Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Queste le parole ormai iconiche, come concetto, che Nanni Moretti esprimeva a un certo punto di Ecce Bombo. Cristallizzando certo un atteggiamento ritenuto già allora naif, quello di chi ama farsi vedere in disparte, ma al tempo stesso mettendo sul tavolo una realtà che col tempo, se possibile, si è ulteriormente ingigantita. In epoca social, e sfido io che Nanni Moretti ai tempi potesse mai immaginare che mondo ci sarebbe poi toccato in conto, infatti, tutto è un prendere posizione, anche in tempi relativamente veloci. E in questa costante richiesta di presa di posizione, leggi alla voce polarizzazione, siamo spesso tenuti a fare in pochi secondi una serie di ragionamenti, che spesso finiscono per renderci la vita una sorta di inferno, Black Mirror ci ha ben raccontato il tutto. Se infatti arriva un tema del giorno, qualsiasi tema sia, da un fatto di gossip a un conflitto bellico di portata mondiale, siamo tutti lì a dire la nostra, Guelfi o Ghibellini. Solo che, tempo qualche minuto, e la divisione di complica, perché arriva qualche ritardatario, l’assente della domanda nannimorettiana, che ribalta le logiche, facendo notare come schierarsi per la parte più ovvia sia spesso una scelta di comodo, se non una posa. Così ecco che ci si sposta dalla parte opposta. Ma anche qui, arriverà qualcun altro a rovesciare ulteriormente le cose, frammentando il tavolo da gioco. Figuriamoci, quindi, quando in questo discorso subentra il fattore fanbase, quando, cioè, nel discorso del giorno entra in gioco la scelta di questo o quel personaggio, questa o quella popstar. Lì c’è sì l’effimera faccenda del gusto applicato a un’opera, e ci mancherebbe altro, ma c’è anche tutto quel cosa abbia fatto chi quell’opera ha buttato sul mercato fino a quel momento, e soprattutto il coinvolgimento emotivo, il sentimento. Per intendersi, è uscito da poco un disco di Beyoncé, Act II: Cowboy Carter, e tutti si sono sentiti più o meno in diritto/dovere di dire la propria. Anche perché la regina ha ben pensato di mettere mano a un genere per quasi un secolo divenuto colonna sonora di certa America bianca e non propriamente incline all’inclusività. Così a fianco dei suoi fan e dei fan delle sue competitor, i cui lavori erano per altro quasi tutti annunciati come imminenti da tempo, hanno detto la loro anche persone che con il mondo del pop o comunque di Beyoncé nulla avevano a che fare, spesso anche col mondo tutto della musica. Idem, esce il nuovo lavoro di Taylor Swift, The Tortured Poets Departement, questo di trentuno canzoni, quello di Bey di ventisette, e ecco che se ne parla praticamente ovunque. Anche qui, non solo da parte di fan della “fidanzatina d’America” o delle sue competitor. Se ne parla per i numeri pazzeschi che ha fatto, i record infranti sul momento e nei giorni successivi, e perché è considerata, a ragione, una che muove i pensieri, i voti, tutto. Schierarsi, dire la propria, ribaltare dati di fatto, logiche, tutto.
Siccome però negli Usa hanno il senso del confronto, ecco che a distanza di poco arriva sul mercato anche una terza regina, direttamente dal Kosovo albanese, via Inghilterra, Dua Lipa col suo Radical Optimism. Lei che a sua volta ha spazzato record su record, se Taylor è quella che ha fatto più streaming in assoluto, prima coi trecento milioni in un giorno, poi con oltre un miliardo nel giro di neanche una settimana, record stracciato (quello già suo) con Midnight e con la sua edizione di 1989, Dua è la prima artista donna a aver avuto due canzoni con oltre un miliardo di ascolti su Spotify, mettetevi comodi. Tre giganti, parlo di numeri, sì, ma anche di arte, attenzione, perché il pop come loro noi ce lo sogniamo la notte, e se lo sognano anche in parecchi artisti pop delle loro lande. Un album maturo, il suo, esattamente come quelli delle colleghe, lei a giocare con gli anni Novanta, come nel precedente Future Nostalgia, stavolta con una certa iniezione di rock, prendete queste parole con le pinze, comunque spavalda nel mettersi a tirarsi i capelli con cotante colleghe. A breve toccherà anche a Billie Eilish, altra popstar bella grossa e poi a Lana Del Rey, si dice entro l’anno anche Lady Gaga. Musiche differenti tra loro, se non le conoscete, cioè se siete appena usciti da un coma, come Neri Marcorè nel film di Veltroni, o se come la rosa del Piccolo Principe vivete sotto una campana di vetro sulla Luna, non immaginatevi sfumature del medesimo suono o del medesimo mood, quella è faccenda tutta italiana, unica nazione al mondo (occidentale) dove peraltro le nostre raccolgono meno, nazionalisti come siamo diventati nel proteggere quelle cagatelle che rispondono al nome di trap, estetiche differenti tra loro, e ringraziate il vostro Dio, Dio di un culto che deve avere una colonna sonora piuttosto derivativa, mi sembra evidente, se non metto in mezzo anche Ariana Grande e Shakira, Cardi B, insieme in La punteria, e anche Megan Thee Stallion, Nicki Minaj, tutte uscite negli ultimi mesi, altro che Miss Keta.
A volerla vedere tenendo l’arte da parte, ma sarebbe errore marchiano, perché il pop, se fatto bene, è arte, eccome, e qui stiamo parlando di grandi artiste, senza se e senza ma, si potrebbe dire che l’operazione fatta negli anni, operazione che ha avuto in personaggetti quali Madonna, prima, Britney Spears e Christina Aguilera, poi, ma sto davvero tagliando l’erba con la falce grossa, come invece non stanno facendo a Milano nelle aiuole pubbliche, ma questa è altra faccenda, è stata quella di creare prima un bacino di utenza gigantesco, andarselo a cercare porta a porta e fidelizzarlo, per poi spartirselo proprio a partire dalla diversificazione, la parcellizzazione, io mi prendo questa fetta di torna, parlo di grafici, tu quella. Senza star troppo a rompersi le scatole a vicenda, di qui il potersi poi permettere di invadere il mercato in contemporanea, certo mettendo a repentaglio nuovi record in fatto di settimane in vetta, ma al tempo stesso andando sicuramente a tenersi il proprio pubblico e anche parte di quello casuale, disinteressato a queste ipotetiche faide. Perfetta operazione discografica, che va, miracolo, di pari passo con la qualità dei prodotti, mi si nota di più se vengo e ballo su un tavolo, di fianco a tutte le altre. Anche perché, veniamo al discorso che in teoria sarebbe dovuto essere il cuore di questo mio scritto, in mezzo a tante popstar gigantesche, ognuna col proprio stile preciso preciso, ognuna con un proprio immaginario definito, ognuna con una propria estetica studiata nei minimi dettagli, proprio nel giorno di Dua Lipa e del suo Radical Optimism, è arrivata, a imprescindibile parere di chi scrive, anche il nuovo album di colei che, insieme a Lady Gaga, di tutta questa covata di grandi artiste è indubbiamente la più geniale e talentuosa. Un gigante talmente gigante da potersi permettere di non rientrare in nessuno dei canoni estetici vigenti, anzi, di non rientrare proprio nei canoni estetici, nascosta come è usa fare sotto parrucche assai oversize, ormai neanche più la presenza della sua mini-me, leggi al nome di Maddie Ziegler, ormai superati i vent’anni impossibilitata a vestire ancora i panni dell’alter-ego bambina danzante, ultima volta insieme, per ora, quando ha recitato nel discussissimo film sull’autismo che SIA ha scritto e diretto, titolo Music. Sia che comunque ha deciso letteralmente di sparire, lei che ai tempi degli Zero 7 era invece ben visibile, nell’epoca di Instagram e TikTok di lei si sono persi i lineamenti e quasi il corpo, una delle rare volte che si è mostrata senza maschere lo ha fatto anche senza vestiti, quando anni fa, paparazzata mentre era a culo nudo nel balcone della sua camera d’albergo, invece che pregare perché la foto paparazzata non venisse pubblicare, o magari pagare perché non venisse pubblicata, ha ben pensato di pubblicarla sui social lei stessa, rendendo vano il tentativo di farne uno scoop. Il viso è comunque rimasto ancora una volta coperto, a differenza del culo, grande Sia.
Un’autrice capace di sfornare hit planetarie, la sua Chandelier è stata la prima canzone di una artista donna a superare il miliardo di views su Youtube, ai tempi, oltre che di scrivere mine pazzesche anche per le colleghe, pensiamo a Diamonds di Rihanna, lei che ha scritto anche per la stessa Beyoncé e pure per Adele, quando si dice essere duttile, o le varie volte che ha messo mani e voce nei pezzi di David Guetta, Titanium su tutte. Un’autrice e un’interprete, la sua voce da soprano, quasi quattro ottave di estensione, una capacità empatica di trasmettere disperazione mista a malinconia che è diventata vera e propria cifra stilistica, che sforna un ennesimo capolavoro come Reasonable Woman, mettendo almeno artisticamente, tutte in un angolo. Nessuna, infatti, ripeto forse la sola Lady Gaga, a tratti, è in grado di mescolare ritmo e melodia come Sia, un uso quantomai originale dell’armonia a sorreggere il tutto, discorso che potrebbe suonare complicato da capire, non fosse che le sue canzoni, tutte, sono hit o potenziali hit, e di fronte a una hit c’è poco da capire, basta ascoltare. Hit che però non seguono le mode, Sia è Sia, quanto semmai indicano strade, facendo largo nella foresta, le aiuole che Sala ha lasciato appunto selvatiche e selvagge, usando la voce come machete, in attesa che le altre e gli altri colleghi, se riescono la seguano, apripista e esploratrice come un Magellano che ha trovato un passaggio che mica per caso poi ha portato il suo nome. La musica, potrei quasi essere d’accordo con un presunto Frank Zappa d’epoca, apocrifo, non va più raccontata, oggi la si può ascoltare gratis con un click, quindi partite da I Had A Heart, che vede per altro la firma anche di quel genio assoluto di Rosalia, assente fin qui da questo mio scritto solo perché ferma da un pochino, ma lei è davvero una top player di razza, o Immortal Queen, per dire, o le già conosciuta Gimme Love e Forgive You, o la collaborazione con Chaka Khan e quella con la fresca di Grammy Kylie Minogue, Dance Alone, e non potrete che provare quel senso di ammirazione, stendhaliana che si dovrebbe sempre provare di fronte di fronte alla bellezza espressa in arte. Una in grado di far cantare bene anche Paris Hilton, è il caso di FameWon’t Love You, non dico altro. Non prestate fede a chi, complici numeri che col tempo si sono fatti più piccoli, anche per la capillarizzazione delle uscite, ne parlerà come di un lavoro ormai da considerare minore di una artista sul viale del tramonto, Sia è e rimane una delle più grandi rappresentanti musicali di un’epoca, la nostra, indubbiamente segnata dal femminile, almeno a livello internazionale. Reasonable Woman è oggi qui con noi per provarlo.