L’8 e 9 giugno si è votato per un referendum importante, con quattro quesiti dedicati al mondo del lavoro. Ma, ancora una volta, non si è raggiunto il quorum: solo il 30% degli italiani è andato alle urne. In un Paese dove ogni giorno si contano in media tre morti sul lavoro, l’ultimo dato Inail è sconcertante: 207 vittime nei primi quattro mesi del 2025, tre in più rispetto allo stesso periodo del 2024. E allora la domanda è inevitabile: ma il lavoro interessa ancora davvero? Per capirne di più, ne abbiamo parlato con chi al lavoro - e soprattutto alla sicurezza sul lavoro - dedica tempo, voce e passione: gli SOS Save Our Souls, band nata nel 1993 da un’idea di Marco Daniele Ferri, in arte Bruco. Non sono solo una rock band di successo, con oltre 170 concerti all’attivo, tre album pubblicati, e palchi condivisi con nomi come Ligabue, Timoria, Negrita e Modena City Ramblers. Sono anche e soprattutto un gruppo che da anni porta avanti un vero e proprio impegno civile, trasformando la musica in uno strumento per far riflettere, per sensibilizzare, per non dimenticare. Dal brano Ancora Vivere, dedicato alla sicurezza stradale, alla miniserie Nonostante tutto... realizzata con il giornalista Pietro Tosca, fino al recente Con gli occhi aperti, realizzato in collaborazione con Faraone Academy, ogni loro progetto è un invito a non girarsi dall’altra parte. Abbiamo intervistato Bruco, voce storica e anima del gruppo, per farci raccontare come è cambiata la sensibilizzazione sul lavoro in questi vent’anni, cosa ha significato per lui il referendum, e quali sono secondo lui i temi urgenti su cui l’Italia dovrebbe migliorare.

Dato che il vostro gruppo si occupa di sensibilizzare sulla sicurezza stradale e lavorativa, secondo lei, rispetto a vent’anni fa, quando è nata la band, le cose sono cambiate oppure siamo ancora fermi allo stesso punto?
Dipende da diversi aspetti. Sicuramente negli ultimi anni si è assistito a un maggiore utilizzo di strumenti non convenzionali per sensibilizzare, come la musica, il teatro, i libri. L'obiettivo non è sostituire i percorsi formativi tradizionali, ma affiancarli, cercando di costruire una vera e propria cultura della sicurezza. Oggi esistono strumenti normativi come l’accordo Stato-Regioni, che sono parte di un processo più ampio. Ma l’efficacia di queste azioni non è sempre garantita. Ad esempio, pensiamo alle immagini sui pacchetti di sigarette: in altri Paesi hanno avuto un impatto maggiore. In Italia, spesso iniziano a impressionare, ma poi la gente si abitua e se ne disinteressa. Il dato drammatico delle tre morti sul lavoro al giorno purtroppo resta stabile da anni. Ma il tentativo di agire con stimoli positivi - come una canzone che promuove l’uso corretto dei DPI - è un segnale importante. Rispetto a vent’anni fa, oggi c’è sicuramente più diffusione di questi strumenti. Non tutti sono efficaci, ma almeno esistono. Nelle grandi aziende c’è più attenzione alla sicurezza. Le difficoltà maggiori si riscontrano nelle piccole imprese, dove il margine economico ridotto porta a tagli, e a volte si taglia anche sulla sicurezza. Non per cattiva volontà, ma per mancanza di mezzi.
Il tema del lavoro è molto attuale, anche perché di recente c’è stato il referendum, dove quattro quesiti riguardavano proprio il lavoro. Cosa ne pensa del fatto che molte persone non siano andate a votare?
L’ho detto chiaramente anche di recente: è stato un errore. Votare non è solo un diritto, è anche un dovere civico. C’è chi propone di rivedere il quorum, magari parametrandolo sull’affluenza alle ultime politiche, e mi sembra una riflessione condivisibile. Oggi le persone vivono molto sui social, si formano opinioni “di pancia”. Basta che qualcuno etichetti una proposta come “di destra” o “di sinistra”, e si polarizza tutto. Io ho votato, mi sono informato, ho fatto le mie valutazioni. Penso che non votare significhi cedere un proprio diritto democratico. E questo, alla lunga, è pericoloso. Oggi deleghiamo troppo alla tecnologia, ai sistemi digitali. Ma le scelte che riguardano la società vanno fatte con consapevolezza.

Secondo lei perché in Italia si è registrata così poca affluenza: per disinteresse, perché i quesiti erano troppo complicati, o è stata una scelta politica?
Un po’ tutte queste cose insieme. Alcuni quesiti erano difficili da comprendere e richiedevano tempo per essere approfonditi. Oggi spesso si preferisce andare a fare l’aperitivo piuttosto che riflettere su temi complessi. Inoltre, il referendum è stato politicizzato, e questo ha allontanato tante persone. Viviamo in un clima di estrema polarizzazione: anche scelte banali vengono lette in chiave ideologica. C’è anche una certa pigrizia mentale, poca voglia di sviluppare una coscienza critica. Nessuno pretende che siamo tutti esperti, ma almeno dovremmo avere una opinione consapevole su temi che ci riguardano da vicino, come il lavoro.
Sul quesito specifico della responsabilità in caso di morte sul lavoro, ci sono state opinioni divergenti. Lei cosa ne pensa?
Il tema era molto delicato. La responsabilità solidale esiste già. Tuttavia, secondo molti esperti con cui mi sono confrontato - anche recentemente durante i concerti - c’era il rischio che venisse estesa anche a chi aveva agito in modo corretto. Per esempio, un commerciante che affida un lavoro a un elettricista e si accerta che tutto sia in regola - DURC, corsi, documentazione - rischiava comunque di essere ritenuto responsabile in caso di incidente, pur non avendo competenze nel settore. Il rischio era di penalizzare chi già rispetta le regole. Il problema non è solo nella legge, ma nella mancanza di controlli preventivi. Il controllo non dovrebbe servire solo a fare la multa, ma ad aiutare a prevenire i problemi. E questa, per fortuna, è la direzione verso cui si sta andando.

In base alla vostra vocazione civile, quali sono secondo lei i temi più urgenti da affrontare oggi in Italia?
La salute e sicurezza sul lavoro è sicuramente una priorità, ma ci sono anche altri temi trascurati. Uno è la sostenibilità, intesa in senso ampio: ambientale, sociale e anche il benessere dei lavoratori. C’è poi un grande problema di cui si parla troppo poco: la droga, soprattutto tra i giovani. Non si vede più come un tempo, ma il fenomeno è ancora più subdolo e diffuso. È una piaga sociale che andrebbe affrontata seriamente.
Pure quello dei salari è un tema molto discusso.
C'è disequilibrio tra salari e costi per le imprese. Le piccole aziende, che costituiscono il cuore del nostro sistema economico, fanno fatica a sopravvivere. Vorrebbero pagare meglio i dipendenti, ma non ce la fanno. E intanto molti lavoratori non riescono ad arrivare a fine mese. Serve trovare un nuovo equilibrio tra ciò che un’azienda può offrire e ciò che un lavoratore merita. È un problema complesso, ma non possiamo ignorarlo. Viviamo un periodo di grande incertezza, pensiamo anche alle tensioni internazionali e ai possibili effetti dei dazi. Ma in mezzo a tutto questo, alcune aziende resistono, alcune crescono, e questo ci dà speranza. Però serve un cambio di passo nella riflessione politica ed economica.
