La devozione alla celebrità è la deformazione più mediocre della religione. Questo siamo diventati. A questo ci siamo ridotti. E per vederlo, capirlo, per esorcizzarlo non c'è un modo migliore che andare a Sanremo durante il Festival di Sanremo e fottersene dei cantanti. Un piccolo smacco, un moto di ribellione alla stupidità umana che porta a venerare, circondare, fotografare e porre domande idiote a persone che cagano come te e sono orrende come te, ma che sanno fare bene qualcosa che, per motivi vari, ancestrali o superficiali, conta più di quello che sai fare bene tu. Nel loro caso: comporre canzoni e cantare, solo cantare o addirittura soltanto comunicare (di Ghali, per esempio, tutto si può dire tranne che sappia cantare). Con queste persone, non so, dovresti parlare davvero di sofferenza, poesia, solcare le profondità dell'essere da cui traggono ciò che le rende così speciali, esseri onirici a cui tutto è permesso perché così dev’essere. E invece per colpa del marketing, degli uffici stampa, della stampa stessa, di tutto il sistema, per colpa del Truman Show in cui siamo immersi, insomma per colpa di come va il mondo, possono parlare quasi esclusivamente di cazzate.
Dove sono le luci, i tappeti rossi, i flash dei fotografi, l'incessante chiacchiericcio di manager, uffici stampa, assistenti? Dove sono i fiori, le scale? In questi giorni abbiamo visto il dietro le quinte, dove gli interruttori sono spenti e la vetrina è lontana
Bene. Partire per Sanremo ha un che di clandestino; da Milano il treno è lo stesso per Ventimiglia, luogo di frontiera e immigrazione verso la Francia: prima di salire ti chiedono i documenti, lo so perché una volta mi sono finto immigrato e ho oltrepassato il confine assieme a un pugno di disperati per un reportage su Donna Moderna. È giovedì pomeriggio, io e Cosimo capitiamo davanti a un marocchino con le unghie scure di chi maneggia con una certa frequenza i panetti di hashish. Scendiamo dal treno con la leggerezza di due che hanno deciso di sfanculare la scuola per andare al mare, è un bel momento. Il primo sussulto lo abbiamo in stazione quando ci viene incontro un cane poliziotto: nello zaino ho una innocua cannetta di erba, Cosimo lo sa e quando il pastore tedesco ci passa davanti mi guarda leggermente preoccupato. Il cane manco ci caga e Cosimo fa: o ne hai troppo poca o forse è addestrato per fiutare le bombe. La seconda direi. Dai binari all'uscita della stazione di Sanremo impieghi cinque minuti, dalla stazione al nostro appartamento ce ne vogliono quindici a piedi. In salita.
Sono le sette di sera, il clima è mite, la strada verso via Goethe 175 è secondaria, appena fuori dal caos del Festival. Niente traffico, niente van dai vetri oscurati, niente luci, niente gente, solo noi e il rumore dei nostri trolley. Parliamo di massimi sistemi e di quanto sia impossibile scopare una con un alito tremendo. L'appartamento è accanto a una vecchia bocciofila, il proprietario ci aspetta in cima a una scala, apre un cancelletto e ci descrive gli spazi, a partire da un ottimo cortile che non useremo mai. Poi, una volta in casa: il salone cucina con una branda piazzata in un angolo destinata a Giulia dello staff social di MOW, l'unico bagno, un altro salone con un divano letto a due piazze dove dormiranno Gianmarco e Peppe, rispettivamente responsabile della sezione attualità e videomaker, una camera con letto matrimoniale in cui ci piazziamo io e Cosimo. L'arredamento è da casa di villeggiatura: set di piatti e bicchieri a caso, mobili avanzati, qualche quadro giusto per riempire i muri, foto di famiglia, chissà quale, finite lì invece di essere buttate via per sempre. Mentre il proprietario fotografa i nostri documenti gli altri tornano dalla Villa dove abbiamo allestito una sala in cui il critico musicale Michele Monina intervista celebrity, cantanti e stronzi al seguito. Siamo in cinque in un appartamento da cinquanta metri quadri e io di questa banda di scappati di casa dovrei essere il capo quindi c'è sempre un po' di deferenza, anche se ormai hanno capito che sono un disperato come loro e più di loro. Non me lo dicono ma l'hanno capito, e questo pareggia un po' tutto.
A cena andiamo in piazza Bra, ma non a La Pignese, posto da cento carte a cranio in cui vanno i cantanti, ma al ristorante accanto, Controcorrente, che ha un ottimo rapporto qualità prezzo. C'è pure Serena, che qui a Sanremo in soli due anni è diventata la capa. Serena è passata da essere mia assistente a diventare responsabile eventi di tutta la casa editrice - nonché responsabile commerciale di MOW - in pochissimo tempo. È lei che ha messo in piedi tutta l'operazione per cui siamo qui, è grazie a lei che al Villaggio del Festival di Villa Ormond c’è un salotto stiloso e arabeggiante dedicato esclusivamente a noi per le interviste in diretta. Serena mi fa un po' paura: capelli rossi, smalto viola, tacchi alti, abbonamento in palestra, un piglio molto deciso. Con lei mi sento al sicuro. È come avere una bodyguard che è anche il tuo manager. Perfetto no? Be', devi starci attento. Devi portarle rispetto. Tutti lo stanno capendo. Il nostro tavolo al Controcorrente è all’esterno, così ogni tanto incrocio qualcuno che conosco, tra cui due personaggi che risulteranno essere decisivi per questo reportage. Il primo è Ale Cash. Uno che si fa chiamare così spiega già tante cose solo con il suo nome. Fa business producendo robe, eventi, pubblicità, feste e più in generale qualsiasi cosa possa portare a ricevere un generoso bonifico con la sua Madhouse. Ha i capelli brizzolati lunghi, la barba brizzolata lunga, fuma, è tarchiato, ha la voce rauca, un Fay Archive quattro ganci portato aderente, grossi anelli alle dita. A Milano è una icona. Manda affanculo tutti, è volgare, è dentro allo star system milanese ma lo odia, si muove come se fosse velocizzato x 1.5, parla a macchinetta e fai fatica a non ascoltarlo perché si esprime con metafore violente e geniali. Ale Cash è insopportabile. Ed è attraente proprio per questo motivo. Ci salutiamo, ci rincontreremo poco dopo alla festa di Rolling Stone dove dirà una cosa che ci ricorderemo a vita. Ecco perché è decisivo in questo racconto.
Il secondo personaggio decisivo me lo fa conoscere Umberto Labozzetta, un uomo di 55 anni molto elegante nel suo cappotto. Storico discografico, manager di Elisa e Jack Savoretti, oggi direttore di Casa Sanremo. Passa davanti al nostro tavolo. Si ferma. E mentre ci aggiorniamo sulle nostre rispettive vite, in piedi vicino a una lampada riscaldante, vede e chiama a noi una sua vecchia conoscenza che mi presenta così: "Guarda che questo è Charlie Rapino, uno che si è trombato Madonna". Ha un maglione a collo alto verde, una giacca, occhiali dalla montatura spessa. Dopo aver notato il mio stupore tira una boccata al sigaro e si produce in un ghigno velenoso: "Trombata no. Però ho prodotto i Take That". Strano modo di compensare, penso. Capisco che c'è del potenziale e quando anche gli altri, dopo aver pagato pure per me, mi raggiungono, facciamo in modo tale di tirargli fuori tutto. Serena torna a casa sua (lei lavora sul serio), Giulia ha i suoi sgami, quindi io, Cosimo e Gianmarco restiamo con Charlie e lo subissiamo di domande. Scopriamo che dal 1998 al 2003 è stato è stato un “consigliori” di tutte la majors, ma quando Gianmarco gli chiede dei Bluevertigo lui precisa: non la Sony Italia, la Sony tutta. Sai com'è... Racconta che in quegli anni la sua posizione gli dava diritto ad avere non una ma due assistenti. Ora, dice, un artista che streamma "non ne fa neanche sessantamila pezzi in soldi vecchi" e per i discografici è utile come "uno strappo di carta igienica se devi asciugare un lago di sangue". Ci racconta come si svolgeva la sua settimana: praticamente lavorava solo di giovedì, perché il lunedì si doveva ripigliare dal weekend londinesi, il martedì si presentava in ufficio alle 11, andava a pranzo con il manager degli Oasis e ci stava fino alle 4; "il mercoledì forse qualche ore di fila di lavoro riuscivo a metterle insieme", per poi arrivare al venerdì che ovviamente era già un altro weekend. Ha elargito una serie di slogan perfetti da stampare sulle t-shirt, tipo: "La scopata con una celebrity è sempre una pessima scopata. Celebrity fuck - Shit fuck!”. Vita vissuta. Insieme all'Enrico Cuccia della discografia, l’unico che abbiamo visto senza uno straccio di pass, ci incamminiamo alla festa di Rolling Stone, alla Canottieri Sanremo, e qui ci dà una dimostrazione del suo oscuro potere: mentre noi ci mettiamo in fila lui la salta ed entra senza problemi, così dopo qualche minuto decidiamo di fare lo stesso.
La scopata con una celebrity è sempre una pessima scopata. Celebrity fuck, shit fuck. Parola di Charlie Rapino
Saliamo su una terrazza vista mare e vista Costa Smeralda dove avvengono le esibizioni di alcuni ospiti. Al bar solo birra Raffo e vodka tonic con fiore di sambuco. Gli hipster milanesi occupano la scena. Perdiamo Charlie ma ritroviamo Ale Cash. A restare memorabile non sarà né il party (normalissimo), né il tentativo di intervistare Zoro da parte di Cosimo ("Ma dai, ‘so le tre di notte, non me rompe li cojoni"), quanto lo show di Ale Cash davanti a soli quattro spettatori, cioè noi, con un momento apicale su tutto il resto, ossia quando quest’uomo allunga il braccio, si rivolge a Cosimo e gli dice: "Accarezzami la mano". Cosimo tituba. Cash insiste: "Accarezzami la mano". E quando Cosimo con delicatezza gliela tocca, Ale Cash conclude: “Senti? Su queste mani non c'è un minuto di lavoro”. Folgorante. Una battuta eterna. Fin quando camperemo ce ne ricorderemo e ne rideremo. Salutiamo Cash e abbandonato il party andiamo al casinò. Che fai, sei a Sanremo e non vai al casinò? Non scherziamo.
Mamma mia che posto di merda il casinò. Guardie giurate a controllare i vari piani. Vecchi disperati. Vecchie disperate. Vecchi ricchi. Vecchie ricche. Parrucconi. Napoletani che hanno fatto i soldi con camicie improbabili e cinture dai loghi evidenti. Ragazze dai culi enormi, cosce grosse, caviglie pesanti, tette già appese in abiti stretti e scollati, volgarissime, che saltano da un poveraccio all'altro fino a quando non vedono il più famoso, in questo caso Tedua. Povero Tedua, nemmeno davanti a un tavolo da gioco è un stronzo come gli altri. Torniamo sempre lì, al fatto che se sei una celebrità gli altri ti bramano, le tipe ti vogliono e lui, Tedua ci gode, parla con tutte, paga da bere. A noi dei cantanti non ce ne frega niente e vaghiamo ancora, studiamo il casinò tra lo stupore e il disgusto come un bimbo che punzecchia un grosso lombrico con un bastoncino. Tra i tavoli incontro Giuseppe Longinotti, il parodista di Elly Schlein a Striscia la Notizia, un nuovo amico: un cadavere è più bianco di lui, ma di poco, penso, ha addirittura la cravatta e passa con grande inquietudine da una postazione all'altra. Quando gli proponiamo di fargli compagnia nelle sue giocate fa un sorriso amaro: “Preferisco di no, porta male". Che porti male ad Ale Cash fotte zero. È anche lui lì, alla roulette, andiamo a salutarlo ma in un attimo per lui e la sua compagna Miki diventiamo invisibili, vedono solo le fiches. Cosimo punta la sua unica fiche da 5, ricevuta in omaggio al guardaroba, nel settore del 25, a cavallo di 4 numeri. Pam. Esce 23. Io Peppe e Gianmarco puntiamo ma perdiamo. Siamo bravi ragazzi. Sono le 4 del mattino. Abbiamo bevuto, giocato, vinto 40 euro. Scendiamo a prendere le giacche e torniamo in appartamento. Io sono cresciuto in stanze umide e patisco il freddo, così siccome l'appartamento è già pagato per sentirmi meno perdente mi piazzo davanti al termostato e alzo la temperatura a 34° mentre il resto della truppa muove timide obiezioni. Sono pur sempre il capo, no?
Ogni mattina di MOW si apre con la riunione delle 9:15 e anche se siamo a Sanremo non facciamo eccezione. Oggi, a differenza degli altri giorni, il microclima è tropicale: i termosifoni sono inavvicinabili e boccheggiamo per casa scalzi e in mutande. La temperatura segna 34.9. Troppo anche per me. Si parla dei pezzi già usciti, di quelli da produrre in giornata, dei numeri del traffico e di come dare le risposte giuste all’algoritmo, la bestia, oltre a condividere le nostre idee. A volte qualcuno propone di aprire al pubblico queste riunioni perché sarebbe divertente. Altre volte pensiamo che arriverà presto una denuncia da qualche ex dipendente. Comunque sia questa mattina siamo particolarmente rincoglioniti. Ci muoviamo verso le 11, facciamo colazione e poi andiamo a Villa Ormond. È venerdì e anche stamattina piove di brutto. Proprio nei bagni della Villa, dove faccio una sosta prima di entrare dal retro, trovo un amico di vecchia data, un discografico molto ben informato, e qui succede il surreale: mi metto a pisciare accanto a lui, senza dirgli niente ma guardandogli l'uccello. Lui non può fare a meno che alzare lo sguardo e quando mi riconosce mi fa: "Sei sempre il solito coglione". Stimolato però da questa situazione un po' vanziniana e un po' da film di spionaggio mi dice: "Ti faccio una confessione: ci sono già trattative in corso tra Gerry Scotti Mediaset e la Rai per la conduzione del prossimo Sanremo". Prosegue, sgrullando, nell’elencare tre indizi che effettivamente fanno una prova. Tempo qualche ora e questa rivelazione uscirà su MOW per poi essere ripresa da tutti i principali media: ecco come nascono le notizie cari miei, altro che master e Scuola Holden e cazzate così. Frequentate i cessi.
Al primo piano della villa c'è il nostro salotto delle interviste. Monina è in stato catatonico, sono tre giorni che parla per diciotto ore di fila con cantanti e personaggi di cui si ricorda a malapena il nome. A lui non importa, tanto le domande di Monina parlano di Monina, quindi la verità è che da tre giorni parla solo di sé con chiunque gli capiti a tiro: ci credo che poi ti asciughi, è come essere in autoanalisi perenne, un disastro. Lo saluto, scambiamo due parole, ma appena arrivano Stefano Massini e Paolo Jannacci mi dileguo. Niente star. Niente cantanti. Questa è la regola che ci siamo dati per questo reportage. Preferisco posizionarmi su una sedia per massaggi gentilmente offerti da Diabasi, sponsor del Villaggio del Festival, che con la sua ciurma di massaggiatori elargisce a chi lo desidera trattamenti anti stress. In un minuto mi trovo circondato da tre professionisti che mi massaggiano cranio, faccia, collo, spalle, braccia e mani. Avete presente un pascià? Eccomi qua. Finito il trattamento i responsabili di Diabasi mi informano che è prevista anche l'opzione massaggio gratuito in appartamento. Cosimo e Peppe mi hanno lasciato qui per andare a produrre contenuti in centro. Serena e Giulia stanno seguendo le interviste. Gianmarco sta lavorando a casa. Faccio due calcoli e accetto: quando mi ricapita di ricevere un massaggiatore a casa gratis? Peccato che non arriverà mai: problemi di taxi che non si trovano, di prenotazioni accavallate, non lo so, ma va bene lo stesso perché con questa scusa sono tornato a casa e dalle 14 alle 17 ho dormito come un bambino.
Mi alzo solo quando sento tornare gli altri, scoprendo che anche Gianmarco - nel divano letto del salone - si è preso il pomeriggio per dormire e ha raggiunto uno stato di morte apparente. Chiaramente si sveglia, così ci ritroviamo tutti insieme (io in mutande e t-shirt) a fare un aperitivo dentro casa. Ora devo per forza aprire una lunga parentesi sui profili che compongono la redazione di MOW. Non c'è una persona sana di mente. Qua a Sanremo c'è solo una rappresentanza, che comunque fa particolarmente testo. In senso orario, alla mia sinistra è seduto Gianmarco Aimi. Aimi è il responsabile della sezione attualità, ha l'aria di un prete laico, rossiccio di capelli, sorrisetto da merdina, il mio amico Banhoff lo chiama The Jackal. In passato si è fatto vari trip di mescalina e gode a circondarsi di pazzi e pazze (i collaboratori di MOW) dedicando a ognuno il proprio minuto di attenzione come se fosse l'infermiere più premuroso del manicomio, finendo quindi per ritrovarsi con un harem di donne (particolarmente gratificate da questo suo atteggiamento) che a lui continuano a richiedere attenzioni che appena calano creano scompensi e lamentele varie. Poi c’è Peppe Caggiano, il videomaker. Peppe non dice mai di no (qualità fondamentale per MOW) ed è un nobile decaduto, tanto che il suo cognome dà il nome alla città in cui abita, Caggiano appunto, in provincia di Salerno. Così ha il borsone della Caggiano Calcio, l’accappatoio della Caggiano nuoto e roba del genere. In questa trasferta abbiamo scoperto anche le sue doti da autista, Peppe in questa cosa è davvero talentuoso, tanto che gli ho proposto di diventare il mio autista privato e lui mi ha risposto che vuole cinquemila euro al mese (compresi sempre i servigi di foto, video e magari cura dei social). Gli ho detto che appena riuscirò a farmi eleggere in Parlamento ne parleremo. Di Serena ho già parlato: ha il portamento e la decisione di un dittatore ma è un animalista e una vegana convinta. Lo so, ho appena descritto Hitler. Ma io preferisco dirle che è il mio Xanax, senza di lei sarei perso. Accanto a lei e davanti a me, dall'altra estremità del tavolo dove sono seduto, c'è Cosimo. Minchia, Cosimo. Una delle persone più rock 'n' roll che conosca. Un altro che non dice mai di no quando c'è da far scorrere la vita tra le cosce, uno con cui andrei in guerra e affronterei eserciti di cento persone correndogli incontro a petto e mani nude coi capelli legati urlando come condannati. Sì Cosimo lo amo. Io e lui abbiamo due fortune: di non essere cresciuti insieme e di non esserci conosciuti in una bettola del Medioevo, quando decidere di bere litri di pessimo vino o ammazzare una persona era questione di attimi. Io non lo tradirei mai e so che lui non tradirebbe mai me. Dietro di lui, su un altro tavolo c'è la Giulia romana (perché in redazione c’è anche un’altra Giulia): voce strascicata, pare sempre un po' scazzata, sta in bagno ore, ha una passione per il viola. Tra di noi birra, vino bianco, dolci e focacce di qualità discutibile. Cosimo e Peppe ci raccontano il loro pomeriggio con mamma Ornella e figlia Naike Rivelli sopra i trattori.
Peppe mostra a tutti il frame di Ornella Muti che ciuccia uno spicchio di arancia. Poi facciamo viaggiare le teste. È un momento di grande illuminazione, tanto che nell'ordine inanelliamo tre idee una più potente dell'altra. La prima è Cosimo a esporla, con disapprovazione e un po' di disgusto da parte di Serena: "Facciamo una campagna mediatica di MOW stile Ultima Generazione. Solo che invece di buttare la vernice sui quadri, noi andiamo nei musei a scopare nudi". In un ambiente normale chiunque bollerebbe la cosa con una risata. Noi no. Prendiamo carta e penna e cominciamo a segnarci eventuali rischi e passi da fare per realizzarla. "Capite? Ne parlerebbe tutto il mondo. Finiamo sul NYT come la Lucarelli. C'è da mettere in conto qualche denuncia per atti osceni in luogo pubblico ma forse ce la caviamo con delle multe, roba che puoi mettere a budget”. Ci appuntiamo di sentire gli avvocati e di chiamare Niccolò Fantini, il nostro ufficio stampa, che è anche (altra meraviglia di MOW) ufficio stampa di Rocco Siffredi nonché amico di tutte le migliori pornostar dell'italica penisola. La seconda idea è quella di creare MOW Music, una fissa di Serena, che pensa a un'agenzia per curare immagine e booking degli artisti. La terza e ultima invece è quella di organizzare feste estreme per addii al celibato e nubilato. Un media non l’ha mai fatto. E sapete cosa? Realizzeremo tutte queste idee. Non chiedetemi come faccio a esserne così certo ma lo sono. Mentre elaboriamo tutto questo ci rendiamo conto che è tardi, bisogna prenotare un posto per cena. Roba non semplice di venerdì sera a Sanremo durante il Festival se siamo in 7 persone. I vari ristoranti che sentiamo ci dicono che non hanno posto, quindi a un certo punto optiamo per le maniere forti: Cosimo richiama un locale a caso e finge di essere dello staff di Gianna Nannini, che si sarebbe esibita in uno dei duetti a inizio serata, e... magia: alle 22 un tavolo per 7 salta fuori, nonostante Gianna sia “vegana, ma al limite si accontenta di qualche contorno”. Decidiamo però di non andarci perché nel frattempo troviamo un posto da Brasa Mi, a pochi metri dalla bolgia del centro. Arriviamo al tavolo alle 22. Ceniamo cantando mentre guardiamo Sanremo, c’è un bel clima. A mezzanotte abbiamo finito ma dobbiamo aspettare le due perché siamo accreditati alla festa di Coca-Cola, che Cosimo chiama semplicemente la festa della coca. Alé. Per ingannare l'attesa ordiniamo 3 volte il tiramisù (buonissimo), un tortino di cioccolato e a ogni giro di dolci uno di amari e di liquore alla liquirizia. A un certo punto ogni genere di domanda la espongo ai camerieri con una supercazzola: “Avete sbarracudi come rose in fiala per caso?”. Una cameriera con gli occhiali e l postura da concorrente di Masterchef risponde con “Chiedo subito signore”. E poi: “Una paramedica salambita e una naturale grande fredda”. Andiamo avanti così per una mezz’ora, Cosimo ha le lacrime. Peppe è incredulo. Molliamo il colpo attorno all’una. Le donne ci abbandonano e tornano a casa. Gianmarco invece decide di fuggire fingendo di ricevere una telefonata: sa che non l'avremmo mai lasciato andare a dormire e si dilegua in un modo infame. Io Cosimo e Peppe ci ripariamo dalla pioggia entrando in una gintoneria, passiamo un bel momento parlando di metafisica, dei padri che abbiamo e dei padri che siamo diventati. Di quello che ci muove in questo sistema in cui se vuoi ottenere qualcosa devi andare a ravanare nella merda.
A questo punto finiamo per decidere di accendere una canna al chiuso. Prima di farlo chiedo ai ragazzi se qualcuno ci verrà a rompere il cazzo, Cosimo serissimo risponde: no. Ok. Al primo tiro arriva il buttafuori: ma che cazzo fai? Provo a sostenere che sto fumando maria senza THC ma con CBD. Il buttafuori è intransigente: "Ascolta, io non ci capisco un cazzo con queste sigle. So solo che arriva l'odore fino alla strada". Usciamo. Per raggiungere la festa della coca la strada è bloccata, bisogna passare davanti al teatro Ariston. Gli steward fanno passare poche persone alla volta perché è finito il Festival e stanno uscendo i cantanti. Qui arriva il genio: prima in gintoneria guardando la tv avevo sentito i fischi a Geolier per la sua vittoria immeritata ai duetti. Allora dico ai ragazzi di venirmi dietro senza fare domande. Supero tutta la fila, supero il blocco, uno steward prova a fermarmi, io lo guardo deciso e gli dico con tono allarmato: senti, siamo dello staff di Geolier, è successo un casino, dobbiamo andare a prenderlo. "No, non pote…”. Insisto: “Non hai capito, è successo un casino…" e passo. I ragazzi dietro di me. L'importante non è essere veri. Ma verosimili.
La festa della coca è al terzo piano di casa Sanremo. Agli accrediti mi sento chiamare: è Annalia Venezia, giornalista che conosco da 20 anni ma che vedo solo durante il Festival ormai. Adesso scrive per Domani e qui lavora sul serio: fa interviste, sta in sala stampa. Infatti è palese che sia distrutta e affranta dalla vita dell'inviato. Io quando vedo Annalia non riesco a non pensare allo scaldotto. Molto tempo fa eravamo insieme nel salotto di un nostro amico comune a cui entrambi vogliamo molto bene. Avevamo già messo i cappotti per andare via ed erano più o meno le due di notte quando lei se ne uscì con questa domanda: ma voi avete mai fatto lo scaldotto? Eravamo ignari di cosa fosse e lei lo spiegò così: "Quando ti metti in bocca l'acqua calda della borsa termica che usi per riscaldare la pancia e poi fai un pompino". A quel punto, mi ricordo, tutti ci togliemmo di nuovo le giacche, ci rimettemmo a sedere chiedendole di introdurci meglio alla pratica dello scaldotto. La abbraccio, parliamo della rispettiva presenza sui social, lei mi confessa che non ce la fa più a gestire l'ansia di postare in continuazione e di essere sempre presente. Fottitene, le dico. Non farlo se non hai voglia. Si lamenta che equivarrebbe a perdere visibilità e lavoro. Ma che cazzo dici, Annalia. La gente ti chiama per quello che sai fare e non per quello che metti in scena. Per quello che sai fare, ricordati. Mi ringrazia, ma ritirato l'accredito finito l'amore. La rivedrò il prossimo anno a Sanremo. La festa non è affatto male. Suona Valentina Pegorer, la compagna di Boss Doms, il compagno di Achille Lauro. Mentre Cosimo e Peppe ballano e bevono, bevono e ballano cerco e trovo Corinna, manager del brand che mi ha fornito gli accrediti e che (anche lei) conosco da diversi anni. Abbiamo pure avuto una storia insieme. All'epoca non ero ancora pronto a mettere in discussione così tanto la mia vita, però siamo rimasti in ottimi rapporti e, ci tengo a dirlo, solo per merito suo. Corinna è una persona splendida, incapace di odiare, con un sorriso che illumina la sua anima, quindi vero, profondo. Corinna ha un'energia estremamente positiva e quando glielo dico, perché glielo dico ogni volta che la vedo, non fa altro che scuotere la testa piena di riccioli e darmi del paraculo. Un'altra sua caratteristica è la serietà e l'attaccamento al lavoro. Infatti dopo essere stata con me, drink in mano e sorriso in faccia, mi liquida dicendomi che va a ballare con i suoi colleghi. Cosimo si mette a giocare a calcio balilla con sconosciuti, sfruttando il biliardino accanto al bancone del bar. Poi torniamo a ballare qualche minuto finché ci guardiamo e decretiamo: fuori dai coglioni. Recuperiamo Peppe e torniamo al Casinò: di venerdì sera c'è molta più gente ed è tutto molto più triste rispetto alla sera prima. Queste persone sanno di sconfitta, di sigarette fumate cagando in un cesso anni Sessanta. Vedi vecchi con la pancia, che sanno di benessere sbagliato, che puntano annoiati 1.500 pali alla volta; signore incartapecorite coi guanti di pizzo neri, Herbert Ballerina che cammina con il suo sorrisino perfido e comico e si dilegua subito, un rapper che io non conoscevo, Nello Taver, bianco cenciato, sudato, che fuma la sigaretta elettronica nervosamente mentre spende al Blackjack. E poi le stesse smandrappone della sera precedente che si sono letteralmente invertite gli abiti con lo stesso risultato: dentro i loro tubini che circondano cosce dal diametro di un fusto di pino, dentro un paio di stivali impelliciati e con addosso labbra sintetiche e tatuaggi volgari sono niente meno che inguardabili. Cosa porta la gente qui dentro? Uno potrebbe rispondere il brivido del gioco, l'adrenalina, tutte cose che potrei capire se però i brividi e l'adrenalina fossero reali. Qui di vero c'è solo la noia, c'è la miseria d’anima. Forse del masochismo. Ma se cerchi il brivido vai in pista a girare a 300 all’ora oppure giocati la casa, la famiglia, il culo. Non 50 euro in un posto di merda. Io Cosimo e Peppe avvertiamo tutto questo e usciamo. Vedere quelle donne succinte e desiderose solo di denaro in cambio di finte attenzioni, però, ci ha fatto venire voglia di un luogo dove questo scambio è dichiarato: il night club.
Di questa banda di scappati di casa dovrei essere il capo, anche se ormai hanno capito che sono un disperato come loro e più di loro
Peppe che ormai è l’autista designato ne cerca uno in zona. Google gli dice che ce n'è uno a otto minuti di auto ma che chiuderà tra venti minuti, alle 4 del mattino: ormai ci siamo. Qualche minuto tra lapdancer sfatte non ha mai fatto male a nessuno e decidiamo di andarci lo stesso. Il problema è che il nightclub non esiste. Seguendo le indicazioni di Maps e dei cartelli per strada ci ritroviamo in una strada stretta in aperta campagna, completamente buia e senza niente attorno. Quelle poche ville che incrociamo o sono dei cantieri o sono chiuse. Meglio così. Dov'è lo scintillio di Sanremo, dove sono le luci, i tappeti rossi, i flash dei fotografi, l'incessante chiacchiericcio di manager, uffici stampa, assistenti? Dove sono gli abiti di Versace e Valentino, i fiori, le scale? In questi giorni abbiamo visto il dietro le quinte, abbiamo viaggiato dove gli interruttori sono spenti e la vetrina è lontana. È stato bello. Ora non resta che andare a cercare un panificio. Ne chiamo un paio, nessuno risponde. Passiamo davanti a un bar, unico posto con un po' di gente. Al bancone ordiniamo brioche e cannoli, acqua da portare in appartamento: la colazione che faremo tra qualche ora. Alla cassa parlo con due signore che hanno preso dei cornetti. Stupidamente mi convinco che anche loro siano nella mia stessa condizione e domando: "Le mangerete prima di andare a letto o domani quando vi svegliate?". Una delle due risponde: "Veramente stiamo andando a lavoro".
Non c'è fastidio nella sua voce, anzi. Sono io che mi sento un coglione. Come ho fatto a non pensare a questa eventualità, a non aver considerato che a Sanremo esiste una situazione di normalità, fatta di gente normale con un lavoro normale e una vita normale? Il Festival di Sanremo non è la verità. So anche, però, che questo mondo normale non mi interessa così tanto: io cerco i picchi, la vita velocizzata nel frullatore, il surreale, gli estremi. Io cerco quelle emozioni che poi, quando saremo al tavolino di un bar su un'isola, abbronzati, col sole a trapanarci la fronte, gli occhiali da sole e una t-shirt con scritto Celebrity fuck - Shit fuck, ci renderanno il panorama di mare e spiaggia ancora più contrastato, e il cuore più dolce e il sorriso più bello. Questo cerco. E questo sono sicuro che cerca anche Cosimo, che quando rientro in auto sta dormendo nei sedili posteriori.
Torno a Milano da solo. Qualche ora dopo, in treno, comincio a scrivere questo reportage. Cosimo lascia Sanremo solo la domenica. Passa da casa mia a consegnare l'auto di MOW. Gli offro un caffè e poi lo accompagno in stazione. In macchina gli faccio leggere la bozza. Lui sussurra la prima frase: "La devozione alla celebrità è la deformazione più mediocre della religione...". "Cazzo, è proprio vero" commenta mentre ci fermiamo davanti alle scale mobili della Centrale di Milano. "Questa divinità della celebrità che assistiamo a Sanremo ma in mille altri posti, anche sui social per esempio, è proprio degradante. Ed è tutta una roba americana, roba di un popolo senza storia e senza epica che ha dovuto farsene una tutta sua. è per questo che hanno inventato i supereroi". Eh sì. E se non c'è più un Dio, il tuo Dio può pure essere un rapper o un attore. Perché abbiamo bisogno di idoli. È umano, fin troppo umano. Faccio presente a Cosimo che Nietzsche intende proprio questo quando parla di superuomo, cioè un uomo che non ha bisogno degli dei. Se lo sostituiamo con un cantante siamo più piccoli ancora. Più mediocri ancora. E la domanda che dovremmo farci tutti quanti è: davvero vogliamo che sia così?