Hotel Baviera Mokinba, Milano. Si apre la porta al quinto piano e la stanza è troppa illuminata. Soprattutto se, prima di arrivare, ascolti il disco Leggendario. Lui c’è ma non si vede. L’ufficio stampa mi invita a entrare. Alcune ragazze si muovono per la stanza apparentemente senza meta. La sua voce invece riecheggia, roca e potente, per quelle quattro mura di pochi metri quadrati a impartire direttive. Mentre mi fanno sedere su una poltrona di design, talmente bassa e dallo schienale così reclinato che è difficile sentirsi a proprio agio, appare da dietro l’armadio: “Wè ciao”. Una stretta di mano e si va a appollaiare a gambe incrociate su un angolo del letto: sigarette Marlboro affianco, tatuaggi di un Cristo piangente e un Topolino impiccato sulla pelle, una canotta con la scritta Usa, liberty for all. Side Baby incrocia il mio sguardo per la prima volta, ma sembra avere ben altri pensieri rispetto a questa intervista. L’uscita del terzo album di inediti coincide con il compleanno dei 30 anni e già questa gli appare come una grande conquista: “Non pensavo che ci sarei arrivato”. Non nasconde gli eccessi che ha frequentato. Anzi, li inserisce nei suoi pezzi che sono sempre lo specchio di quello che ha vissuto. In questo, gli faccio notare, somiglia al Caravaggio: in un mondo di buio una luce squarcia la scena e ci presenta “il vero”. Annuisce: “Mi ci posso rivedere, a Roma ha lasciato una bella impronta”. Come quella che Arturo Bruni (vero nome all’anagrafe) vorrebbe lasciare almeno a Testaccio: “Se non mi dedicano una statua sbagliano”. E pur considerandola “una cosa zozza”, se dovesse chiamarlo il sindaco Roberto Gualtieri avrebbe qualche consiglio da dargli per migliorare la Capitale: “Dopo il rap potrei darmi alla politica”. È un trapper, però è atipico e ne è consapevole: “Spesso è sinonimo di ‘ghetto’, invece per me è narrazione di se stessi”. Sarà per questo che dopo la Dark Polo Gang, con la quale ha fatto esplodere il genere in Italia, ha avuto un percorso completamente diverso dagli altri colleghi. Ha collaborato con tutti, da Fabri Fibra a Ghali e Shiva, eppure l’unico che gli viene in mente quando gli chiedo con chi preferisce condividere la propria musica è Tony Effe, suo compagno di gang, verso cui non nutre nessun rancore relativo al successo: “Se ci mettiamo insieme su una traccia viene fuori una bomba”. Come Louis-Ferdinand Céline mi spiega che, nonostante sia “un bel momento”, ha ancora “la guerra in testa”. Continua a spingerlo una certezza: “Che questa roba la so fare”. E rispetto al passato si immagina anche da vecchio: “Tutto tatuato e grinzoso che fumo i cannoni e rompo le palle ai regazzini”.
È uscito il tuo terzo album, Leggendario (Warner Music Italy). Come ti senti?
Bene bene, sono contento. Non vedo l’ora di ascoltare un po’ di pareri.
Nuovo album e compleanno proprio oggi. Quando hai iniziato come vedevi i 30enni?
Li vedevo grandi, anzi grandissimi. Tipo che a 30 anni sei un vecchio. Infatti sono un vecchio (ride). Quando avevo 16 anni non pensavo manco che ci sarei arrivato a questa età. Adesso però mi sento bene, sembra l’inizio di un bel periodo.
Il tuo primo album si intitolava Il ritorno del Vero, ma anche nei dischi successivi, come quest’ultimo, la ricerca della verità nuda e cruda continua con le sue luci (poche) e le sue ombre (tante). Come disse Caravaggio: “Cerco il vero”. Ti senti un po’ caravaggesco?
Anche lui ha avuto una vita abbastanza travagliata e a Roma ha lasciato una bella impronta, mi ci posso rivedere. Per me è fondamentale la verità. Ne ho fatto la mia bandiera. Cambiare non avrebbe senso. E la falsità è il contrario di quello che faccio. Spesso nel rap “vero” è sinonimo di “ghetto” o “di strada”, invece per me il “vero” è la narrazione di se stessi. Non c’è dietro un personaggio creato a tavolino. Non ho mai pensato “voglio essere questo”. Io semplicemente sulla traccia mi sfogo e dico quello che penso.
E Roma è la scenografia costante.
Roma è la protagonista della mia musica, viene anche prima di me.
Una Roma che però tutti dicono essere in decadenza e invivibile.
È vero, ma è bellissima lo stesso. Purtroppo è una città pieno di problemi, complicata e un po’ lasciata a se stessa. Ma è anche la città più bella del mondo. E soprattutto noi romani ci teniamo a essere di Roma, è un vanto nonostante tutto.
Come ricordi spesso nei tuoi brani, anche il rione ha la sua importanza.
Il mio è Testaccio, rione venti. È il centro di tutto. Da dove tutto parte per me.
Un po’ come il barrio per gli argentini.
Sì, poi il mio quartiere in particolare è famoso perché è come se fosse un paesino. C’è ancora quella sensazione di conoscersi tutti, con i bambini che stanno in piazza fino a sera senza genitori, ci si aiuta a vicenda, passi da una casa all’altra.
Canti di ambire a diventare il re di Roma, ma se ti chiamasse il sindaco Roberto Gualtieri e ti chiedesse qualche consiglio, quale gli daresti?
Ne avrei parecchi da dargli, vivendoci li conosco tutti. Gli farei la lista che sarebbe bella lunga. Ma credo che ogni cittadino oggi potrebbe fare meglio dei politici attuali. Questa politica è zozza.
Anche perché siete più ascoltati voi rapper e trapper rispetto ai politica, in particolare dai giovani. Non è che vi sottovalutano?
Ma certo, non è una cosa stupida. Guarda per esempio in America l’importanza che stanno avendo i rapper nelle elezioni. Perché siamo lo specchio di chi va a votare, soprattutto dei giovani. Comunque te lo anticipo, dopo il rap potrei darmi alla politica.
Dal pezzo Miracoli: “Sono figlio di artisti ma cresciuto in mezzo ai gangster”, ricordando che tuo padre è il regista Francesco Bruni e tua madre è l'attrice Raffaella Lebboroni. Ma in mezzo ai gangster ci sei finito o ci sei voluto finire?
Mi ci sono ritrovato, però mi sono subito innamorato. Vengo da un quartiere molto popolare. A Testaccio è dove è nata la Banda della Magliana. C’è in giro gente di un certo calibro e ancora di più quando ero piccolo. A me tutta sta roba mi ha sempre preso. E ci sono cresciuto in mezzo.
Però in MaryKate ammetti anche che "mia madre odia tutti i soldi che alzo".
In parte è ancora così, ma in quella strofa volevo dire che tutti i soldi che fai ti portano agli eccessi. Poi è vero che io sono uno spendaccione. Comunque i soldi cambiano le persone e quasi sempre in peggio.
Quanti tuoi colleghi sono peggiorati a causa dei soldi?
Tantissimi. Troppi! È una condizione comune tra gli artisti. Non ho mai capito se è normale che gli artisti arrivino agli eccessi o se chi è portato agli eccessi poi diventa artista. Quale delle due? Non saprei. Se ci pensi, in un verso o nell’altro, ci cadono tutti. Persino Maradona, un artista del calcio. Forse chi è portato agli eccessi è portato a eccedere anche in quello che sa fare meglio.
C'è da dire che con la Dark Polo Gang non avete avuto nessuna major che vi sostenesse, siete stati un fenomeno arrivato in classifica da zero.
Eravamo solo noi, facevamo tutto da soli. Non ci aspettavamo quell’impatto. Speravamo che succedesse qualcosa, ma quello che è successo no. Assolutamente no. Persino portare un termine nella Treccani (bufu, ndr), o essere conosciuti anche dalle nonne. Questo chi lo pensava?
In quel periodo voi a Roma e Sfera Ebbasta a Milano avete lanciato la trap in Italia.
È andata proprio così. La Dark e Sfera sono i padri della trap italiana.
E com’è cresciuto questo "figlio"?
La scena in Italia è super figa. Non solo la trap, che è un sottogenere del rap che parla della vita di strada. Non è solo un tipo di sonorità, è soprattutto un tipo di argomenti. Però mi piace come si sta muovendo la scena. Non ho critiche ai giovani, solo complimenti. Spaccano!
Tony Effe ha spaccato veramente, Sesso e samba è la hit dell'estate. E fate un feat nel tuo album in Convoglio. A te una hit manca?
Con Tony ci sentiamo tutti i giorni. Magari riuscissi a imbroccarla una hit che mi fa guadagnare per un’estate intera. Ma che, scherzi? Non ci ho mai provato a farla, questo è vero. Non mi sono mai messo a pensare in quel modo, probabilmente se mi ci mettessi ci riuscirei. Però non ho mai avuto quell’obiettivo. Se invece succede per una traccia che non avevo previsto allora ben venga.
Però in questo disco ci sono due tracce che vanno oltre la trap, come Bonnie & Clyde con Mew e Miracoli con Franco 126.
Un mix delle due cose. Le parti dei feat erano già dentro ai pezzi e le collaborazioni hanno aiutato a farle venire fuori meglio. Parti che sono dentro di me, ma che riesco meno a mettere a fuoco.
Hai delle collaborazioni preferite?
C’è con chi mi trovo sempre bene come Tony. So che se ci mettiamo su una traccia viene fuori una bomba. Anche perché sai, io ho solo una certezza nella vita: che so fare questa roba. Su tutto il resto sono insicuro, ma se vado in studio so che posso spaccare. Non ho mai fatto fatica.
Il politicamente corretto ti frena?
Fanculo!
Mai cambiato una rima per timore di polemiche?
No no. Mi sono accorto a volte, parlando con i fan, di scrivere cose che possono essere percepite male. Ma io non mi voglio mettere nel ruolo di educatore.
Non ti senti un esempio?
Nooo! Semmai posso essere un idolo musicale di qualcuno, solo che un esempio non mi ci sento.
C’è chi vi accusa che c'è troppa violenza nei vostri testi.
È vero, ma anche qui rispecchia quello che ci sta in giro per strada. Non è la musica che porta la violenza. Guarda anche Milano, non si fa altro che parlare di quanto sia pericoloso andare in giro la sera. È tutto vero, noi semplicemente lo cantiamo.
Era pericolosa anche quando cantava Celentano.
Ma certo, solo che oggi c’è questa paranoia.
Voi trapper siete dei bersagli facili?
Questo è poco ma sicuro. Io devo stare attento. Sono tranquillo, perché credo nel karma e per come mi sono comportato con la gente mi rispettano tutti. Però ti devi saper muovere, non è che puoi stare con la testa tra le nuvole.
Nei tuoi pezzi non nascondi niente di ciò che hai vissuto: la depressione, le droghe, le medicine. “Dico di essere cambiato”, canti. È così?
No no, lo dico ma non è ancora così. E sai perché? Una persona che soffre di questi problemi sa che non se ne vanno mai. Si imparano a gestirli. Mia madre mi ripete spesso: “Non dire mai che sei guarito”. Non sei mai fuori pericolo da certe cose. Adesso è un periodo che sto bene, dove funziona tutto.
Sei anche diventato padre.
I figli contano un sacco, lei mi ha aiutato tantissimo a darmi una spinta per cambiare.
Adesso tua figlia ha tre anni, ma quando sarà più grande come gli spiegherai il lavoro che fai?
Ha appena iniziato la scuola materna. Credo che capirà da sola ascoltando. Già sente diverse cose. Non quelle più crude, però mia madre le fa ascoltare spesso Nuvola con DrefGold e dice: “Mi piace babbo”.
I soldi, gli orologi, le collane rappresentano per i trapper una reazione?
È cento per cento una reazione alla società. E anche un riscatto personale. Se mi sono comprato due Rolex da 30mila euro sono soddisfatto, perché non me li ha comprati mi padre o mi nonno. Sono una sorta di trofei. I calciatori hanno i loro, noi abbiamo collane e orologi.
Cito da Leggendario: “Fatti i cazzi tuoi che io sto facendo me stesso”. C’è mai stato qualcosa o qualcuno che ti ha influenzato?
No, mai. Io non mi sono mai fatto influenzare da nessuno. Faccio quello che mi pare.
In Bonnie & Clyde canti: “Ho la guerra in testa”. Mi hai fatto venire in mente Louis-Ferdinand Céline quando scrive: “Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l’ho chiusa nella testa”.
Abbiamo una cosa in comune. È anche un modo di dire: “Avecce la guerra in capo”. Sai quell’agitazione…
Quando è scoppiata la guerra nella tua testa?
Da sempre, da sempre. Penso di non essere mai stato tranquillo da quando ho coscienza di me stesso.
Invece anche per te “l’amore dura il tempo di uno sparo” come canta Franco 126?
Dovresti chiederlo anche a lui perché l'ha scritto. Io (e guarda alle mie spalle dove c’è la madre di sua figlia, ndr) spero che possa durare pure de più. Se ami davvero potrebbe durare per sempre. Penso che Franco 126 si riferisse al fatto che il sentimento molto forte dura poco e poi cambia.
Ti immagini da vecchio?
Sì, come no? Tutto tatuato e grinzoso che fumo i cannoni e rompo le palle ai regazzini.
E poi sai già che fine farai, come scrivi in Strada Symphony: “Finirò agli inferi”. Ci pensi mai alla morte?
Oltre a pensarci ci sono andato vicino un sacco di volte. Non ne sono ossessionato, ma so che se morissi adesso sarei maledetto. Perché devo ancora sistemare mille cose.
Il direttore di MOW, Moreno Pisto, ha scritto nella sua bio di Facebook: “Quando morirò buttate le mie ceneri sul più grande paio di tette di uno strip club”.
Non sarebbe niente male. Se mi facessi cremare un bel paio di grosse tette sarebbe il posto ideale per essere sparso. Ma prima preferirei morire a casa mia, nel mio letto.
Anche perché, nonostante tutto, chiudi il pezzo con una sicurezza che va oltre: “Mi faranno una statua nel mio rione”.
Ne sono certo! Se non mi faranno almeno una statua a Testaccio sbaglierà la giunta comunale che dovrà occuparsene.