Diciotto giorni. Tanti ce ne sono voluti perché Toni incontrasse suo padre Nino per la prima volta, nel 1980. Nino era a Palermo, impegnato con la sua prima sceneggiata, quella che lo rese celebre. Ma oggi quei 18 giorni diventano un film. “NINO. 18 GIORNI”, documentario presentato fuori concorso all’82. Mostra del Cinema di Venezia, è la dichiarazione d’amore di un figlio al padre, ma anche l’omaggio a un artista che ha attraversato generi, decenni e pregiudizi, senza mai tradire sé stesso. Diretto da Toni D’Angelo, il film è un viaggio tra ricordi e quartieri, ma soprattutto uno scavo profondo nell’anima di un uomo che ha fatto dell’umiltà una bandiera. La sua. Oggi Nino non ha più il caschetto biondo che lo rese il volto più popolare d’Italia dopo Raffaella Carrà. I capelli sono grigi, ma li taglia ancora lo stesso barbiere che inventò quel caschetto. La voce, invece, ha il suono del Mediterraneo. Vive a Roma, compone su una tastiera nella sua casa sulla Cassia, circondato dalla sua famiglia, con gli occhi addosso di chi l’ha sempre amato. Quelli del pubblico, ma soprattutto quelli di suo figlio, che in “NINO. 18 GIORNI” lo segue durante il tour “I miei meravigliosi anni ‘80” e lo accompagna nei luoghi dove tutto è cominciato: San Pietro a Patierno, Casoria, i palazzoni, i sogni, le prime canzoni, la povertà vera, quella che ti fa sognare forte e ti tiene sveglio la notte. “Chi era mio padre negli anni ‘80?”, si chiede Toni nel film. E la risposta arriva tra prove, backstage, vecchie immagini di repertorio e domande scomode. Ma arriva soprattutto nelle lacrime di Nino. Lacrime vere, che cadono dopo la proiezione del film, e mentre sfila davanti agli stessi obiettivi che in passato gli hanno sbattuto le porte in faccia.
Lui, Nino D’Angelo, l’ex ragazzo della curva B, il simbolo di un successo troppo popolare per piacere alla cultura “alta”. Quella che l’ha tenuto fuori da Venezia, anni fa, quando presentavano “Tano da morire”. Lo stesso film che poi gli ha dato i premi, il rispetto e una nuova vita artistica. Ma oggi è diverso. Oggi Nino è il protagonista assoluto della Mostra. Applausi, standing ovation, il pubblico in piedi per lui. E lui che ringrazia, con quella faccia che conosciamo da sempre, quella voce che ha accompagnato chi scrive da bambina e che continua a farle venire il “batticuore” anche da adulta. Un film che commuove perché mostra tutto, senza nessun filtro: la fatica, il talento, le fragilità, le vittorie e le cicatrici. Ma soprattutto mostra un uomo che non ha mai dimenticato chi è e da dove viene. E questo, in un mondo dove quasi tutti si vendono per poco, dove contano solo le apparenze, è un atto più che rivoluzionario. Non c’è nessuna posa, nessuna sovrastruttura. Solo verità. “Nino D’Angelo non è soltanto una voce che ha segnato decenni, ma un simbolo di riscatto e appartenenza”. Lo dice il film, ma lo dice anche il pubblico che lo segue da sempre. Perché Nino non ha mai tradito il popolo delle sue canzoni. Gli stessi che, come lui non smette mai di sottolineare, gli hanno regalato una vita bellissima e più facile. Un pubblico a cui lui continua a dare tutto. Sempre. Senza dimenticare, senza fingere, senza montarsi la testa. In quelle lacrime non c’è solo commozione. C’è gratitudine, c’è amore, c’è il peso e la bellezza di una vita vissuta con coerenza. C’è un uomo che ha saputo trasformare il dolore e il pregiudizio in arte. E che, anche ora che i riflettori gli sorridono, resta uno di noi. Con le radici nel cemento di Napoli e il cuore aperto al mondo.
