Sabato sera al Teatro dei Filodrammatici ha fatto tappa Erica Mou per il suo tour “Cerchi”, intitolato come l’omonimo album uscito a fine novembre. L’intenzione era quella di riproporre integralmente il disco, simulando la sua genesi. “Cerchi” infatti, nasce durante una residenza artistica al teatro Petrella di Longiano, insieme alla violoncellista Flavia Massimo, al polistrumentista Molla e al fonico Fabio Cardone, in scena insieme a lei. Dalla seconda galleria dove mi hanno riservato un posto, si riesce a vedere il palco in tutta la sua espansione e la platea che conta un centinaio di posti. Si distinguono gli strumenti, le bottigliette d’acqua, fogli, libri, cavi e tutti gli oggetti funzionali allo spettacolo, in un quadro che lascia tutto allo scoperto, senza trucchi né inganni. Sul parquet nero usurato dalle recite passate, il primo passo di Erica Mou segna l’inizio del concerto. La folla è variegata ma tendenzialmente adulta, si vede che sono tutte persone interessate e educate al teatro e alla musica analogica. Mentre canta può distinguerne i volti e riconoscere quelli amici. Tra questi ci sono anche gli organizzatori del suo primo concerto milanese nel 2007, che fu per lei l’occasione che gli ha permesso di fare la vita di adesso. I “Cerchi” di cui parla sono proprio questi, incontri ed eventi che fanno dei giri imperscrutabili per poi chiudersi là dove erano nati. Così si inanellano le canzoni dell’album una dopo l’altra, inclusa una parentesi dedicata a quelle più iconiche del suo repertorio. Quando attacca “Nella vasca da bagno del tempo”, che valse a Erica il premio di critica e sala stampa al Sanremo giovani del 2012, scatta il coro e la sala si scalda.
Trovano spazio anche due momenti di lettura, incastonati a dovere nella scaletta ai fini della drammaturgia dello show. Contestualmente a “Cerchi” infatti è uscito il suo secondo romanzo “Una cosa per la quale mi odierai”, che ripercorre il rapporto con sua madre per tutti i mesi di malattia, che hanno preceduto la sua morte. Nei racconti, che commuovono tutti, si sentono i profumi della sua Puglia, di cui è originaria, i suoni delle feste patronali del Sud, i discorsi nei pranzi della domenica con i parenti, ma anche lo sguardo malinconico di chi guarda a quei ricordi con nostalgia. Eppure, mentre si sente qualcuno che piange, lei canta con misura e decisione, le stesse delle vere dive, eleganti e defilate, che sanno come plasmare la passione delle emozioni in arte libera. Quando il concerto sembra volto al termine, Erica riappare in mezzo al pubblico a teatro illuminato e intona un brano a cappella, camminando fino ad arrivare alle gallerie. Come una voce senza corpo, le parole risuonano in un’eco che si sposta con lei mentre passa da uno spazio all’altro. Ai ringraziamenti finali, sostenuti da un applauso interminabile, Erica risulta stupita dall’accoglienza riservatale e ribadisce che per un artista non c’è niente di più desiderabile che essere ascoltato: “Grazie per averci ascoltato, ma mi voglio spingere oltre, questa sera ci siamo sentiti proprio amati”. Mentre esco dal sontuoso edificio liberty che accoglie il Teatro dei Filodrammatici, situato proprio accanto al Teatro alla Scala, incrocio la fila di fan in coda per gli autografi di soprani e tenori che stasera si sono esibiti qui in contemporanea al concerto di Erica Mou, anche lei impegnata in quell’istante nella stessa attività. C’è chi va all’opera, chi al club e chi si ferma per strada, gli spettatori vorranno sempre un segno materiale per archiviare un ricordo e i cantanti delle orecchie da cui farsi ascoltare e forse anche un po’ amare.