Guelfi e Ghibellini. Quando si scrive di come il nostro paese sia sempre di più, in questi tempi devastati e social, diviso in fazioni violente, polarizzate, pronte a darsele più o meno metaforicamente su tutto, arriva sempre qualcuno che dice queste due parole, Guelfi e Ghibellini, come a spiegare che in fondo è sempre stato così. Il paese dei campanili, aggiunge qualcun altro, provando a mandarla in caciara, perché l’essere partigiani è una nostra cifra, e non intendo certe di quelli che stavano sui monti a difenderci dai nazifascisti, figuriamoci, ma è pur vero che mai come oggi ci si scanni, letteralmente, su tutto. Anche su Sanremo. Intendiamoci, Sanremo, o meglio, il Festival della Canzone Italiana di Sanremo è sempre stato oggetto di discussioni, polemiche, faziosità, ma mai come quest’anno sembra capace di simulare la vita di tutti i giorni, con guerre, scontri e morti lasciati sul campo nell’incuranza degli altri. Non credo serva il riassunto delle puntate precedenti, ma siccome questi tempi oltre che violenti sono particolarmente distratti, generosamente lo faccio. La settantaquattresima edizione del Festival di Sanremo è stata vinta da Angelina Mango, con la canzone La noia. Secondo classificato Geolier, con I’ p me tu p te. Terza Annalisa con Sincertamente. In ordine sparso. Angelina Mango è oggetto di odio social per aver vinto grazie alla Sala Stampa, che dandole il 73% delle preferenze contro l’1,3 dato a Geolier ha sovvertito il televoto, che invece vedeva Geolier staccare nettamente tutti con un 60%. Geolier è oggetto di odio social perché napoletano che rappa e canta in napoletano, in primis, anche se in partenza era oggetto d’odio social dei napoletani perché il suo testo era in un napoletano spurio, trascritto per di più in una lingua inesistente, benvenuti nel 2024. Ma non basta, in quanto napoletano, diciamo le cose chiaramente, viene accusato di aver comprato i voti, anzi, si dice online che a comprare i voti sia stata la camorra, si parla di sim truccate, di scommesse tutta quella roba lì. Siccome Geolier, per altro, ha vinto la serata dei duetti, staccando con un 50% il resto dei trenta cantanti, prendendosi una salva di fischi all’Ariston, con quella terribile scena del pubblico che lasciava il teatro durante la sua esibizione, una lacrima che gli scendeva nel volto, spinto a tenere la testa alta da un Guè insolitamente paterno, la Sala Stampa ha appunto votato in blocco contro di lui, facendolo perdere. Quindi anche la Sala Stampa è oggetto d’odio social, maledetti razzisti. Non bastasse, i fan di Geolier hanno poco elegantemente sostituito il coro di un video che vedeva Geolier festeggiare a suon di “chi non salta juventino è”, con un “chi non salta Mango è”. Ma fosse tutto qui. C’è la questione del televoto bloccato durante la serata finale. In migliaia hanno faticato a mandare i propri sms, e quindi tutti odiano la Rai che ha fatto spendere soldi per l’anima del cazzo. Anche perché domenica o lunedì sono arrivate notifiche che dicevano che finalmente i voti erano partiti, quando ormai il Festival era finito. Non che la faccenda avesse un qualche significato, perché la Mango avrebbe comunque vinto e Geolier sarebbe comunque arrivato secondo, a meno che tutti gli sms persi e poi recuperati non fossero per Annalisa, Annalisa che comunque sulle prime ha lamentato questa cosa dei televoti bloccati, sul podio c’è rimasta male, era visibile, ma a Domenica In, da donna intelligente quale è, aveva già metabolizzato il tutto.
Domenica In, Dio mio quante polemiche intorno a Domenica In. Perché a domanda diretta di Luca Dondoni, che chiedeva a Ghali che ne pensasse del messaggio di sdegno dell’ambasciatore israeliano che chiedeva scuse ufficiali alla Rai per quel suo “fermate il genocidio”, detto in coda alla propria esibizione del sabato, lui che aveva portato la canzone col testo più impegnato, canzone che però, che strano, durante tutte le serate ha avuto la voce schiacciata dalla base, decisamente più alta, a domanda di Luca Dondoni Ghali ha risposto come doveva, dicendo che queste cose le pensa da ben prima del 7 ottobre, inducendo poi l’ad della Rai, Roberto Sergio, a mandare un comunicato che Mara Venier, servile come mai, ha letto, in cui sottolineava la vicinanza di tutta la Rai a Israele, neanche una menzione alle vittime di Gaza, chiudendo, Mara, con un “messaggio che tutti noi condividiamo”. Faccenda che fa il doppio con lei, sempre lei, Mara Venier, che ha interrotto un discorso serissimo di Dargen D’Amico, che a sua volta presentava un altro testo impegnato, i soliti occhiali da sole, le scarpe da papero gialle, perché “questa è una festa”, andando poi a rimbrottare i giornalisti per fare domande insidiose, la risposta di Dargen, “quando mi fanno domande tendo a rispondere” è da Premio Nobel, diciamolo. Frasi, quelle di Ghali e di Dargen, come quelle di Sergio e della Venier, che hanno diviso ulteriormente le folle, lì a menarsi a mani nude, con un sacco di gente che aveva taciuto a rincorrere l’hype schierandosi, alcuni, o a tacere per paura di perdere la cadrega, come i giornalisti e personaggi tv presenti all’Ariston, ce ne fosse stato uno che abbia zittito la Venier. Io stesso, non mi piace tirarmi fuori dalla mia stessa critica, confesso di non aver capito il brano di Ghali, proprio a causa dei volumi di cui sopra, avendolo criticato, e gliene chiedo scusa, e di aver trattato con sufficienza il primo discorso di Dargen, quando ha chiesto di fermare il fuoco, infastidito che a farlo fosse uno vestito con dei pelusche appiccicati alla giacca, chiedo scusa anche a lui. E chiedo scusa anche a me, perché per non passare per quello che poi insegue l’hype non ho preso una posizione troppo netta, un po’ anche perché la mia posizione a riguardo parte da molto lontano, è nota a chi mi legge, l’adesivo “L’intifada nel cuore, il sasso nella mano” campeggia ancora nella mia chitarra elettrica, a fianco di quello che recita “Quando lo stato ti chiama a morire si fa chiamare patria”, e più volte ho raccontato di quando, ai tempi in cui studiavo Storia Moderna all’Alma Mater di Bologna, ho preso un trenta e lode in Storia mediorientale per aver contestato la nascita dello stato di Israele con un professore che ha voluto premiare, disse il mio coraggio, lui che ai tempi era stato tra i fondatori (vedi tu a essere uno studente non residente che conosceva i professori il giorno dell’esame). Comunque non ho detto nulla, in questi giorni, e a loro, solo a loro, chiedo scusa.
Insomma, un vera guerra, con morti e feriti, riproposizione delle tante guerre che ci sono in giro per il mondo, quella in Ucraina e sulla fascia di Gaza indubbiamente le più vicine a noi e anche le più mediatiche. Una vera guerra che però vede degli eroi, e a quelli vorrei fare un applauso sincero. Perché in tutto questo menare le mani solo alcuni degli attori in scena non hanno gridato, non hanno picchiato, sono stati gandhianamente immobili, usando uno strumento credo assai più efficace della violenza, la voce. Parlo degli artisti, quelli che ho citato, ma anche altri, penso a Diodato che ha solidarizzato con Dargen sul palco, loro così apparentemente distanti. Geolier, che è finito a ventitré anni in mezzo a una situazione orribile. Prima i fischi in Sala Stampa, poi le accuse di essere in qualche modo affiliato alla camorra, comunque quelle di essere un meridionale che ha preso voti in maniera poco pulita, questo mentre il suo brano finiva nella classifica mondiale Spotify, lui che nel 2023 è stato l’artista italiano più ascoltato di tutti. Ecco, Geolier, quando ha visto quel video che attaccava Angelina, e indirettamente suo padre, ha detto che ha provato schifo, e ha intimato i suoi fan a tenere un altro atteggiamento. Ha anche fatto i complimenti più volte alla vincitrice, tenendosi a distanza da qualsiasi rivendicazione o polemica, dimostrandosi più maturo dei suoi ventitré anni. Anche Angelina Mango, su cui sono piovute accuse di aver cavalcato la morte del padre, per capire l’abisso in cui ci stiamo specchiando, avendo lei fatto nella serata dei duetti La rondine con un quartetto d’archi, come a dire che così erano buoni tutti, non tenendo conto che aver perso il padre a quindici anni, col video della sua morte che è praticamente ovunque, anche oggi, non credo proprio sia stata una passeggiata, il dolore composto, anche durante l’esibizione, sempre educata e con un contegno raro, anche vista la giovane età, anche Angelina Mango è stata assai superiore ai propri fan, che hanno accusato in varia maniera Geolier, e anche nei confronti dei tanti che hanno accusato lei. Quando Mara Venier, sempre lei, magari l’idea di andare in pensione sarebbe da prendere in considerazione, insistentemente chiedeva proprio del padre, così come a Geolier ha chiesto dei fischi e delle polemiche, lei ha glissato, con eleganza, senza dire più di quello che buona educazione chiedeva, matura lei a ventidue anni, becera l’altra, superati da poco i settanta. Anche Ghali e Dargen, del resto, sono stati misurati, mai una parola fuori posto, mai un grido. Hanno detto quel che avevano da dire con le loro canzoni. E hanno detto quel che avevano da dire parlando, senza eccedere, misurando le parole, formalmente inattaccabili. Quando Ghali ha sottolineato come lui da sempre sente questo pensiero riguardo i genocidi, sottolineando che è un artista, e che magari tra le migliaia di bambini morti c’era qualcuno destinato a diventare un artista, un medico, uno scienziato, ha messo una dietro l’altra le parole più monolitiche sentite in questo Festival. Precise, efficaci, incisive, così come era stato incisivo nella serata dei duetti, quando esibendosi in un medley che si chiamava Un italiano vero, e che partendo da un brano arabo, passando per Cara Italia, quello che recita “quando ti dicono a casa, rispondo sono già qua” e finendo con L’italiano di Toto Cutugno, un sorriso in bocca, la certezza di aver detto una grande verità, alla faccia del generale Vannacci e di chi la pensa come lui. Un artista, appunto, e come gli altri artisti citati, ci metterei anche Mahmood, che con la sua Tuta gold e i suoi look eccentrici ha detto grazie a tutti gli artisti che ci hanno dimostrato nel tempo come la diversità sia un valore, un valore, Dio santo, così come ce lo ha dimostrato Bigmama con la sua pussy power, Madonna santa. Ecco, siamo usi, noi boomer o voi boomer, mica lo saprei dire con certezza, pensare che le nuove generazioni siamo peggiori della nostra, più superficiali, meno impegnati, distratti nella loro frammentaria visione del mondo. Si fanno spesso paragoni tra loro e quelli che c’erano prima, magari anche i grandi cantautori del passato e le loro canzoni destinate all’immortalità. Io credo, e lo credo fermamente, ancora di più adesso, che la faccenda sia del tutto diversa, e che le nuove generazioni, quelle cui cerchiamo di appaltare un futuro non ben precisato, mentre è già il presente che dovrebbe essere loro, siano assai migliori della nostra. Che sappiano in cuor loro cose che noi abbiamo dovuto, se ci siamo riusciti, apprendere studiando, guardate a come di massima approcciano la questione dei generi, ma anche come si indignano quando si parla di diritti civili, di genocidi, appunto. Artisti che, giovanissimi, si sostengono a vicenda, a ventidue, ventitré anni ci starebbe pure risultare un po’ immaturi. Artisti che hanno il coraggio di metterci la faccia, ancora scusa Ghali e Dargen, sapendo bene che il tutto equivale a chiudersi dietro le spalle una porta, probabilmente definitivamente, leggere il tweet di Fassino che attacca Ghali, come un Salvini qualsiasi, ci dice molto su questo tema, oltre che su che fine abbia fatto il PD. Ripartiamo da loro, quindi, invece di star sempre lì a cagargli il cazzo, impariamo la loro lezione di civiltà. O speriamo che l’alieno che ha accompagnato Ghali sul palco, Rich Ciolino, ci invada e ci spazzi finalmente via, una volta per tutte, credo che nessuno sentirebbe la nostra mancanza.