Sabato 4 maggio ho avuto il piacere e l’onore di essere invitato dal sottosegretario alla Cultura, Gian Marco Mazzi a partecipare all’incontro a tenutosi a Verona sul tema delle “Canzoni Violente Contro Le Donne. Che Fare?”. L’invito è arrivato in conseguenza di una campagna sul tema che ho condotto proprio su MOW dove, tra l’altro, pubblicai una lettera aperta al sottosegretario Mazzi in conseguenza di un suo interessante e pungente intervento durante la Music Week a Milano. Quell’intervento mi colpì molto, ma onestamente non avrei mai pensato che il sottosegretario alla Cultura avrebbe perseverato in una presa di posizione molto forte sul tema. Invece non solo ha dato seguito a quell’intervento tramite l’evento organizzato sabato, ma ha sostenuto la difesa delle donne dai testi a dir poco mostruosamente violenti contenuti in alcune canzoni di alcuni esponenti del genere Trap provocando un dibattito che ha fatto emergere con chiarezza come il business discografico se ne freghi altamente della questione a scapito del profitto che questo tipo di canzoni genera grazie al seguito di milioni di esponenti della Gen Z e non solo. Quando Mazzi ha mostrato sul megaschermo estratti di alcuni dei brani incriminati è calato il gelo nella sala. Non starò nemmeno qui a trascriverli. Potrete leggerli nella lettera aperta che all’epoca inviai al sottosegretario alla Cultura. Nella contrarietà generale, una sola voce fuori dal coro. Quella di Enzo Mazza. Questo il suo curriculum: Ceo di Fimi (Federazione Industria Musicale Italiana), laureato in Scienze politiche, inizia la propria attività come addetto stampa presso un importante istituto bancario. Dopo un'esperienza in un’agenzia di pubbliche relazioni diventa responsabile per l'Italia di BSA (Business Software Alliance), l'associazione mondiale dei produttori di software seguendo il contrasto alla pirateria informatica in Italia e dedicandosi all’implementazione delle normative europee di settore. Nel 1996 viene nominato segretario generale di FPM (Federazione contro la Pirateria Musicale), dal 1998 al 2013 ha ricoperto rispettivamente i ruoli di direttore generale prima e di presidente poi, e oggi è Ceo di Fimi. Docente di lungo corso di music business nei maggiori corsi di laurea e master universitari d'Italia, presiede inoltre il Comitato proprietà intellettuale della Camera di commercio Americana in Italia e nel 2010 è diventato Presidente di SCF, società leader nella gestione del diritto connesso. Siede nei principali comitati internazionali dell’industria musicale in rappresentanza dell’industria italiana. È componente del Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore.
Un personaggio di tutto rispetto se non fosse che, dopo gli impeccabili interventi di Davide Rondoni, Enrico Ruggieri, Mogol (persone non con curriculum “culturale” che stride al confronto di quello del “mega Ceo” Mazza) tutti schierati a sostegno del fatto che alcune canzoni del genere Trap in italia sono “palesemente” da condannare perché lesive della dignità, della moralità e della personalità delle donne, esordisce con una frase a dir poco ridicola e in spregio della presenza del maestro Mogol: “Quando faccio ascoltare Battisti a mio figlio, lui ride”. D’altronde, cosa aspettarsi da una persona che poco prima con orgoglio e fierezza di padre enunciava con compiacimento il titolo di una chat di gruppo della figlia: "Bitch" e a seguire qualcos’altro. Campione mondiale di arrampicata sugli specchi, ma chiaramente parafulmine o vittima sacrificale della discografia che corporativamente ben rappresenta e difende (ammirevole da questo punto di vista) esperisce i più blandi tentativi di giustificazione ricorrendo, come tutti quelli che non hanno argomentazioni, o che credono di effettuare il colpo d’effetto, alla solita frase: "Anche mio padre mi rimproverava per la musica che ascoltavo da ragazzo". Fantastico Mazza. Se fossi un industriale proprietario di una azienda che opera in settori delicati, magari inquinanto o comunque ad alto impatto sociale e/o ambientale, non avrei dubbi nel nominare Ceo dell’azienda il dottor Enzo Mazza. Miglior difensore dell’indifendibile non c’è. Credo siano state inutili per Mazza le spiegazioni e le citazioni come quella di Charles Dickens fatta da Enrico Ruggieri, cosi come l’intervento di alto profilo di Rondoni o come la denuncia di uno stato di pericolosità sociale emersa e denunciata non solo da Cristiana Capotondi ma anche e soprattutto da Valerio De Gioia, magistrato e Consigliere giuridico della Commissione d’inchiesta sul femminicidio che ha posto, nella sua qualità di giudice penale, anche l’accento sulla violazione da parte di quel tipo di testi di norme del Codice penale.
Ma l’apice dell’incontro, credo, si sia raggiunto quando il sottosegretario Gian Marco Mazzi ha mostrato in video i codici etici non solo della Fimi ma anche di discografiche e piattaforme. I contenuti, scritti con precisione e chiarezza, vanno completamente nella direzione opposta ai testi delle canzoni che quelle discografiche pubblicano e soprattutto promuovono. La precisa e puntuale risposta di Mazza è stata a dir poco banale: i codici etici riguardano dipendenti, personale, dirigenti. Insomma, la laurea di Mazza è in Scienze politiche non in giurisprudenza e quindi cosa ne sa del Codice etico? Come fa a sapere che Codice etico contiene l'insieme dei diritti, doveri e responsabilità dell'ente nei confronti degli stakeholders (dipendenti, fornitori, clienti, Pubblica amministrazione, azionisti, mercato finanziario e tanti altri). Che ne sa che in realtà l’artista che ha un contratto con una discografica se è in licenza è certamente un fornitore, e se è in cast peggio ancora potrebbe essere assimilato ad un dipendente temporaneo? E comunque è giusto sostenere che in una azienda un dipendente che dà una pacca sul sedere ad una donna va condannato, mentre nella stessa azienda un fornitore che fornisce una canzone con un testo violento, sessista e pornografico è un Dio e va pure premiato? Caro dottor Mazza, è inutile appellarsi e rifugiarsi dietro il vessillo della pericolosa censura per sgattaiolare fuori dal problema. Nessuno vuole censurare nessuno. La censura non fa bene, ma non fa bene leggere quei testi e sentirli cantare da innocenti bocche di adolescenti che nemmeno ne capiscono il significato. Le cantano solo perche le sentono cantare dai loro idoli. Che non sono i suoi, i miei idoli degli anni '60-'70-'80. Oggi quei poeti della pornografia cantata in realtà sono influencer! Chi sono? La risposta non la do io ma Treccani: "Personaggio di successo, popolare nei social network e in generale molto seguito dai media, che è in grado di influire sui comportamenti e sulle scelte di un determinato pubblico". E concludo rivolgendomi anche e nuovamente alle istituzioini e al sottosegretario alla Cultura: “Che fare?”. Iniziamo da semplici azioni non di censura. Iniziamo col non dare riconoscimenti, tipo ori, platini e diamanti a questi brani. Obbligate le piattaforme a oscurare i numeri dello streaming. È un piccolo inizio. Diversamente, eliminate i codici etici dalle vostre aziende perché li violano costantemente e L'Organismo di Vigilanza - previsto dal disegno di legge 231/01 - eserciti i suoi autonomi poteri di iniziativa e di controllo, vigili realmente affinché non si verifichino condotte fraudolente da parte delle figure apicali dell'organizzazione. In sua vece chiedo scusa a Lucio Battisti per le risate di chi non ne comprende l’Arte. Quella vera, non quella del profitto che è un'arte in cui le aziende che rappresenta sono maestre.