Se vi è capitato di vedere uno dei reel che Ninja e Yo-Landi hanno condiviso sui social per pubblicizzare i concerti di Legnano e Ferrara potete pure saltare qualche capoverso: sapete già tutto quel che c’è da sapere. Altrimenti sappiate che, per promuovere queste date italiane, i due componenti storici della crew sudafricana hanno pensato che la cosa migliore da fare fosse dare una visione macchiettistica dell’Italia come non accadeva neppure in Ciao 2020, il programma parodia (poi vai a capire se parodia dell’Italia anni Ottanta o della Russia di questi tempi). In uno dei reel c’è Ninja, la faccia da schiaffi e al tempo stesso da criminale, l’apparecchio da gangaster per i denti, gli occhiali da sole a coprire occhi e occhiaie, immerso in un lago. Yo-Landi se ne sta in un pontile, lì a due passi, coperta da un poncho con cappuccio, fucsia, che ripropone un qualche cartone giapponese. I due si lasciano andare ad una serie di esclamazioni inneggianti alla Pizza, alla Lamborghini, a Gucci, con tanto di gesto con le dita raccolte tutte insieme, rivolte verso l’alto, come a dire “ma che vuoi” (gesto che all’estero è un po’ un modo per dire, “sono italiano e gesticolo sempre”). Una cosa che, non fosse fatta da questi due pazzi, dovrebbe forse addirittura offenderci – se non farci arrabbiare - se fossimo tra quanti cullano un qualche senso patrio, ma che invece risulta surreale, dadaista, abbastanza da prendere la macchina, partire domenica 20 giugno da Ancona, quasi cinquecento chilometri più a sud di Legnano, e recarsi al Rugby Sound Festival, nella serata “rave” che ha per protagonisti sia i Die Antwoord che Cosmo. Il tutto dopo essersi sparati ieri settecentocinquanta chilometri, buona parte in coda, l’ho raccontato qui, sempre io e Tommaso, da poco compiuti diciannove anni e appena lasciatosi alle spalle l’esame di maturità. Una sorta di viaggio iniziatico, questo, metaforicamente parlando, dove io incarno il “genitore in blue jeans”, quello dell’omonima serie Tv con un giovanissimo Michael J Fox, proprio recentemente tornato sul palco dei Coldplay, a Glastonsbury, e Tommaso, mio figlio, incarna appunto il giovane assennato, l’aver già superato da mesi il test per entrare a Economia e Gestione Aziendale, in una università prestigiosa a tenerlo in salvo dall’ipotesi di finire un giorno a lavorare con me. Di fatto ci siamo sparati quasi milletrecento chilometri in trentasei ore, per un totale di oltre sedici ore passate in auto, quindi sì, siamo psicologicamente e fisicamente pronti per prendere parte a questa festa da Travellers, un lieve strato di fango che ricopre qualche piccolo sprazzo del luogo preposto alla festa a rendere il tutto molto più woodstockiano o comunque underground i quanto il 30 giugno avrebbe dovuto lasciar ipotizzare. Considerando che questa nostra tre giorni, davvero iniziatica, si concluderà domani sera, sempre noi due, a San Siro, per vedere la seconda di tre date di Max Pezzali, sì: i Die Antwoord daranno il testimone a Max Pezzali. Avete capito bene, e non avrete difficoltà a capire perché, parlando di questa data del Rugby Sound Festival di Legnano - che vede la crew sudafricana in lineup con Cosmo - io continui a parlare solo di loro e non del cantautore biellese. Del resto non ho la minima intenzione di fare le due di notte, sono un genitore in blue jeans, letteralmente e letterariamente, ma ho anche cinquantacinque anni. Ho già visto i Die Antwoord anni fa, dieci per la precisione, era il 23 giugno 2014. Era all’ippodromo di Milano, e io ero in compagnia, in quell’occasione, del mio caro amico e collega Gianni Biondillo, unici vestiti in borghese, cioè senza cappelli buffi, dilatatori dei lobi delle orecchie, canotte color fluo che lasciano intravedere tatuaggi tribali, lenti a contatto che rendono tutta la parte morbida dell’occhio nera, o simile a quella di un serpente. Il concerto, ai tempi, era stato clamoroso, bellissimo, ma la serata era finita male, per me, perché uscito da lì sono dovuto andare al pronto soccorso dell’ospedale pediatrico De Marchi per raggiungere mia moglie con una delle nostre figlie, per questioni piuttosto serie, poi fortunatamente risolte. Quindi ho con Ninja e Yo-Landi - due artisti che adoro sotto tutti i punti di vista, musicali, di immaginario, estetici - un conto in sospeso. Come se mi mancasse un bel finale che invece la loro arte, e anche il mio lavoro, merita, confesso che aver infilato la data di mezzo del trittico di Max Pezzali proprio domani è come una sorte di paracadute, ché nella vita non si sa mai, con Max si va sempre sul sicuro. Tommaso, mio figlio, che mi ha seguito in questo letterale e letterario tour de force, senza fare domande, dimostrando e dimostrandomi una capacità di adattarsi a situazioni decisamente lontane da lui che ho sempre ammirato, altroché Gen Z incapace di lanciarsi nel vuoto, lui, sicuramente il più distante da me per interessi e carattere tra i nostri quattro figli, ma a ben vedere sempre pronto a buttarsi senza remore ogni volta che decido di portarlo con me a rockeggiare. Neanche il tempo di assorbire la botta emotiva dell’orale alla maturità che all’alba eravamo in autostrada, e poi di nuovo stamattina, quasi senza neanche il tempo si aver sgranchito le gambe (ieri sera la prima data del Domina Festival a Ortezzano, ai piedi dei Sibillini, motivo per cui ho affrontato l’esodo nel weekend dell’esodo, come uno di quelli che il Ray Liotta di Quei bravi ragazzi avrebbe definito “uno stronzo qualunque”). Anche qui, anche oggi, il pubblico non è esattamente quello che ci si potrebbe aspettare a un concerto de Il Volo, e probabilmente neanche di Max Pezzali. Io, coi miei capelli lunghi ben oltre le spalle e la maglietta di Furore di Paola e Chiara sono indubbiamente il più anonimo tra quanti si muovono da queste parti (unico altro capellone avvistato, Emiliano Colasanti di 42 Records), o forse, dipende dai punti di vista, uno dei più originali, se è vera la logica che in un mare di mosche nere è la bianca a spiccare, al contrario di quel che capita alla pecora nera nel gregge. Comunque, ho letto che i Die Antwoord apriranno per Cosmo, e la cosa mi ha lasciato sorpreso e anche un po’ perplesso. Intendiamoci: massima stima per il cantautore biellese, ma addirittura chiamare star internazionali a aprire per lui mi sembra forse eccessivo. Con Tommaso ci siamo detti che non resteremo al suo concerto, siamo oggettivamente troppo stanchi, ma nello spirito di questo weekend padre-figlio ci siamo anche lasciati la libertà di cambiare idea all’ultimo, vediamo quel che succede. Abbiamo un posto in prima fila, a lato del campo, nello spazio Hospitality, dove siamo praticamente in cinque. Ci facciamo un giro per il prato, ma neanche in tempo di divertirci a guardare la fauna locale e scopriamo che non potremo saltare il concerto di Cosmo, perché in realtà, sono le 20:30, è lui che apre. Qualcuno mi ha passato la notizia sbagliata o forse io, troppo incasinato, l’ho interpretata male. Più facile la seconda. Di fatto, quindi, ci spariamo il concerto dell’autore di Sulle ali del cavallo bianco, bellissimo album uscito di recente, e devo dire che ne vale assolutamente la pena. Rispetto al passato c’è molto meno rave, almeno in partenza, e molto più cantautorato, questo in effetti sembra essere il suo nuovo corso. Con lui sul palco, anche se qui di lato abbiamo un’ottima visuale sul fronte, molto meno sulla profondità, quindi potremmo perderci qualcosa, ci sono tre musicisti e una corista, e lui che spippola con le macchine, di tanto in tanto, un paio di volte anche con la chitarra acustica. La corista, di cui, giuro, cercando su Google non sono riuscito a trovare il nome, si presenta vestita come se andasse a un concerto dei Die Antwoord, ha un paio di mutandoni bianchi, che correndo sul palco diventano subito trasparenti, e una mantellina tipo quella che il parrucchiere ti poggia sulle spalle se devi fare una tinta, minuta minuta, da cui spuntano, appesi agli agli angoli, quattro lunghi dreadlock biondi, posticci. Sotto non ha niente, quindi è sostanzialmente in topless. Interessante, perché in genere siamo abituati a un pudore che in effetti Cosmo, il quale indossa una sorta di esoscheletro sul petto nudo, non sembra conoscere. Sudano tutti come pazzi, perché al concerto di Cosmo si balla come pazzi. E si suda come pazzi. Lui tiene la folla, invita a saltare in aria, come a far abbassare il terreno sotto i nostri piedi. La corista, che a un certo punto cambia mise, presentandosi con un altro paio di shorts, che faranno la stessa fine dei precedenti, ma stavolta non ha una mantellina ma due mini coppette tipo yogurt a coprire le tette, sventola pure una bandiera palestinese, nel caso non fossero sufficienti i testi di Cosmo. Un concerto in crescendo, e un concerto vero e proprio, di un’ora e mezza, che più va avanti più diventa rave, e questo non sorprende. Io e Tommaso siamo stanchini, quindi ci mettiamo seduti su due poltrone giganti di plastica, una rossa e una bianca, che sul retro hanno un volto di donna. Abbiamo preso da bere al baretto da backstage, dovendo pagare a una tizia con la carta che ci ha caricato il soldi su un braccialetto col QRCode e che poi il tizio che le stava di fianco ci ha scaricato con un’altra macchinetta. Una cifra per altro spropositata, ma siamo a un concerto. SI possono caricare, ci ha detto la tipa, solo multipli di cinque euro. Dopo uno dice che la questione dei Tokken fa cagarae. Scende il buio. Mi dicono che il concerto dei Die Antwoord, quello che pensavo fosse di apertura a Cosmo, inizierà alle ventidue e quindici. Sul palco ci sono dei tizi vestiti di nero e col viso coperto da passamontagna. Si muovono come ninjia. Non come Ninjia, ma come ninjia, circospetti. Finiscono di montare tutto, ma è chiaro che qualcosa non quadra. Tornano sul palco, se ne vanno. Ce n’è uno, non so se quello che sto per dire è bodyshaming, in caso usate come giustificazione la stanchezza e i tanti chilometri macinati, peserà duecento chili, per circa due metri e passa di altezza. Finiscono di montare, e parte una musica da scena clou di un film dell’orrore, che ricorda vagamente anche l’intro di violini di Toxic di Britney Spears. Tutto è buio, la gente acclama la crew. Ma non succede niente. Per circa mezzora. Alle ventodue e quaranta, circa, arrivano le note classicheggianti di DJ Hj-Tek, e parte il delirio.
Arrivano Ninja e Yo-Landi, vestiti con enormi tute arancioni, come quelle dei carcerati americani. Rappano e cantano come pazzi, accompagnati dalle note techno del Dj e conquistando subito tutti. Il pubblico è entusiasta, noi anche. Il concerto è una canzone via l’altra, con ogni tanto Ninjia o Yo-Landi che salutano il pubblico a suon di “Ciao Legnano” seguito subito dopo da “Viva Italiano”, e roba del genere. Ninjia più volte fa stage diving, ma essendo il pubblico separato dal palco da una sorta di spazio vuoto, dove a inizio concerto si trovano i fotografi, una specie di fossato come quelli che, intorno ai castelli, vuole leggenda fossero infestati di coccodrilli, Ninjia scende da una scala fatta di Flycase, i grandi bauli neri che servono per trasportare cose nei concerti, e poi scavalca la staccionata e si tuffa sulla gente, che se lo passa di mano in mano. Arrivato a qualche metro in mezzo alla folla, si alza in piedi, sorretto dalle mani del pubblico e canta, facendo urlare chiunque, il tutto mentre Yo-Landi, che a un certo punto si toglie la tuta arancione e sfoggia prima una mini canotta nera su pantacollant neri, Dio mio ha un fisico pazzesco, e poi un vestitino in lattice rosso, alla Marylin Monroe, Ninjia è ormai a torso nudo, prima in pantaloni baggy neri, poi in bermuda neri, tatuaggi ovunque. Yo-Landi ha anche il suo taglio da elfo, un mullett che lascia dietro un ciuffo biondo lunghissimo, e presenta gli occhi, sia la parte bianca che l’iride, completamente neri. Insomma, sono i Die Antwoord, che sciorinano una scaletta da paura, stringata e serrata. C’è Hey Sexy, ovviamente, c’è Fatty Boom Boom, c’è Rich Bitch, Pittbull Terrier, Baby’s on Fire e I Fink U Freaky. Si canta in coro, anche qui sotto il palco, ogni tanto sorridendo delle danze buffe di certi tipi sul parterre. Si balla, compostamente. Yo-Landi, ma qui non c’è nessuna sorpresa, a un certo punto ci ha fatto vedere il culo, purtroppo non il suo ma quello di Ninja, classico tanto quanto può essere il vedere le tette a un concerto di Tove Lo, lei che col compare si mangia il palco, alternando alla follia e simpatico machismo folle di lui una sensualità potentissima e irresistibile, ma sarà la sua voce da bambina, il suo sembrare un piccolo elfo, o il fatto che Ninja, lì intorno, si muove come un forsennato, il gesto non era portatore di chissà quale messaggio erotico, Ninja è oggettivamente Ninjia, men che meno pornografico, era un culo che passava di lì, tanto quanto prima c’era la gigantografia della versione di DJ Hj-Tek affetto da progeria, cioè il nano deforme che compare nel video di Enter the Ninja e che è morto prematuramente subito dopo, DJ Hj-Tek è il nome d’arte dietro il quale si nasconde di volta in volta chi si trova a produrre i live e i dischi del duo, coppia anche nella vita, o uno qualsiasi dei momenti del concerto, tutto sopra le righe, sia musicalmente che a livello di azione in scena. Da quel primo concerto sono passati dieci anni. Nel mentre ho ripreso a scrivere di musica, è successo un paio di mesi dopo quell’evento, il 4 agosto 2014, tornando a essere il ghepardo di una volta, e loro, i Die Antwoord, hanno smesso di fare dischi, annunciando uno scioglimento che evidentemente non ha avuto seguito, il fatto che pochi mesi fa abbiano suonato anche all’Alcatraz di Milano direi che lo attesta in maniera inequivocabile. Nel mentre c’è stata anche l’esplosione della trap, e oggi vedere facce con apparecchi dorati ai denti, tatuaggi sul collo, e tutto il corredo che Ninja e Yo-Landi ci hanno aiutato a conoscere è molto più comune, anche in assenza del loro talento e della loro cazzimma.
Proprio quell’immaginario lì, da raver, è in qualche modo stato sdoganato, al punto che Cosmo, che come vi ho detto ha aperto, ma noi pensavamo avrebbe fatto da headliner, avrebbe potuto appunto fare da headliner, credo faticando un po’ a reggere il confronto. Faticando non per questioni di qualità, ma perché i Die Antwoord sono un unicum al mondo, cafoni, trash, ma al tempo stesso credibili, sul pezzo, rap e melodie stranite, cantate da una voce da bambina, su musica tirata, quasi industriale. Certo, i loro concerti, se ripenso a quello di dieci anni fa, sono sempre uguali, ma chi se ne frega, sono sempre uguali e sono sempre trascinanti e bellissimi. Brevi, un’ora e si è appena conclusa Enter The Ninjia, che chiude il concerto, ma intenso. Non hanno fatto Strunk, ballata diabolica e di una bellezza incredibile, dove la voce di Yo-Landi, su disco, si fa quella di una sirena che la senti e la seguiresti fino in fondo a qualsiasi abisso, ma non è un concerto come si deve se alla fine non ti lamenti perché non è stata fatta una determinata canzone. Siamo rimasti fino all’ultima nota, cosa che non mi capita da anni, perché l’esperienza mi spinge a andare verso l’uscita quando cominciano i bis, così da non trovare poi caos. Stavolta c’era un solo brano di bis, e Tommaso ha insistito, giustamente, per sentirlo e vederlo, qui l’occhio vuole davvero la sua parte, fino alla fine. Il fatto che io ora stia qui, di nuovo in auto, Tommaso vagamente assonnato al mio fianco, una profonda voglia di mangiare qualcosa di decente, diretto verso Milano, lì dove da ventisette anni c’è casa, e stia anche provando a fare un ragionamento lucido, quasi un fare il punto della situazione è forse più surreale di quanto abbiamo visto e sentito nelle circa due ore e mezzo di concerto, una e mezzo in capo a Cosmo, una coi Die Antwoord, perché quello almeno era uno spettacolo pensato per essere uno spettacolo, io che sragiono come un ubriaco che cerca di convincere la pattuglia che l’ha fermato alla guida toccandosi vorticosamente la punta del naso mentre se ne sta come una gru su una gamba sola, una gru o il Battiato di Bandiera bianca, per intendersi, è solo il penultimo step di questa tre giorni degna di Robert Pirsig e figlio, lo yoga e le motociclette, almeno quelle, ce le siamo comunque evitate, e poco non è.