“Il cantautore è un ricercatore di cose non utili. Nel senso che tutto adesso è teso all’utile. Di potenza personale, del denaro, per cui noi brancoliamo nell’inutile. Ma chi dice cosa possa essere veramente utile? Io per esempio trovo utilissimo vedere i bambini correre nei prati. Non portano denaro, ma portano gioia”. Queste le ultime parole che ci ha regalato, con la sua solita leggerezza e poesia Paolo Benvegnù, per dirla con parole sue già negli Scisma e nella band che portava il suo nome e cognome per titolo, i Paolo Benvegnù, tragicamente scomparso poche ore dopo che la frase posta in esergo di questo pezzo è stata pronunciata dentro le nostre televisioni, al cospetto di Stefano Bollani e Valentina Cenni a Via Dei Matti Numero Zero. Parole che dicono più di una verità. O che più di una verità dovrebbero dirci. Meglio ancora, che più di una verità dovrebbero spingere a fare nostra, aderendo, magari anche in assenza d’arte a quella modalità, quell’attitudine: lasciar da parte il potere personale e il denaro per concentrarci sulla gioia, spesso veicolata da cose che sommariamente archivieremmo come non utili. Scrivo questo per introdurre un viaggio, fatto in quello che è un luogo straordinario, nel senso letterale di fuori dall’ordinario, che si trova in realtà a pochi passi dal luogo che mi ha dato i natali, rispettivamente Santarcangelo di Romagna, in provincia di Rimini, e Ancona, lì nelle vicine Marche. È infatti a Santarcangelo di Romagna, per la precisione in quella parte di quel paese adiacente al fiume Marecchia, che si trova Mutonia, e per spiegare di che si tratta mi occorrerà spendere più di qualche parola. Sorta di comune di artisti e anarchici, Mutonia è una realtà nata all’inizio del 1990, per mano dei Mutoid Waste Company, vera e propria compagnia di cyberpunk, scultori, performer e saltimbanchi provenienti dalla Gran Bretagna come dal resto d’Europa. Il motivo del loro arrivo a Santarcangelo di Romagna è la partecipazione al rinomato Festival di arti contemporanee, parliamo appunto di trentaquattro anni fa. Essendo i Mutoid, li chiamo così per semplicità, artisti che erano soliti spostarsi con grandi mezzi di trasporto, camion pimpati come fossero oggetti di scena di Mad Max o di un qualsiasi film distopico di quel genere, volendo anche per qualche reel che ci arriva dritto dritto in settembre dal Burning Man Festival, necessari sia per gli show pirotecnici e cyber, sia per trasformare le opere costruite dai Mutoid stessi utilizzando pezzi di scarto di qualsiasi tipo, dalle auto alle moto, passando per attrezzi vari e anche oggetti di uso quotidiano, dagli scolapasta alle taniche di benzina, il Comune di Santarcangelo decise di farli accomodare in una radura nei pressi del fiume, abbastanza isolata da non creare problemi alla cittadinanza, ma al tempo stesso sufficientemente ampia e comoda per permettere a quella piccola comunità di stanziarci per qualche settimana. Qualche settimana che si è poi trasformata in mese e infine in anni, decenni, fino a oggi, 2025. Mutonia, questo il nome che i Mutoid hanno appioppato a questa area, è quindi diventata oltre che casa loro, lì hanno fissato le proprie roulotte, i propri camion, i propri bungalow, è quindi divenuta anche un luogo di aggregazione per artisti, come per scolaresche che lì vengono per apprendere l’arte di assemblare e creare dal riutilizzo di pezzi di scarto, e soprattutto un gigantesco museo a cielo aperto dove le opere realizzate nel corso di questi tanti anni sono visibili gratuitamente a chiunque voglia. Da futuristici animali robot, a giganteschi insetti, passando per cyberangeli, sidecar scalcinati e costruzioni più o meno apocalittiche, camminando per il terreno di Mutonia non si può che rimanere a bocca aperta, per la grande fantasia che chi qui lavora o ha lavorato e vive o ha vissuto ha saputo infondere a pezzi che la nostra società troppo velocemente aveva bollato come spazzatura.
Una forma d’arte ideologica, quella dei Mutoid, indubbiamente ambientalista, pur nel suo apparire assai meccanica e cyberpunk, l’idea che una cosa se non più utilizzabile per lo scopo con cui è stata creata possa comunque diventare altro è quanto di più vicino a ciò che tutti dovremmo trovarci a pensare e vivere, vista la china che il nostro pianeta ha intrapreso, per altro per nostra stessa mano. Ce lo spiegherà bene Nikki, una signora scozzese la cui specialità, oltre costruire bellissime opere con pezzi vari, sono i giochi col fuoco. A introdurci a lei, per altro, una giovane ragazza canadese qui per qualche settimana di apprendistato, una specie di master in mutoidismo. Nikki, una splendida pettinatura punk su una tuta da lavoro che ha visto giorni migliori, è carica di entusiasmo, e saltellando come un elfo ci racconta di quando quarant’anni fa, dice sbagliando in eccesso, è arrivata qui col primo collettivo di mutoidi. Ci dice come questa sia una comune con precise regole, dove tutti sono qui per fare qualcosa, anche se qualcuno fa meno di altri, e dove tutti sono ben accetti, come visitatori, ma se si vuole stare per un po’ di tempo tocca prima sottoporre un progetto da sviluppare e solo in un secondo momento si viene accolti, temporaneamente. Ci racconta anche di come negli anni con i locali, loro ormai si considerano ovviamente tali, si è creata una sorta di simbiosi, al punto che la bellissima gallina (o gallo, non ho ben capito) che si trova in una rotatoria all’ingresso del paese se si arriva dall’autostrada è opera sua, lì perché richiesta dalle istituzioni, con le quali tutti vanno d’amore e d’accordo. Al punto che, una decina di anni fa, quando un vicino ha chiesto e ottenuto di riavere accesso a un proprio terreno, in realtà sfitto da anni, il Comune si è schierato dalla parte di Mutonia, in una battaglia legale che ha visto anche l’adesione a distanza di oltre duecentocinquantamila firmatari di una petizione, firmatari di tutto il mondo. È stato in quel momento, ci ha detto Nikki, che chi vive lì ha capito, forse, l’importanza che Mutonia ha nel mondo. Perché per chi vive qui Mutonia è sì un posto magico, dove avvengono cose belle, anche incontri belli, come il nostro, ma in fondo è più che altro casa, mentre per chi qui arriva, come noi, di passaggio, è un posto magico e basta, una sorta di anomalia paesaggistica, certo, con tutte quelle sculture e quelle opere, il fiume Marecchia a fare da sfondo, ma soprattutto una sorta di bolla fantastica dove sembrano vigere regole di rispetto reciproco e per l’ambiente che altrove ormai da tempo non hanno più asilo. Con due strutture industriali completamente arrugginite al centro, inglobate da opere d’arte varie, una sorta di angelo mutante sul colle che porta verso la radura sovrastante il Marecchia, e un gigantesco teschio di bufalo cyber a sancire il confine opposto all’ingresso, Mutonia è davvero un luogo fuori dal comune, probabilmente anche fuori dal tempo, indubbiamente fuori dalla ristretta prospettiva ottica che siamo soliti associare alla nostra provincia. Qualcosa che sarebbe potuto finire in un romanzo di William Gibson, probabilmente, e che infatti ha contribuito all’esplosione a livello di immaginario del Burning Man Festival, lì nel Black Rock Deserte del Nevada, stessi scenari da Mad Max, stessa fantasia iperaccellerata.
Tutte opere incredibili, come incredibili sono le abitazioni ambulanti ma in realtà stanziali degli abitanti, tutte colorate e piene di dettagli futuribili. Io, per ragioni che chi ha seguito il mio diario africano della scorsa estate ben capirà, ho molto amato Dizzy, un rinoceronte meccanico, con dietro due ruote da camion e come zampe davanti due giganteschi pezzi di metallo, in realtà chiuso in un box in assenza del suo padrone (se andate in giro su Google vi potrebbe anche capitare di vederlo camminare in uno dei rari video girati in zona). A pochi passi si trova poi il resto di Santarcangelo di Romagna, con la sua rocca malatestiana, il suo centro cittadino pieno di locali e negozi, la piazza con l’arco che durante le vacanze natalizie ospita una giostra per bambini. Un paese di provincia, con la parte alta che sembra uno dei tanti borghi che fanno bella l’Italia, direbbe forse la Meloni, ma che per la presenza di Mutonia a pochi passi sembra davvero più interessante, per quella forma di interesse che, almeno in chi scrive, staziona sempre laddove esistano appunto diversità che si incontrano. Mia moglie mi accusa spesso di non essere capace di buttare via le cose, non certo indicandomi come uno di quegli accumulatori seriali che poi finiscono dentro certe serie tv, quelle dedicate ai vigili del fuoco o ai paramedici, per intendersi, quanto piuttosto uno che fatica proprio a liberarsi di qualcosa solo perché si è rotto. Vero, e infatti mi capita spesso di usare cose che avevo tenuto da parte quando poi si tratta di fare uno dei tanti lavori di manutenzione che in una casa abitata da sei persone, tanti siamo, capita spesso di fare. Niente a che fare con i Mutoids, intendiamoci, non sono un artista o almeno non è questa la mia arte, ma sicuramente la prossima volta saprò cosa rispondere a queste accuse. Il futuro, quello che finirà in dote ai nostri figli, se non è già loro come in fondo credo, dovrà guardare a Mutonia con molta attenzione, non per la faccenda dell’essere tutti artisti, ognuno ha il suo talento, almeno tra quelli che talenti hanno, e non necessariamente deve essere questo, quanto piuttosto per la questione del riciclo, del riutilizzo, e anche della filosofia di ridare vita a qualcosa che era stato concepito con uno scopo, ma che strada facendo può sempre trovare nuove forme e nuovi modi. Se avete bisogno di didascalie o disegnini per capirlo potete leggere il libro di Rote Zora, uscito per Agenzia X: Mutate or die, che parla di tutta l’esperienza della Mutoid Waste Company, basta mettere sul navigatore Mutonia, salire in auto e andare dalle parti di Santarcangelo di Romagna, se vedete una tizia coi capelli da punk che saltella brandendo un saldatore o qualche strano congegno potrebbe essere Nikki, ci metterete un attimo a farla parlare, molto di più a farla smettere. Lagallina che vi accoglierà usciti dall’autostrada, lungo una via intitolata a Solarolo, la città natale dell’urlatrice italiana, è opera sua. Una tipica gallina romagnola, solo fatta con pezzi di auto e di macchinari in disuso. Come dicevano un tempo i computer, quando il cyberpunk era ancora un genere letterario contemporaneo e il futuro ben più dell’ipotesi cantata da Enrico Ruggeri, “benvenuti in questo ambiente”, e per una volta, statene certi, non è solo una frase fatta. Perché, sempre per dirla con le parole di È solo un sogno cantate da Paolo Benvegnù nel programma di Bollani e Cenni - ho l’impressione e forse anche la speranza che torneremo spesso a parlare di Benvegnù nei prossimi giorni - “tutto splende, ma noi non lo vediamo perché siamo velocissimi”. Ecco, a volte quando vediamo qualcosa di bello sarebbe bene farci caso, e raccontarlo agli altri perché possano goderne.