Ai concerti di Nino D’Angelo non manco mai. Non potrei. Ma vederlo a Napoli, nella sua città, in piazza del Plebiscito, è un’altra cosa. È diverso da Roma, diverso da Milano, diverso da qualsiasi altro palco. Qui tutto è più vero, più potente, più emotivo. Qui Nino è a casa. E il pubblico, che ha riempito ogni angolo della piazza, lo ha incoronato Re con un amore che non si spiega, si sente. Lo show, che fa parte dello spettacolo di “I miei meravigliosi anni ’80”, è stato un viaggio di memoria e sentimento, uno di quelli da cui torni a casa senza voce e con gli occhi ancora bagnati. Perché con Nino si canta, si balla, ma si piange anche. Su “Vedrai” il pianto è assicurato. Io ho pianto. Sempre. Lo faccio ogni volta. Sono cresciuta con mia madre sua fan sin dalla prima ora. Le sue cassette, la sua voce che cantava in cucina. “Maledetto treno” è la prima canzone in assoluto che ho imparato, ed è ancora quella che mi riporta a quando ero bambina, quando eravamo noi due, io che stonavo felice e lei che mi stringeva. Quando questa canzone ha risuonato in piazza ho rivisto tutti questi ricordi come se fossero accaduti ieri. È questo che fa Nino. Tocca la profondità del cuore. C’erano tre generazioni sotto lo stesso cielo. Nonni, figli, nipoti. Tutti con le sue canzoni sulle labbra. Tutti con la pelle d’oca. Perché le canzoni di Nino raccontano le storie piccole, quelle vere, quelle che trovi nei vicoli. Quelle che non invecchiano mai.

Come sempre ha aperto con “Batticuore” ed è stato un boato. Poi “Fotoromanzo”, “Popcorn e patatine”, “Notte in bianco”, “’Na muntagna ’e poesi”, “Chiara”, “Se ce staje tu”, “Jammo jà”. Un karaoke enorme, gigante. Un crescendo di emozioni canzone dopo canzone. I ballerini vestiti come nei suoi film cult, l’alter ego con il caschetto biondo sullo schermo, e la gente che si alzava in piedi e cantava tutto, senza smettere mai. E noi di MOW con loro. Napoli, la sua voce e quella di Nino fuse in un’unica cosa. “Il ragazzo della Curva B” ha fatto anche un appello per la pace a Gaza, e c’era tutta la sua verità: “Non c’è pozzo di petrolio che vale una vita. E creature non si uccidono, sono il nostro futuro”. Una presa di posizione netta, umana, pacifista. Da uno che ha sempre avuto un solo schieramento: il popolo. Nino è rimasto quello che era. Uno di noi. Uno che ha conosciuto i pregiudizi, ma non si è mai staccato dalla sua gente. La stessa che ancora una volta lo ha riempito di applausi e lacrime. Lo stesso popolo che gli ha regalato una vita “più facile e bellissima”, come ci tiene a ripetere lui ogni volta, e che Nino ha onorato con canzoni che non hanno tempo. È finita con “Napoli”, ormai diventata l’inno ufficiale della squadra azzurra. E a quel punto, la piazza ha tremato davvero. Cantavamo tutti, a squarciagola, con l’orgoglio e la gratitudine di chi sa di essere parte di qualcosa. Di qualcuno. Perché Nino D’Angelo non è solo un artista. È memoria, è famiglia, è radice. È casa.
