Gerry Scotti è un fuoriclasse della televisione italiana. Si sa. A distanza di anni dall’ultima edizione di Io Canto, nel 2013, il conduttore pavese è meno istituzionale e va a briglia sciolta; si diverte, si commuove, balla, canta, è ancor più familiare per il pubblico a casa, un compagno di giochi o un padre per i giudici, un nonno per i piccoli cantori. Quest’anno, i ragazzi in gara sono dei veri fenomeni, in più diretti dal maestro Valeriano Chiaravalle, che ha lavorato con i più grandi cantanti italiani, collaborato a canzoni pop e sigle dei cartoni animati, e abituato ai grandi show di Canale 5. Bambini e ragazzi in gara sono intonatissimi, preparati, sicuri sul palco, proprio al passo con i tempi che corrono, in cui tutti voglio apparire per dimostrare qualcosa, anche se spesso non hanno alcun talento o qualcosa da dire; almeno loro hanno dimostrato un’autentica attitudine al canto e hanno imbastito uno show bellissimo e godibile, con una gara finalmente semplice e comprensibile a tutti. Il telespettatore ha apprezzato, infatti su Canale 5 la prima puntata di Io Canto Generation, ha incollato davanti al video 3.191.000 persone con uno share del 21.5% (Highlights dalla durata di 5 minuti: 1.221.000 – 22.2%); ciò vuol dire che, oltre all’ascolto, c’è stata anche la permanenza per più di tre ore, cosa di non poco conto se si pensa che il telespettatore contemporaneo si annoia facilmente dopo poco tempo. Ci sono poi le note stonate. Mentre i coach hanno sì rilevanza ma occupano un secondo piano, i giudici sono in prima linea ma non sempre riescono ad essere dei veri protagonisti; Claudio Amendola, grande attore, è fuori luogo. Al Bano, dopo tanti ruoli come giudice in altre trasmissioni, ha terminato il suo appeal. Michelle Hunziker è ingabbiata e Orietta Berti, tra un canto da usignolo e un giudizio stantio, appare quasi mummificata e fa sospettare che sia lì per esaurimento del contratto con Mediaset. Chi e cosa avrebbero dato ancora più senso alla trasmissione? Il tutto è racchiuso in un nome: Cristina D’Avena. E i motivi sono decine ma ci soffermeremo su alcuni punti.
Cristina D’Avena ha lavorato moltissimo con Gerry Scotti, sono amici oltre che colleghi, Valeriano Chiaravalle è stato ed è un maestro di riferimento per lei, Mediaset è casa sua ed ha sempre avuto un ottimo rapporto con i vertici, è stimata dai figli di Silvio Berlusconi, Io Canto Generation gli sarebbe calzato a pennello da co-conduttrice come da giudice, avrebbe certamente abbracciato il target di riferimento dalle trasmissione e la presenza di bambini e ragazzi avrebbe giustificato a pieno la sua presenza. Tralasciando il target 24+, chiedete ad un adolescente o un bambino di oggi se conosce la sigla di Doraemon o la recentissima Tutta d’un fiato, sigla del ramake di Holly e Benjy, in onda sui canali del Biscione; risponderanno certamente di sì, anche perché ai concerti di Cristina D’Avena i più piccoli sanno a memoria le parole e si scatenato in balli scatenati. La D’avena non ha solo fatto la storia di Mediaset e delle sigle dei cartoni animati, che la rendono unica al mondo nel suo genere e donna da guinnes, ma la cantante abbraccia sorprendentemente una fascia di pubblico ampissima che va indistintamente dai bambini ai cinquantenni, che la ricordano piccola all’Antoniano poi giovanissima e donna come voce e volto di Mediaset. Lei è e sarà per sempre un volto del Biscione. Cristina D’Avena sarà “ballerina per una notte” nella puntata di sabato 25 novembre a Ballando con le Stelle, show di Rai 1 e poi ancora alla conduzione delle puntate natalizie de Lo Zecchino D’oro, sempre sull’ammiraglia di Viale Mazzini. Sarebbe il caso che Mediaset si svegli, sfrutti una sua risorsa artistica che fa gola ai telespettatori come agli inserzionisti e le affidi un programma o per lo meno delle serate-evento per cantare la sua musica. Se i cartoni animati con le sue sigle, nella mattina di Italia 1, superano il 5% di share in concomitanza con lo show di Fiorello su Rai 2, una domandina me la farei. Forse il pubblico ha (anche e ancora) bisogno di un personaggio come Cristina D’Avena e di quel tipo di tv per ragazzi, magari riproposta in chiave moderna e al pomeriggio su Italia 1, dove le serie televisive trite e ritrite fanno il 3% di share. Pier Silvio ha voluto e ottenuto una televisione depauperata dalle esagerazioni, meno rumorosa e più familiare, soprattutto per Canale 5 e Italia 1: in tutto questo manca un tassello, Cristina D’Avena, un terno al lotto per Mediaset e una grande risorsa per il suo editore.