Ieri sera all’Alcatraz di Milano ha fatto tappa il tour che Chiello sta portando in giro per l’Italia, dopo l’uscita del suo ultimo album “Scarabocchi”. Ad accompagnarlo una band di quattro elementi, Fausto Cigarini, al basso e al violino, Matteo Pigoni alla chitarra, Giulia Formica alla batteria e Francesco Bellani alle tastiere. Chiello appare come si veste di solito, jeans strappati con camperos e una canotta attillata, i capelli sono ordinati però, tutti tirati all’indietro ad eccezione di due ciuffi sottili, rimasti fuori a simulare due piccole corna. Non ha le sembianze di uno che faceva trap fino a quattro anni fa, ma piuttosto quelle di un punk, un Sid Vicious italiano e moderno. Ma se lui “non sapeva cosa voleva ma solo come prenderselo”, come cantava in “Anarchy in the UK” (“Don't know what I want but I know how to get it”), Chiello non ha l’urgenza di conquistare, ma di esprimersi e lo fa con tutte le forze che ha in corpo, sudando, urlando e ballando. C’è qualcosa di elettrico nel suo corpo per cui quando attaccano canzoni più ritmate come “Quanto ti vorrei” e “Succo d’ananas” si muove a scatti veloci in danze scomposte, ma comunque eleganti. Anche il pubblico si lascia coinvolgere da questa energia fisica e infatti Chiello è costretto a interrompere più volte il live per segnalare svenimenti e mancamenti vari. Nel suo stile si incontrano la grazia del cantautore, il disincanto della trap e la scorrettezza del rock per un’esibizione viscerale, che trasuda verità. A metà concerto su “Xanax” un velo nero scende tra il palco e la platea per trasformarsi in un maxischermo trasparente, su cui verranno proiettate prima delle fiamme, poi il volto di Chiello e infine su “Insetti” uno sciame di mosche in movimento, con tanto di ronzio. Rocco, così si chiama Chiello, è uno che si lascia consumare dalle parole che canta, al punto da sembrare quasi posseduto, per questo non chiacchiera molto col pubblico, che però ringrazia. La sua alienazione dalla realtà però non è distanza dalle persone, che al contrario sono rapite dalla messa in scena delle sue emozioni, a volte cupe a volte leggere.

Tra gli ospiti che sono venuti a supportarlo, sono apparsi prima Rose Villain per cantare “I miei occhi” e poi Achille Lauro su “Succo d’ananas”, gli unici featuring presenti in “Scarabocchi”. Non sono solo comparsate tra colleghi però, come si usa fare nei concerti trap per far crescere l’hype tra le parti, sia Rose che Lauro, infatti, hanno manifestato a più riprese l’interesse, oltre che la stima per il lavoro di Chiello. “Questo ragazzo farà grandi cose, ricordatevi queste parole” ha affermato Lauro prima di scomparire dietro le quinte. Rose invece quando l’aveva scelto per la serata dei duetti di Sanremo, l’aveva definito “il suo artista preferito” e infatti anche nel suo ultimo disco “Radio Vega” c’è un pezzo insieme. Chiello è un talento, non solo come autore, ma anche come performer, sa suonare e cantare, ma anche improvvisare, come quando su “Malibu” cambia il testo invocando l’assoluzione divina, “Salvami tu bambin Gesù”. In area vip ci sono altri artisti venuti a vederlo, come la cantante Ariete, il produttore della FSK Greg Willen e Sapo Bully, amico d’infanzia e membro della FSK, con cui Chiello ha iniziato il percorso nella musica. Dopo un’ora e mezzo di concerto Chiello annuncia l’ultima canzone visibilmente provato, l’Alcatraz a maggio è una sala incandescente e lui non si è mai fermato né ha mai smesso di fumare. Il pubblico rimane qualche istante in attesa di un altro brano, come di solito accade dopo una prima uscita, ma i tecnici iniziano a smontare tutto e le luci tornano ad accecare gli occhi abituati al buio dei presenti. La bolla è scoppiata, il sogno distorto che ci ha inghiottito è finito bruscamente, perché Chiello non è uno che agisce secondo una regola, si abbandona alla vita con tutti i suoi imprevisti, godendosi il lusso di sorprendere tutti. Anche stasera.
