C’è un posto che ho sognato a lungo prima ancora di sapere dove si trovasse. Un luogo visto decine di volte, sempre e solo attraverso uno schermo, ma che sentivo di conoscere quasi come casa. E non era un sogno qualunque: era il mio sogno di bambina. E come tutti i sogni dell’infanzia, ci ho messo un po’ per realizzarlo. Finchè un giorno sono salita su un treno diretto a Torino, ma la destinazione vera era un’altra: Agliè. Dove si trova un castello ducale, che nella mia testa ho immaginato tante, tantissime volte, ma che non ho mai chiamato così, ma solo e soltanto Rivombrosa. Perché se sei cresciuta innamorata del Conte Fabrizio Ristori, il Castello di Agliè non è solo un luogo storico: è un’emozione sospesa nel tempo, che mi ha regalato un impatto emotivo fortissimo alla sola vista della facciata. Perché vederlo con i propri occhi è diverso, è tutta un'altra cosa, è come trovarsi davanti a un ricordo che improvvisamente prende forma. Imponente, elegante, solenne. Le stesse finestre, le stesse scalinate, la stessa pietra. Le stesse emozioni.

Salire i gradini dell’ingresso principale, quelli che nella fiction fanno da sfondo a così tante scene, è come entrare in una fotografia che conosci a memoria. E a un certo punto quasi ti aspetti davvero di vederlo, lui, il Conte Fabrizio Ristori, salire di corsa, voltarsi, e urlare: “Io amo Elisa!” Quella scena non se n’è mai andata. Ed era lì, davanti a me. In un posto che mai avevo mai visto, ma che al tempo stesso ti regala la sensazione di esserci stata infinite volte. Il Castello ducale di Agliè, in provincia di Torino, è un gioiello barocco risalente al Seicento, appartenuto ai Savoia e oggi patrimonio del FAI. Si entra dal piano di rappresentanza, tra saloni dai soffitti alti che sembrano sussurrare intrighi, fughe notturne e lettere rubate. I salotti pieni di segreti e di fiori freschi. Ogni stanza è un déjà-vu. Un continuo pensare "qui è successo questo", e gli occhi tornano a guardare con l'aria sognante di un'età che ormai è scivolata via. La magia sta tutta qui.

Nel percorso di visita ci sono anche le cucine storiche. Tre, bellissime, enormi e affascinanti nella loro austerità. Sembra quasi di sentire Martino che urla “Elisaaaa!” da qualche angolo buio. Ma stavolta nessuno risponde, nessun bambino che corre perchè non vuole farsi tagliare i capelli. È solo fantasia mista a suggestione, e vale anche di più. I giardini, invece, sono l’unico dettaglio che stona. Non sono proprio mal tenuti, ma nemmeno così curati. Mancano le rose rampicanti e le siepi scolpite. Insomma, il romanticismo da sceneggiato. Ma forse è giusto così: i luoghi restano, le storie passano. Ed è proprio camminando nei giardini che mi rendo conto di non essere andata fin lì “solo” per Elisa. O per Fabrizio. Ma per quella parte di me che ci credeva e ci crede ancora. Che vedendo una fiction in costume si emozionava fin dentro alle ossa. Ecco, ho voluto fare un regalo proprio a lei. Alla me bambina. Quella che imparava a memoria tutte le battute e sognava che l’amore, quello vero, fosse fatto di sguardi intensi e lettere scritte a mano. Quella che non aveva mai visto il castello, ma lo conosceva meglio della propria casa.

Ho ripensato a tutte le volte in cui davanti alla tv, mi dicevo: “Un giorno ci andrai anche tu”. Ed ora che ci sono andata davvero, so che non era solo un “sogno stupido” legato a una fiction vista per la prima volta più di vent'anni fa, ma qualcosa di più profondo. Era la voglia di credere che certi luoghi e certe emozioni non svaniscono mai davvero. Che possiamo tornarci, anche da adulti. E soprattutto: che fare un regalo alla propria parte bambina è un atto d’amore che non delude mai. Alla fine, il Castello di Agliè è sempre stato lì. Era solo la me adulta che doveva decidere di andarci. E quando sono scesa da quelle scale, le stesse dove Fabrizio aveva urlato tutto il suo amore, l’ho fatto con un nodo in gola. Ma anche con la consapevolezza dolce e malinconica di chi sa che quello che ci fa battere il cuore da piccoli, se lo trattiamo con cura, può accompagnarci per sempre.

