Fa discutere il caso della famiglia finlandese che, dopo essersi trasferita in Sicilia, ha deciso di andarsene per “protesta” contro il sistema scolastico, una scelta rivendicata con una lettera aperta molto poco lusinghiera nei confronti dell’impianto dell’istruzione italiana. Un attacco esagerato? Oppure giustificato? Lo abbiamo chiesto a Viola Di Grado, scrittrice (più giovane vincitrice del Premio Campiello opera prima e più giovane finalista del Premio Strega), traduttrice e orientalista siciliana, oggi trentacinquenne.
Allora, Viola, quella dei genitori finlandesi ti sembra una critica giusta e fondata, una protesta condivisibile?
Io posso parlare della mia esperienza delle scuole in Sicilia, in particolare a Catania, che è stata orrorifica. In ogni senso possibile. Ho avuto quasi tutti insegnanti pessimi o violenti, tranne che alle elementari. Al liceo un vero film splatter (se possiamo considerare splatter anche lo spargimento di sangue psichico), con insegnanti che insultavano e terrorizzavano gli studenti, oppure assolutamente impreparati, addirittura insegnanti di italiano che non sapevano parlare l’italiano. Veramente un paesaggio da rabbrividire, però sono cose che effettivamente mi sono successe e quindi posso capire lo sfogo della famiglia finlandese. Avevo un insegnante che entrava in classe, metteva i piedi nel cassetto e diceva «vediamo quale testa di cazzo devo interrogare». Era così.
La individui come situazione particolare della Sicilia o italiana in generale?
Non ho gli strumenti per dirlo, perché ho la mia esperienza e non mi piace generalizzare, so solo che a me è accaduto questo. Era tutto terrificante, mi sono trovata malissimo anche con i compagni: erano della stessa specie dei professori, era una giungla in cui si parlava il non-linguaggio della violenza. Capisco che possa averla vissuta come tale anche la famiglia finlandese. Infatti l’unica buona insegnante che avevamo poi se n’è scappata.
Avrebbero potuto magari scegliere qualche soluzione privata, avendone la disponibilità economica?
Sicuramente ci saranno cose di ogni tipo, ma io ho solo la mia esperienza. C’erano due licei classici e io purtroppo ho scelto quello più di destra, solo perché era più vicino a casa di mia nonna. Quindi questa scelta è stata probabilmente sbagliata.
Tu hai appreso lingue straniere come il giapponese. Questa parte formativa dove l’hai fatta?
Ho fatto la triennale a Torino e poi il master a Londra, oltre a un phd che ho poi abbandonato.
Hai notato differenze nei sistemi universitari?
L’università era più variegata. C’erano insegnanti colti e rigorosi, altri invece superficiali. Però in genere nel sistema universitario italiano mi sono trovata bene, l’ho trovato molto approfondito, anche se nel sistema inglese mi sono trovata meglio perché non esiste la componente della fortuna: tutti gli esami sono scritti e approfonditissimi, quindi sai che se hai studiato sarà valutata con esattezza la tua preparazione, mentre nell’orale subentrano la fortuna e componenti come il carattere e l’eventuale timidezza, quando non favoritismi.
Tornando alla scuola dell’obbligo, tema della lettera aperta contro la situazione siciliana (e italiana)?
Nella scuola dell’obbligo come dicevo mi sono trovata malissimo. Sicuramente, come lamentava la famiglia finlandese, c'è bisogno di più libertà, ma io aggiungo anche di una valorizzazione maggiore dell’individuo. È tutto troppo standardizzato e costrittivo, non favorisce per niente il desiderio dello studio. Anche i libri proposti erano e sono sempre i soliti, bisogna proporre letteratura più diversificata, anche contemporanea, favorendo la creatività, l'approfondimento, la scelta personale. L'istruzione non andrebbe percepita come una punizione, perché secondo me il problema principale in Italia è questo. Una cosa che ho in comune con tutte le persone della mia generazione è che tutti la notte facciamo ancora dopo vent’anni incubi incentrati sulla scuola e in cui andiamo a scuola. Com’è possibile? Semplice: la scuola era per tutti un incubo.
Della scuola nel mondo orientale ti sei fatta qualche idea? Qualcosa che potremmo copiare da loro?
Ho studiato in Cina e in Giappone, però erano scuole per stranieri. Da studiosa dell'Asia dell'est so che quello è un mondo molto competitivo, che i bambini già a cinque anni praticamente sanno in che tipo di liceo andranno e se saranno o meno dei "perdenti", concetto odioso legato a un'idea conformistica dell'individuo basata sulla sua produttività nella società, e questo crea una pressione pazzesca, specie in luoghi come il Giappone che purtroppo hanno un'idea dell'individuo molto legata al suo ruolo nel gruppo. Quindi anche questo non è necessariamente un buon modello. I sistemi scolastici scandinavi sono orientati in senso opposto, improntati sulla creatività e sulla libertà, tutte cose che nel nostro sistema dell’istruzione non conosciamo: io ho conosciuto l'istruzione indotta come penitenza, se non persino come tortura.
Come te lo spieghi?
Magari gli insegnanti non volevano fare quello che facevano. Erano lì perché erano lì, odiavano il loro lavoro e non si impegnavano. Trasformavano la loro frustrazione in una tirannia. È un peccato perché questa atmosfera penalizzava gli insegnanti che invece amavano trasmettere contenuti ai ragazzi, che così risultavano soffocati dal sistema.
Cosa potrebbe fare chi governa per migliorare la scuola?
Promuovere un tipo di istruzione che valorizzi di più l'immaginazione e le inclinazioni di ognuno. Non standardizzato, non proposto come un’imposizione, perché questo può creare solo danni. Lo studio puramente mnemonico e coercitivo viene poi rimosso dalla mente, come ogni trauma. Cosa ricordiamo delle cose che abbiamo studiato? Frammenti. Qual è il vantaggio di tutto ciò? Studiavamo non perché trovavamo interessanti gli argomenti proposti, ma perché avevamo paura, come accade nei sistemi tirannici. Non sorprende che in Italia non legga più nessuno: la lettura è associata dalla maggior parte delle persone a quanto patito da piccoli. È allucinante. Quante volte mi sono sentita dire da qualcuno, a una presentazione di un mio libro, ho scoperto di amare la lettura? È incredibile dover scoprire per caso di amare leggere, ed è quanto accade se si legge per essere interrogati, entro un giorno stabilito, su un libro che non avresti mai scelto.