Signore e signori, per chi non fosse aggiornato su moda, glitter e fine del mondo, sappiate che sta arrivando — o meglio, è già atterrato con un crop top in vinile trasparente — il Y3K, ovvero “Years 3000”. Una nuova estetica fashion che sembra uscita da un sogno disturbato tra Blade Runner in acido, le Spice Girls in missione interplanetaria e le Superchicche dopo aver fatto serata in un bagno chimico di Tokyo. Cyber-apocalittico, fluorescente, vagamente inquietante. Benvenuti nel futuro secondo TikTok: un futuro dove tutto è troppo, ovunque, sempre. Ma che cos’è, davvero, questo Y3K? È un mix caotico e volutamente kitsch che mette insieme il cyberpunk, la rave culture, lo Y2K (ma più distopico), la fantascienza di serie B e tanta nostalgia plastificata. Materiali come vinile, lattice, nylon metallizzato. Occhiali tecnici da rave, platform degne di un manga impazzito, top futuristi e guanti da laboratorio in silicone rosa pastello. Ammetto che approvo. Il make-up? Come se la tua estetista fosse anche una stuntwoman di Euphoria.

Chi lo indossa? Nell'ordine: le it-girl giapponesi e sudcoreane su TikTok, le fashion blogger post-punk milanesi, le popstar che giocano a fare le robot — sì, parliamo anche di Charli XCX e Rina Sawayama tanto per citarne due a casaccio. Funziona? Ovvio che sì, il Y3K è teatrale, visivamente bello carico, perfetto per il feed, per l’algoritmo e per l'ego. È la moda dell’estinzione a rate, il ballo di fine anno sull’orlo del collasso climatico. Un Tim Burton impazzito e sotto l'effetto di funghi allucinogeni. Funziona perché è tragico con stile. Funziona perché non promette più niente: non la bellezza, non la seduzione, nemmeno la normalità. Solo presenza, impatto, gente che urla (forse) allo scandalo (o ad un tso forzato). È un’estetica post-tutto, perfetta per chi vive nel cortocircuito del “non so dove sto andando ma almeno ci arrivo con degli occhiali a specchio viola e una minigonna in latex”.

Ovviamente questo guazzabuglio non è una novità sotto nessun punto di vista. Padre spirituale (e carnale) di tutto questo fu, negli anni ’90, il sempre sia lodato nell’alto dei cieli del fashion business: Thierry Mugler. Lui, che già allora proponeva corpi-cyborg, silhouette scolpite, futurismo fetish — praticamente un Y3K ante-litteram, anni avanti a tutti, senza bisogno di un TikTok qualunque per farsi notare. Ma fu solo lui? No, il nostro eroe fu seguito a ruota da altri mostri sacri. Alexander McQueen, per esempio. Nel 2009 lanciò le famigerate armadillo shoes: pezzi di design unici, indossate pure da Lady Gaga (ovviamente) assolutamente importabili — io le ho sempre trovate degli incredibili ferma-porta. Era la sfilata Plato’s Atlantis, dove stampe rettiliane, silhouette marine, alieni da passerella e pesci mutanti sfilavano senza battere ciglio (e qua non si prende in giro il genio, ci mancherebbe, si fa solo un resoconto ironico di ciò che è stato presentato al mondo più di vent’anni fa). Poi è arrivato Balenciaga. Quello dei braccialetti a forma di scotch, per capirci. Dal 2015 in poi ci ha buttato dentro tutto: maschere antigas, droni in passerella, hoodies post-apocalittici da 3.000 euro. Insomma: la distopia, ma couture. Allora cosa cambia? Il mood, le vibes, il “perché”. Il contesto. Oggi lo Y3K arriva in un mondo che sembra già in fiamme: post-pandemia, emergenza climatica, guerre vere e guerre commerciali. Il pianeta brucia? Ok. Allora noi ci vestiamo da eroi neon della fine del mondo. Con un’estetica cyber-punk, colorata ma tragica, drammatica e (come sempre) poser. Se non c’è un limite d’età, domani mi compro un look Y3K. A maggio ho un matrimonio. E mi pare l’unico outfit all’altezza del periodo storico.
