Nel 2016, il documentario (delizioso e da recuperare) Pitti Peacock di Aaron Christian, con ironia tagliente e un senso per lo “sfottò” garbatissimo, raccontava i pavoni della moda maschile durante Pitti Uomo. Ovviamente per “pavoni” indichiamo quei bizzarri animali da passerella lasciati liberi di fare la ruota fuori dai giusti contesti, sempre che esistano. A distanza di quasi dieci anni, ci si sarebbe aspettati un’evoluzione, magari un ritorno alla sobrietà o alla valorizzazione del gusto autentico. O del “gusto minimo”. E invece no. Il 2025 conferma che la Fortezza da Basso è ancora il regno incontrastato dell’eccesso. Ma roba che quasi neanche la Milano Fashion Week riesce a batterla, due anni fa, fuori dalle porte di Etro, avevo intercettato due turbo sexy suore prese d’assalto dai fotografi. Ecco, quest'anno a Firenze, abbiamo visto le penne di Toro Seduto, pellicce che forse non meritavamo di ricordare, sciarpe in poliuretano verde acido e pinocchietti impossessarsi del dress code ufficiale. E capelli, tanti cappelli.
Gentili signori che immagino vestiti con grande eleganza durante l’anno ma che, a un un certo punto, hanno come un’epifania e partono con l'ideazione di look improbabili dove ogni elemento suggerisce non solo una volontà di distinguersi, ma anche una disperata necessità di essere guardati, fotografati, postati, un unico pensiero e un’unica religione: “tag me babe”. Al Pitti Uomo si sfila eh, i modelli quelli seri ci sono chiaramente, ma lì più che da altri parti a farla da padroni sono i grandi eccentrici fuori dai padiglioni ufficiali. Non è più una fiera della moda, o meglio, non del tutto: sembra un un palcoscenico, come fosse un teatro dove vince il più fuori di zucca. Ma ditemi, pensate veramente che uno che va in giro con completo nero, scarpa di un singolare giallo fluo, sciarpa verde con orsacchiotto e guanti o giallo limone, sia arrivato a quell’accrocchio per caso? Ma figuriamoci. Ci pensano pure. Ogni dettaglio, dall’abbinamento dei colori improbabili ai materiali vistosi, è studiato per catturare l’attenzione. Non c’è spontaneità, ma una strategia visibile, un continuo tentativo di superarsi in eccessi. I brand e le loro collezioni tentano di proporre moda e tendenze, ma l’attenzione viene catalizzata da altro, in effetti dall’assurdo. Il documentario di Christian aveva il pregio dell’autoironia ma ora, a distanza di quasi un decennio, il fenomeno è cresciuto, quasi sfuggito di mano. In un’epoca in cui l’autenticità è spesso invocata, è curioso vedere come la moda maschile continui a trasformarsi in un’esibizione di “tutto e subito”. Forse è il momento di ripensare il senso di questo evento. Pitti Uomo dovrebbe tornare a celebrare lo stile, quello vero, fatto di personalità e misura. Ma per ora, sembra che l’unica regola sia “esagerare”. E mentre le passerelle interne alla Fortezza da Basso cercano di dettare tendenze, quelle esterne continuano a essere invase da piume, pellicce e scelte stilistiche che fanno (nel migliore dei casi) sorridere, normalmente rabbrividire. Il gusto è soggettivo, ma il ridicolo ha confini evidenti. Speriamo che, prima o poi, qualcuno trovi il coraggio di riportare un po’ di sobrietà in questa giungla di eccentricità. Fino ad allora, il pavone continuerà a regnare sovrano.