendo sì, in particolare, che il sapore del parmigiano si arresti dando spazio alla parte vegetale. Qui il livello è stato davvero altissimo. Uno dei piatti migliori a mani basse.


Siamo arrivati al dolce. Abbiamo scelto anche in questo caso il dessert del futuro, Mediterraneo: sablée al cocco, cremoso al cioccolato bianco e basilico, limone candito e polvere di lime. Tu chiamala se vuoi goduria. In qualche modo torniamo un po’ a quel gelato all’alloro, a quegli odori floreali. Il sapore è molto complesso, il basilico non solo esalta il cioccolato bianco, ma lavora molto sulle note del cocco, spostando l’attenzione su questa componente più mediterranea. Solo a questo punto ci siamo resi conto di aver concluso una cena, di aver fatto un percorso ancora una volta sorprendente, stavolta offerto anche attraverso una chiave di lettura minimal, molto chiara, diretta. Sul passato di Odd abbiamo scritto, sul presente non abbiamo decisamente alcun dubbio. Sul futuro ci sentiamo di fare qualche previsione. Ma ve ne parlerò un’altra volta.

